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E se Attilio (Manca) fosse tuo fratello?

by Alessio Di Florio
22 Febbraio 2020
in L'Opinione
Reading Time: 8 mins read
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Attilio Manca, giovane e brillante urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, fu ritrovato ucciso l’11 febbraio 2004 nel suo appartamento a Viterbo. Una morte archiviata troppo presto come legata ad una overdose anche se tanti, troppi aspetti conducono a un omicidio mafioso legato alla latitanza di Bernardo Provenzano.

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Ogni anno il giorno dell’anniversario a Barcellona Pozzo di Gotto l’Associazione Nazionale Amici di Attilio Manca (A.N.A.A.M) organizza un convegno pubblico per ricordare Attilio e ribadire la lotta per verità e giustizia. Quest’anno, accanto alla famiglia, agli avvocati Antonio Ingroia e Fabio Repici, ad Aaron Pettinari di Antimafia2000, a Rosa Maria Dell’Aria (la professoressa palermitana che l’anno scorso ha subito una sanzione per aver associato il Decreto Sicurezza alle leggi razziali) e a Brizio Montinaro (fratello di Antonio, capo-scorta di Giovanni Falcone morte nella strage di Capaci), era presente, come ogni anno,  Luciano Armeli Iapichino che ha moderato l’incontro, membro della commissione cultura della Fondazione Caponnetto, docente, opinionista per Antimafia2000, segretario A.N.A.A.M e autore del libro «Le vene violate: dialogo con l'urologo siciliano ucciso non solo dalla mafia». L’abbiamo intervistato per continuare a dare voce alla lotta per la verità e la giustizia su Attilio. Luciano Armeli Iapichino ha dichiarato di sentire Attilio come un suo fratello: «E se Attilio fosse tuo fratello?» fu il titolo del corteo svoltosi a Barcellona Pozzo di Gotto il 2 settembre 2013 dopo l’archiviazione nel procedimento che avrebbe dovuto accertare la verità.

«Nei tribunali dove c’è scritto la legge è uguale per tutti ci dovrebbe essere un punto interrogativo, e la risposta è ovviamente no», ha affermato lo scrittore, «leggendo le sentenze si formula sempre "in nome del popolo italiano" ma non sappiamo a quale popolo fanno riferimento quelle lette in nome di Attilio Manca, sicuramente non il popolo degli ultimi, degli umili. Nel libro sul Vajont, Sulla pelle viva di Tina Merlin si legge che quella è stata una storia sul potere e sui mostri che può generare, sull’arroganza di troppi poteri forti, sull’assenza di controlli, sull’umiliazione dei semplici, sulla ricerca vana di una giustizia, sul crollo della fiducia in una repubblica dei giusti, sono passati tantissimi anni dal 1963 e queste parole sono tristemente attualissime per il caso di Attilio Manca».

Cosa è emerso e come è andata l’iniziativa dell’11 febbraio in occasione dell’anniversario? Quale risposta c’è stata da parte della cittadinanza di Barcellona Pozzo di Gotto e dalle istituzioni e altre associazioni? 

«L’11 febbraio di ogni anno viene sempre svolta a Barcellona Pozzo di Gotto la commemorazione dell’anniversario della morte di Attilio Manca, organizzata dall’A.N.A.A.M. Quest’anno è stato il sedicesimo anno di attesa della verità. La situazione ogni anno vede l’assenza di Barcellona Pozzo di Gotto, la città stranamente ha sempre preso le distanze dal caso Manca almeno pubblicamente, mentre la manifestazione è molto partecipata a livello regionale e grazie alla diretta streaming a livello nazionale, quest’anno abbiamo avuto anche un messaggio online del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, l’anno scorso era stato il presidente della Camera Roberto Fico a esprimere vicinanza alla famiglia Manca e, in altra occasione, anche il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, abbiamo avuto anche l’apporto di Paolo Borrometi. Permane quindi solo quest’anomalia della non partecipazione di Barcellona Pozzo di Gotto, città dove vivono moltissime persone perbene ma il motivo lo possiamo purtroppo immaginare. È una città che per certi versi nell’isola e non solo ha fatto la storia della mafia: il telecomando della strage di Capaci fu portato dal boss di Barcellona a Giovanni Brusca, qui viveva Beppe Alfano, ultimo giornalista siciliano ucciso dalla mafia, la cittadina è stata al centro del traffico internazionale di armi, ha ospitato latitanti del calibro di Nitto Santapaola e Bernardo Provenzano che è stato cristallizzato dal Ros nel convento di Sant’Antonio, ci sono stati personaggi additati come trait d’union tra mafia e servizi segreti deviati».

