SOMMA VESUVIANA – “Dal carcere è tutto”. Sembra un copione scritto per una serie TV. Invece è la realtà, che come spesso accade in Campania, supera di gran lunga la finzione. Le protagoniste sono le sorelle Bova, volti noti dell’ambiente criminale vesuviano, al centro di traffici di droga, usura, truffe e legami con diversi clan camorristici attivi tra Napoli Est e i paesi dell’entroterra.
L’ultimo episodio che le riguarda arriva direttamente da Facebook, dove è comparso un video in perfetto stile Gomorra: una delle due, Rosa Bova, detenuta, si mostra sorridente, tranquilla, invincibile. Un messaggio che suona come un proclama: “Il carcere non ci spaventa”.
Nadia e Rosa Bova sono finite più volte al centro di operazioni giudiziarie e blitz delle forze dell’ordine. La loro “specializzazione” criminale è la gestione delle piazze di spaccio, il reclutamento di pusher, la trasformazione e distribuzione di stupefacenti.
Il loro nome ricorre anche nell’ambito dell’inchiesta “Blue Sky”, che ha portato allo smantellamento del clan D’Avino. Un’organizzazione capeggiata da “O’ Bersagliere”, con i figli Ferdinando e Stefano, e il cugino Giovanni D’Avino, legato all’ex boss Fiore D’Avino, poi collaboratore di giustizia.
Tra le figure reclutate dalle Bova ci sono soggetti noti come “Il Gabibbo” (alias Antonio Di Lierno) e “10 kg” (al secolo Perillo). Di Lierno, personaggio controverso, era finito nel mirino di altri clan con una vera e propria “condanna a morte”, da cui si è salvato grazie all’arresto e alla detenzione.
Ma i traffici non si sono fermati. Con Rosa Bova in carcere e Di Lierno detenuto, restano Nadia Bova e Perillo a gestire le piazze di spaccio di Somma Vesuviana.
La nuova camorra e i social: quando il carcere diventa uno show
Quello che più colpisce, però, è l’uso disinvolto dei social. Anche dal carcere, le sorelle Bova comunicano, postano, inviano messaggi. L’ultimo video è emblematico: Rosa Bova, detenuta, appare in buona forma, rilassata, come se la detenzione fosse solo un’interruzione temporanea di un’attività più ampia.
Un messaggio chiaro e diretto: la carcerazione non è un deterrente, ma un elemento narrativo della “vita da clan”. Una glorificazione in stile Gomorra che serve a rafforzare il controllo sul territorio, mantenere l’intimidazione tra i gregari e rassicurare gli alleati.
La storia delle sorelle Bova è l’ennesima dimostrazione di come la camorra si sia evoluta anche nel linguaggio e nei mezzi. Il carcere diventa palcoscenico, i social una piazza parallela dove affermare il potere, mantenere consenso e raccontarsi come “irriducibili”.
Ma dietro l’apparenza da serie televisiva, restano i reati, le condanne, le inchieste, e una rete criminale che continua ad agire, spesso impunemente, nei territori dimenticati dello Stato.
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