Il 10 luglio 2025, gli Stati Uniti hanno varcato una soglia pericolosa: hanno imposto sanzioni a Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU sui diritti umani nei territori palestinesi occupati. Il suo peccato? Aver detto la verità. Aver usato parole scomode. Aver chiamato genocidio ciò che sta accadendo a Gaza. E, soprattutto, aver svelato i nomi e i profitti delle grandi aziende occidentali che hanno lucrato — e lucrano — su morte, sfollamenti, distruzione.
Per questa colpa, l’amministrazione Trump le ha congelato i beni, vietato l’ingresso negli Stati Uniti e l’ha messa alla gogna pubblica, con il segretario di Stato Marco Rubio che ha definito il suo operato “vergognoso e antisemita”. Peccato che non ci sia nulla di antisemita nel denunciare un massacro: c’è solo onestà intellettuale e coraggio.
Non siamo più nel tempo della diplomazia: siamo nel tempo della rappresaglia istituzionalizzata. Francesca Albanese non ha imbracciato armi, non ha lanciato proclami ideologici, non ha fatto propaganda. Ha semplicemente fatto il suo mestiere: osservare, documentare, denunciare. E nel suo ultimo rapporto ha parlato chiaro: la campagna israeliana su Gaza, iniziata nell’ottobre 2023, ha avuto i tratti distintivi del genocidio. Non solo: ha elencato decine di aziende — da Amazon a Lockheed Martin, da Google a Microsoft, da IBM a Leonardo (per un totale di 200) — che, fornendo tecnologia, armi, logistica o investimenti, hanno tratto profitto dalla macchina bellica.
Una verità troppo scomoda per Washington, che reagisce come spesso accade: attaccando il messaggero.
La mossa degli Stati Uniti è di una gravità inaudita. Non solo perché colpisce una funzionaria indipendente dell’ONU ma perché lo fa nel tentativo esplicito di zittire una voce libera. È un atto intimidatorio contro chi osa smascherare i legami tra potere, denaro e guerra. È un segnale: se critichi Israele, vieni etichettato come antisemita. Se documenti crimini, vieni punito. Se chiedi giustizia, vieni esiliato.
Ed è ironico — o tragico — che tutto questo accada proprio da parte di chi si proclama difensore della “libertà d’espressione” e dell’“ordine internazionale basato sulle regole”.
Non Francesca Albanese, ma i fatti dicono che la Palestina è sotto assedio, non Israele. Oltre 38.000 morti, la maggior parte civili. Interi quartieri rasi al suolo. Ospedali, scuole, infrastrutture ridotte a macerie. Bambini mutilati. Madri disperate. Un’intera popolazione affamata, isolata, annientata. Questo è ciò che accade quotidianamente a Gaza, con l’assenso silenzioso — e spesso complice — dell’Occidente.
Eppure chi parla di tutto questo, oggi, viene messo a tacere. Francesca Albanese ha scelto di non voltarsi dall’altra parte. Ha portato la questione palestinese al centro dell’arena internazionale, chiedendo che la Corte Penale Internazionale indaghi non solo i crimini israeliani, ma anche i sostegni occidentali.
Ha fatto ciò che le istituzioni dovrebbero fare. E per questo viene punita.
Dove sono ora le grandi democrazie? Dove sono i paladini dei diritti umani? Il silenzio è assordante. L’ONU dovrebbe essere compatta nella difesa della propria relatrice, e invece è debole, pavida, spaccata. L’Europa balbetta. L’Italia, ancora una volta, china il capo. Le uniche voci forti arrivano dalle ONG: Amnesty International parla di “atto intimidatorio vergognoso”, Human Rights Watch accusa apertamente Washington di voler “punire chi dice la verità”.
Il punto non è solo Francesca Albanese. Il punto è: se oggi si sanziona lei, domani chi sarà il prossimo? I giornalisti? Gli attivisti? Gli studenti? Chiunque osi mettere in discussione la narrazione dominante?
Non si può costruire la pace sulla menzogna. Non si può difendere la democrazia con i manganelli diplomatici. E non si può mettere al bando chi ha il coraggio di denunciare l’orrore, sperando che tutto finisca nel silenzio.
Francesca Albanese non è sola. È la coscienza di molti che, anche da lontano, rifiutano di considerare la giustizia un optional. Che non accettano più che la parola “diritti” venga svuotata dal significato.
Sanzionarla è un atto che dice molto su chi l’ha fatto. Ma dice ancora di più su quanto oggi serva, disperatamente, chi ha il coraggio di non restare in silenzio.




