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41 bis, i familiari delle vittime: «Mantenete in galera i detenuti»

by Redazione Web
28 Aprile 2020
in Mafie
Reading Time: 5 mins read
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Il CELM, Comitato Europeo per la Legalità e la Memoria, con sede a Foligno e Palermo, costituito da componenti della società civile e da familiari di vittime di mafia, nella persona del Suo Presidente, Prof. Pippo Di Vita, dopo aver scritto una prima Lettera Aperta (relativa alle trasformazioni in arresti domiciliari, della detenzione di boss di mafia al 41 bis) all’attenzione della Stampa nazionale, delle autorità governative, politiche ed istituzionali, del mondo della cultura, della società civile, delle associazioni e dei cittadini tutti, e finanche al capo dello Stato, Presidente Sergio Mattarella, in quanto anche Lui familiare di vittima di mafia, avendo ricevuto tante adesioni di stima e di consenso, da parte di semplici cittadini, si vede rispondere, in un articolo di un quotidiano locale siciliano, apparso il 23 aprile, che cita questa stessa lettera, in cui viene sottolineata l’inopportunità di tale polemica (ciò non è rivolta a noi in particolare, ovviamente), in quanto il “guazzabuglio politico-mediatico” viene “bollato come «sciacallaggio» dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

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Che nega, esclude, risponde ma poi, di fronte ai tentennamenti dei meno attrezzati fra i suoi, annuncia «verifiche sulle scarcerazioni».

Più netta la sua collega degli Interni, Luciana Lamorgese: la detenzione domiciliare per sfoltire le carceri non riguarda certo «i responsabili di gravi reati»”. Come se le preoccupazioni, non solo dei familiari delle vittime di mafia e dei rappresentanti della società civile del CELM, ma anche quelle espresse in questi giorni, da eminenti magistrati, giornalisti, politici ed intellettuali, fossero esagerate, infatti, il giornalista che firma l’articolo, così scrive “Probabilmente – se le stesse condizioni ci fossero state già allora – sarebbe uscito pure un anno fa. Eppure, tra difetti di informazione e notizie imprecise, la concessione della detenzione domiciliare al boss di Passo di Rigano, anziano, gravemente malato e (anche) a rischio Covid-19, viene fatta passare per l’anticamera della scarcerazione di massa dei boss irriducibili, stragisti, rinchiusi al 41 bis e sepolti dagli ergastoli”.

Eppure subito dopo viene liberato il boss monrealese Sandro Porpora e, proprio due giorni fa, tra gli altri, Pasquale Zagarria, il boss della camorra, temuto e sanguinario, oltre ad essere il fratello del capo clan dei casalesi Michele.
Molti uomini delle istituzioni hanno fatto sentire la loro voce.

Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale Antimafia, che su Repubblica lancia il suo monito: “No ai domiciliari per i mafiosi al 41 bis. Rischio di crisi criminale al sud “.
Lo stesso Nello Musumeci, Presidente della Regione siciliana, che rivolgendosi, preoccupato, a Conte, esprime il suo dissenso, scrivendo su Facebook: “Esistono ragioni di ordine pubblico e di buon senso per dire no al rientro nei luoghi dove vivevano e dove hanno commesso gravi reati. Ecco perché certe decisioni lasciano sbigottiti. Mi rivolgo al premier Giuseppe Conte e ai ministri dell'Interno Lamorgese e della Giustizia Alfonso Bonafede, affinchè si valutino misure alternative alla scarcerazione.

Lo stesso Nino Di Matteo, magistrato di punta ed adesso componente del CSM dichiara: "un'ulteriore grave offesa alla memoria delle vittime e all'impegno quotidiano di tanti umili servitori dello Stato“.
Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando dà una lettura, potremmo dire, più realistica: "il 41 bis è la migliore forma di tutela della salute, nel momento in cui da mesi si sostiene che l'isolamento e la quarantena sono le forme migliori di prevenzione. Esporre il boss ai rischi di contagio che derivano dal farlo andare in un ambiente non protetto credo sia un atto cui mi auguro che il Tribunale ponga immediatamente rimedio".

