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Quella vergogna senza fine chiamata antisemitismo

by Redazione Web
20 Febbraio 2020
in Cultura
Reading Time: 5 mins read
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Nicolò Cusano scrisse il de docta ignorantia per indicare la posizione dell’intelletto umano di fronte al Dio Infinito. Noi, senza ovviamente pensare minimamente di avvicinarci alla profondità di quel pensiero, vorremmo scrivere un de indocta ignorantia… che in italiano potrebbe più o meno tradursi con un “ignorante ignoranza”, quasi a voler dare una maggiore profondità all’ignoranza infinita di chi continua, ormai quotidianamente, a dar vita ad un nuovo antisemitismo.

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In questo momento di profondo buio culturale, mentre cresce la paura e si alzano i muri, non sono colpiti soltanto gli immigrati, ma torna anche il nemico di sempre: l’ebreo. Stiamo assistendo ad una sorta di “liberazione” della violenza verbale, dell’insulto, della denigrazione, del pregiudizio, dell’odio. Dalle nebbie del ‘900 riemerge con sempre maggiore evidenza il filo spinato. Cimiteri profanati, scritte ingiuriose sui muri e sui citofoni, sulle porte e sulle auto, cori allo stadio, il furto delle ‘pietre di inciampo’.

Il web diffonde messaggi e meme che danno linfa a quella cieca avversione che tanto dolore produsse nell’Europa del 1900. Eppure sembra che quella pagina di storia poco abbia insegnato. Cresce in Italia e in Europa questo odio sottile, banalizzato e diffuso che può portare in ogni momento a gesti o atti criminosi. Che può riportarci indietro a quel momento di buio profondo del quale tante volte abbiamo detto “mai più”.  Torna di moda il ‘saluto romano’, torna di moda il negazionismo, tornano di moda manifestazioni di fanatismo fascista che inneggiano al duce. Tornano di moda movimenti e associazioni di estrema destra. E tutto questo mentre la politica sembra non riuscire ad andare oltre l’indignazione.

Ancora pochi anni e poi non ci saranno più testimoni in vita di quell’orrore. E per altro già oggi, il loro racconto, la storia della loro esperienza nel girone infernale della Shoah suscita una crescente, incredibile indifferenza, come se fosse l’ennesima riproposizione di una vicenda già archiviata. La memoria ormai si focalizza solamente all’interno del perimetro di quell’inferno chiamato Auschwitz. E in questo modo, la più spaventosa politica di persecuzione sistematica che il mondo abbia conosciuto perde il suo contesto.

Non ci sono quasi più i nazisti che perseguitavano, rastrellavano e mandavano a morte gli ebrei. E tra poco non ci saranno più neanche i superstiti della loro macchina da guerra che hanno vissuto l’orrore di quello sterminio e quello di doverlo rivivere nei loro racconti, per dire a tutti a noi quanto feroce e crudele sappia essere l’uomo e quanto necessario sia impegnarsi perché mai più possa accadere una simile atrocità.

E invece no! C’è oggi una nuova genìa di folli. Di gente che passa il suo tempo ad infangare quella memoria e a seminare un odio nuovo ma con radici ben definite.

E allora ripropongo la domanda che da sempre mi inquieta. Ogni anno, con uno schema ormai definito, torna la routine ipocrita e teatrante di chi considera il Giorno della Memoria come una data rituale in cui scrivere slogan sui social, cambiare la copertina di Facebook, la foto di profilo di Twitter, riempire palinsesti con i vari  Schindle’r List e l’indimenticabile bambina col cappottino rosso, La vita è bella o Il bambino con il pigiama a righe… e la coscienza pare salva.

Ma lo è davvero? Di certo no! Quel sangue, quelle urla, quell’orrore, quei corpi ammassati… quei binari, quei forni, quei camini, quei mucchi di scarpe. Gli occhi di quei bambini strappati dalle mani delle loro madri che non hanno visto mai più… quella cenere che copriva i campi e i tetti di Auschwitz e degli altri lager, la vergogna assoluta della discriminazione razziale degli ebrei, chiedono un impegno altro… chiedono qualcosa di diverso per cui vale la pena di rompere il rituale, fermare la recita. Vale la pena di buttare la foto del nazista in divisa e dell’ebreo con cappellaccio e palandrana. Non è una storia di uniformi e palandrane. È storia di uomini e donne che nell’Italia fascista erano stati parte della stessa società, vestivano allo stesso modo, spesso la pensavano allo stesso modo e d’un tratto si sono trovati ad essere carnefici e vittime. Venne un giorno in cui i primi decisero che i secondi non dovevano avere più diritti, erano semplicemente una stirpe da emarginare. Per poi lasciare spazio a chi, passando da alleato a occupante, trasformò quella politica in annientamento. E tanti italiani chiusero gli occhi, si voltarono dall’altra parte. Tanti altri divennero parte attiva nella presecuzione. E pensare che semplicemente in Italia l’antisemitismo non c’era. Non c’era nello Stato laico voluto dai Savoia, non c’era in un Paese in cui gli ebrei erano sempre stati così pochi da non poter suscitare movimenti di accettazione o di ripulsa. Non voglio qui proporre un’analisi storica di quanto accaduto, per questo consiglio a tutti, come approfondimento, la bellissima presentazione che il collega Enrico Mentana ha fatto al libro scritto a quattro mani insieme alla senatrice Liliana Segre, che di quell’atrocità è testimone. Voglio qui soltanto porre le basi per una riflessione e condividerla con chi mi legge.

Se è stato possibile una volta decidere che qualcun altro andava emarginato, poi perseguitato, poi annientato… è possibile ancora. È per questo che quanto sta accadendo in questi giorni in troppi posti in Italia deve farci fermare. Deve obbligarci a fermare la recita. Deve obbligare certa politica a pesare le parole. Questa non è solo cronaca, è una vergogna senza fine. Bisogna reagire prima che il virus di questa ignoranza torni ad essere fascismo. Non dobbiamo cancellare soltanto le scritte da porte, muri e monumenti, e neppure accontentarci di fiaccolate e manifestazioni… dobbiamo cancellare l’antisemitismo. Per sempre.

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2020-02-20 11:00:18

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