Sul versante pentiti finora cinque, tra cui addirittura Setola dei Casalesi, hanno fatto riferimento al coinvolgimento di Attilio Manca nella latitanza e nell’operazione alla prostata di Provenzano. Alcuni di questi pentiti sono stati luogotenenti del boss, come Ciccio Pastoia che fu trovato impiccato nel carcere di Parma, Lo Verso fece riferimento ad una statuetta regalatagli da Provenzano – che non sappiamo quale riproduzione della Madonna fosse – che disse sarebbe stata utile per comprendere la morte di Manca; Setola disse di aver appreso in carcere notizie sull’omicidio Manca ma subito dopo ritrattò, D’Amico che fece nomi e cognomi dei mandanti dell’omicidio Manca la cui morte era riconducibile alla latitanza di Provenzano, nomi gravitanti nell’orbita di Barcellona Pozzo di Gotto e in aggiunta «u calabrisi» quale esecutore materiale che «era bravo a far apparire come suicidi quelli che erano a tutti gli effetti degli omicidi», tirando in ballo anche un Generale dei Carabinieri, i servizi segreti, un esponente del tutto discusso e discutibile e un circolo para-massonico della cittadina, ad oggi inoltre non sappiamo dagli inquirenti il nome del medico che avrebbe diagnosticato al boss il tumore alla prostata o chi l’ha curato in Italia dopo l’intervento a Marsiglia. È necessario aggiungere che la squadra mobile di Viterbo aveva cristallizzato in dei verbali la presenza di Attilio Manca all’ospedale di Viterbo nella stessa settimana in cui Provenzano veniva sottoposto a intervento a Marsiglia. Dieci anni dopo la trasmissione Chi l’ha visto? smentì quei verbali, una delle anomalie della vicenda. Le impronte sulle siringhe furono rilevate dopo otto anni e non sarebbero leggibili le impronte di Attilio Manca. Il referto della dottoressa Ranalletta è apparso lacunoso in diverse parti, come scritto anche nella relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia. Per non dimenticare il mancinismo radicale del giovane urologo trovato con due buchi di un mix letale nell’avambraccio sinistro e il setto nasale completamente deviato. L’assassinio di Attilio Manca pare essere, secondo una lettura data da molti, un triste capitolo della trattativa Stato-mafia con riferimento alla latitanza di Provenzano. Nel caso Cucchi, oltre alla determinazione della famiglia, ci sono stati alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri che hanno aiutato la ricerca della verità, cosa invece che non è successo in quello che è palese essere stato l’omicidio di Attilio Manca: dalle foto trasmesse dalla trasmissione Chi l’ha visto? si evince che non bisogna essere anatomopatologi per comprendere che quella di Attilio non è stata una morte da overdose, tra l’altro, il personale medico e paramedico dell’ospedale Belcolle di Viterbo ha sempre dichiarato di non essere a conoscenza – né era del resto visibile o auspicabile – che Attilio facesse uso di qualche stupefacente. Immaginiamoci dell’eroina.

Come ti sei imbattuto nella storia di Attilio Manca? Nel tuo libro emerge anche la parte umana e la vita di Attilio Manca, definito un medico brillante e di grandi doti. Possiamo soffermarci su quest’aspetto?