Si evidenzia, altresì, che proprio Zagarria, la sua detenzione domiciliare la sconterà a casa della moglie, in provincia di Brescia, una delle zone più colpite dalla pandemia. Dal danno, la grande beffa.
A quanto pare, il magistrato di sorveglianza di Sassari, così come citato in un articolo tratto dal sito di Polizia Penitenziaria, ha ““chiesto al DAP (diretto da Francesco Basentini) se fosse possibile individuare altra struttura, ma non è pervenuta alcuna risposta”. Il Dipartimento smentisce: “Costante aggiornamento via mail”. Il Guardasigilli attiva l’Ispettorato e avvia verifiche al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria”.

Cosa ha chiesto, in modo preciso, il magistrato di sorveglianza di Sassari? Di trasferire il Zagarria “in altro Istituto penitenziario attrezzato per quel trattamento o prossimo a struttura di cura nella quale poter svolgere i richiesti esami diagnostici e le successive cure” invece no, trasferito a casa, ma in un posto più pericoloso, nel quale è molto più facile essere infettato dal COVID 19.

Tutto ciò appare grettamente pittoresco ed una vera presa in giro per i cittadini onesti italiani, europei e per l’intera umanità.
Lo Stato oggi ha riperso ed è sconfitto dalle logiche politiche mafiose, insite in certi apparati.

È assolutamente vero, che in uno Stato di democrazia bisogna salvaguardare la vita e la salute di tutti i cittadini, anche, conseguenzialmente, quella dei detenuti, ma un paese realmente democratico non può dimenticare il passato (altrimenti sarebbe condannato a riviverlo), cancellando, con una spugna, fatta di buonismo e di falsa umanità, condanne di uomini che hanno sposato la mafia, per il loro tornaconto spregiudicato e per i loro sporchi affari criminali.

Richiediamo a “voce alta”, a tutti coloro che a livello istituzionale, indistintamente, possano farsi portavoce e risolutori di questa grave situazione, attuata da un dirigente dello Stato, il Direttore del DAP Francesco Basentini (nominato dal Ministro della Giustizia), e chiediamo alla politica tutta, fino alle alte cariche dello Stato e dell’Europa, di far sì che questa decisione venga REVOCATA E SI CONTINUI A MANTENERE IN GALERA tutti i detenuti, con ipotesi di trasferimento ai domiciliari, e quelli che sono già stati trasferiti a casa loro, affinché possano continuare a pagare il loro debito con le vittime e con lo Stato, ciò non toglie che debbano essere apportati i dovuti accorgimenti per non compromettere la loro salute, dato che i luoghi di cura adeguati, per mantenere in detenzione carceraria i boss mafiosi gravemente malati, in Italia ci sono, e questo anche nel rispetto della dignità umana, come previsto dalla Costituzione italiana e dalla carta dei Diritti dell’Uomo.

In Fede
Foligno, 28 aprile 2020

Il Presidente

Pippo di Vita

Sottoscritto dai familiari delle vittime di mafia soci del CELM:
Andreozzi Francesca (nipote di Pippo Fava)
Castelbuono Antonio (figlio del vigile urbano Salvatore)
Chinnici Giovanni (figlio del giudice Rocco)
Costa Michele (figlio del giudice Gaetano)
Mancuso Carmine (figlio del maresciallo di polizia Lenin)
Nuccio Francesco Paolo (figlio dell’artificiere dell’esercito Pasquale – Strage di Ciaculli)
Piazza Andrea (fratello dell’agente di polizia Emanuele)
Rizzotto Placido (nipote del sindacalista corleonese Placido)
Centro Studi “Pio La Torre”

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2020-04-28 14:58:40

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