Il referendum dell’8 e 9 giugno 2025 rappresenta molto più di una semplice consultazione popolare. È un crocevia storico, una chiamata collettiva per dire no al riarmo e sì alla giustizia sociale.
Chi promuove oggi questi referendum – come la CGIL, che pure è stata criticata per l’assenza alla manifestazione per la pace del 5 aprile – lancia un segnale chiaro: difendere i diritti, difendere la Costituzione, difendere la pace.
Nonostante l’opinione contraria della maggioranza degli italiani, il governo spinge verso una politica bellicista, aumentano le spese militari e si riducono quelle per sanità, scuola, povertà e welfare.
Una narrazione martellante tenta di convincerci che abbiamo un nemico da combattere, mentre si oscurano le vere priorità sociali del Paese. E mentre la spesa militare aumenta, cresce anche la pressione fiscale. La presidente del Consiglio afferma che ciò accade perché cresce l’occupazione, ma i numeri raccontano un’altra storia: aumentano le tasse pro capite, non il benessere collettivo.
Il referendum tocca temi centrali per la vita quotidiana di milioni di persone:
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Salario minimo legale
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Tutela contro i licenziamenti ingiusti
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Responsabilità giuridica delle aziende in caso di incidenti nei subappalti
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Contrasto alla precarizzazione del lavoro
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Riduzione a 5 anni per il riconoscimento della cittadinanza a stranieri integrati
Temi concreti, che parlano di dignità del lavoro, giustizia sociale e integrazione.
L’8 e il 9 giugno non si vota un partito, ma si esprime una volontà popolare. Se più di 25 milioni di italiani parteciperanno, il segnale sarà forte e chiaro: basta guerra, vogliamo diritti, vogliamo pace.
Lasciare che il referendum fallisca, sotto il quorum del 50%, significherebbe consegnare una carta bianca ai signori delle armi e al sistema che sta cercando di svuotare di senso la democrazia.
L’8 e il 9 giugno andiamo a votare. Difendiamo il futuro.
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