«Sentii parlare per la prima volta di Attilio Manca nel maggio 2006 quando accompagnai i miei alunni ad un convegno sulla legalità a Tortorici in provincia di Messina e ascoltai Gianluca Manca, il fratello di Attilio. Più sentivo il racconto e più restavo traumatizzato per la sua ricostruzione. In Sicilia abbiamo visto tantissimi omicidi di mafia ma questa è apparsa, da subito,una vicenda inquietante, così inquietante che per superarla mi sono affidato alla funzione catartica della scrittura scrivendola in un libro. A quel tempo non avevamo ancora uno straccio di documentazione processuale sul caso di Attilio Manca, ho dovuto ricostruire la vicenda sulle poche testimonianze possibili e mi soffermai molto sull’aspetto umano e caratteriale di un ragazzo che, come mi riportarono le stesse, era molto generoso,geniale, umanista e sensibile alla letteratura. Il libro è servito a far conoscere la storia di Attilio in tutta la penisola in tempi in cui nessuno ne doveva parlare e la signora Angela Manca era additata come una visionaria. Per colmare il vuoto d’affetto dovuto alla distanza geografica da Viterbo a Barcellona Pozzo di Gotto, Attilio amava spedire libri alla madre con dediche anche ironiche, le regalò, ad esempio, il libro Il muro di Sartre scrivendo nella dedica «a mia madre come tenersi allegri» (ma il libro allegro non lo è di certo) o in un altro caso con un telegramma definendola «all’indomita indigena dall’emigrante», e rivolgendosi al padre «auguri al nostro Pico della Mirandola», con riferimento alla memoria del personaggio storico. Attilio Manca amava molto la natura e quando tornava a Barcellona Pozzo di Gotto girava molto in moto (che custodiva nella casa a Tonnarella dei Manca e che nell’ultima telefonata prima della morte chiese inspiegabilmente alla madre nel mese di febbraio di farla controllare, altro mistero, come se volesse indicare in un palpabile momento di forte preoccupazione quella località), amava il contatto financo con i contadini che incontrava in questi giri in montagna di cui raccontava tornando a casa in una dimensione fortemente bucolico-letteraria. Secondo alcuni suoi professori, Attilio era il classico allievo che superava anche il maestro. Nulla che facesse presagire, raggiunta l’affermazione professionale, la sua inoculazione «volontaria» di una dose letale nel braccio sinistro, lui che tra l’altro era un mancino. In più le siringhe furono trovate con i tappi salva-ago nell’apposito cestino. Tutto alquanto surreale così come la fase processuale: nei miei interventi ricordo sempre la massima latina secondo cui «quando il colpevole è assolto, ad essere condannato è il giudice» di Publilio Siro, emblematica della vicenda di Attilio Manca».

Nel libro e nelle sue interviste fai riferimento ad un forte ruolo della massoneria. Quale ruolo ha avuto nel caso di Attilio Manca e nei depistaggi?

«Ho definito la massoneria nel libro la «nobile signora» che ha segnato in maniera negativa l’evoluzione processuale del caso Manca. Un’instancabile signora che traffica, narcotraffica e che ricicla, investe, opera, faccenda, cantierizza, infanga, abile nel dossieraggio, dalle Alpi al Corno d’Africa. Licio Gelli a Barcellona Pozzo di Gotto pare avesse qualche amico, in uno stralcio della proposta alternativa di documento conclusivo dell’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin del marzo del 2006 si fa riferimento, oltre a boss siciliani, massoneria e destra eversiva, a ordinovisti di Barcellona Pozzo di Gotto indagati per traffico internazionale di armi. Le commissioni prefettizie hanno cristallizzato in Barcellona Pozzo di Gotto lo snodo nevralgico di interessi masso-mafiosi da Catania a Palermo fino alla lontana Milano. Si parla di personaggi barcellonesi coinvolti, uno in particolare, in inchieste di levatura nazionale con faccendieri italo-peruviani, re dei casinò delle Antille olandesi, siriani italianizzati e misteri legati ad altri misteri. Inquietanti personaggi che oggi sono a piede libero in città. Un’altra vicenda inquietante è quella del prof. Parmaliana. Ma questa è un’altra storia. Sembra quasi che tutto spesso faccia capolinea a Barcellona Pozzo di Gotto: la massoneria sembra essere dappertutto, ma nessuno la vede e non fa i nomi. È la stessa massoneria che influisce sulla mobilitazione/partecipazione alle manifestazioni in ricordo di Attilio Manca, la gente non si vuole esporre accanto ai signori Manca per non irritare potenti e dominus della città».

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2020-02-22 10:41:29

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Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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