Viviamo un tempo buio. Ma questo buio ha una radice riconoscibile: un sistema economico e valoriale in crisi profonda, fondato sull’accumulo, la competizione e la distruzione del bene comune. Oggi, più che mai, è necessario interrogarsi sulla fallacia della crescita economica costante e sulla sua compatibilità con la sopravvivenza dell’umanità e del Pianeta.
In nome di un progresso economico illimitato, assistiamo a un crescendo di conflitti internazionali, guerre per le risorse, investimenti spropositati in armamenti, e una generale disintegrazione del concetto di comunità. La logica dominante è quella del darwinismo sociale, dove la sopraffazione è considerata normale e persino auspicabile, mentre il rispetto per l’altro e per l’ambiente sono visti come ostacoli al profitto.
La guerra tra Russia e Ucraina, il genocidio in Palestina, oltre 50 conflitti armati nel mondo, i dazi trumpiani, i paradisi fiscali, il controllo dei media, le spese militari sempre più folli: tutto risponde alla stessa logica distorta. Un sistema che accumula ricchezza per pochi e distruzione per tutti.
Nel frattempo, la crisi climatica avanza, silenziosa ma inesorabile. Gli equilibri ecologici sono già compromessi, eppure nessuno sembra disposto a cambiare veramente rotta. E allora la domanda è: davvero i problemi da affrontare sono i dazi o le guerre commerciali? Oppure è più urgente ripensare radicalmente il nostro modello di sviluppo?
Immaginiamo di investire quei migliaia di miliardi di dollari destinati a strumenti di morte per costruire scuole, ospedali, infrastrutture verdi. Per combattere la fame, curare le malattie, garantire diritti e dignità. Sarebbe una rivoluzione silenziosa ma potente.
E invece no: l’accumulo di denaro e potere continua a dominare i comportamenti individuali e collettivi. La crescita economica aspecifica, quella che non si chiede “a beneficio di chi?”, resta il dogma. Un dogma che ci sta conducendo, con passo sempre più rapido, verso il baratro. Verso una più che probabile guerra atomica. Verso l’estinzione, non la salvezza.
Cambiare è possibile. Ma significa scardinare gli attuali assetti valoriali. Significa mettere al centro la preservazione del Pianeta, non il PIL. Significa che la ricchezza va ridistribuita, non accumulata. Che il potere va condiviso, non concentrato. Che la comunità vale più del profitto.
Questa visione, che molti considerano utopica, è in realtà l’unica via percorribile se vogliamo garantire un futuro all’umanità. Non servono riforme cosmetiche. Serve una rivoluzione etica e culturale. Serve il coraggio di dire che la crescita infinita, su un pianeta finito, è una follia.




