Censura e repressione del pensiero nelle carceri italiane
A rischio la libertà di stampa dietro le sbarre. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, riunitosi il 9 luglio 2025, ha approvato un ordine del giorno che lancia un grido d’allarme sulla situazione dei giornali redatti da persone detenute.
In molte strutture penitenziarie italiane, i laboratori di scrittura e le redazioni interne, da anni strumento di espressione, reinserimento e dignità, subiscono restrizioni arbitrarie, ostacoli e persino chiusure imposte dalle Direzioni carcerarie.
Diversi episodi documentati dal Coordinamento dei giornali e delle realtà dell’informazione sul carcere mostrano un preoccupante ritorno alla censura preventiva:
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Alla Casa di reclusione di Rebibbia, la direzione ha inizialmente negato la possibilità per i detenuti autori di firmare con nome e cognome gli articoli del giornale Non tutti sanno.
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A Lodi, la redazione del periodico Altre storie si è vista imporre una lettura preventiva dei testi, con divieti tematici su argomenti sensibili come l’immigrazione.
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A Ivrea, il giornale La Fenice è stato sospeso e poi chiuso, computer bloccati, volontari estromessi.
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A Trento, al direttore del giornale Non solo dentro è stato negato l’accesso dopo articoli critici sulla struttura carceraria.
Questi episodi non sono isolati. L’Ordine dei Giornalisti denuncia una violazione palese dell’articolo 21 della Costituzione, che tutela il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, e dell’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, che garantisce ai detenuti la libertà d’informazione e di opinione.
Imporre controlli, censurare temi o impedire la pubblicazione equivale a soffocare la voce di chi vive dietro le sbarre. Un atto antidemocratico, che compromette la funzione rieducativa della pena, prevista dalla Carta costituzionale.
Su proposta dei consiglieri Pallotta e De Robert, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti chiede al Ministro della Giustizia e al Capo del DAP di intervenire con urgenza per tutelare i giornali realizzati da persone detenute.
Queste redazioni, oltre a essere strumenti di espressione e partecipazione, favoriscono percorsi di reinserimento sociale. Sopprimerle o censurarle significa negare ai detenuti una possibilità di riscatto, ma anche negare alla società un punto di vista necessario e umano sulla realtà carceraria.
Il Consiglio dell’Ordine ha infine confermato l’intenzione di monitorare costantemente la situazione, in collaborazione con il Coordinamento dei giornali e delle realtà attive nel campo dell’informazione penitenziaria.
Tutelare la libertà di stampa nei luoghi più oscuri e dimenticati è oggi più che mai un dovere civile e costituzionale.
Perché anche dietro le sbarre, la parola resta un diritto.
Immagine IA





