«La Costituzione è di tutti. Non si cambia a colpi di maggioranza». Con queste parole – semplici ma lapidarie – la magistrata Ida Teresi ha sintetizzato, su Facebook, l’allarme che risuona sempre più forte nei palazzi della giustizia. Un allarme che il costituzionalista Roberto Grosso ha argomentato con precisione chirurgica durante l’incontro “Riformare la magistratura per non riformare la giustizia?”, organizzato dall’ANM il 31 luglio 2025. Non è in discussione una riforma qualunque.
È in discussione l’ossatura democratica della Repubblica.
Grosso non ha girato intorno al punto: «Questa riforma costituzionale non nasce per separare le carriere. Nasce per minare la separazione dei poteri. E dunque, la nostra libertà».
Una Costituzione “scritta dal Governo”
Il primo campanello d’allarme lo suona il metodo. Non si tratta solo di ciò che si vuole riformare, ma di come lo si sta facendo. Grosso denuncia una deriva ormai consolidata: «Le leggi non le fa più il Parlamento. Le fa il Governo, usando decreti d’urgenza e forzature regolamentari. Ora persino la Costituzione viene riscritta con questi metodi».
La riforma in corso, che prevede tra le altre cose la separazione delle carriere e l’istituzione di due Consigli Superiori della Magistratura, viene calata dall’alto, senza un confronto pubblico autentico. Una forzatura, una torsione autoritaria del sistema.
La “separazione delle carriere” – o meglio, delle funzioni, già oggi di fatto distinte – viene usata come uno specchietto per le allodole. Grosso lo dice senza mezzi termini:
«È uno slogan. E anche se fossi favorevole, per separare le carriere non c’era bisogno di riscrivere la Costituzione. Bastavano leggi ordinarie. Lo ha detto anche la Corte Costituzionale».
Se si tocca la Carta, quindi, è per altro. È per colpire al cuore il CSM – e con esso, l’autonomia della magistratura.
L’idea di creare due Consigli Superiori – uno per i giudici, uno per i pubblici ministeri – e di introdurre il sorteggio come meccanismo di selezione, è il cavallo di Troia perfetto.
Grosso lo smaschera: «Il vero obiettivo è trasformare il CSM in un organo burocratico, privandolo della funzione fondamentale per cui è nato: la difesa concreta dell’indipendenza della magistratura».
Dietro il sorteggio si cela un’idea pericolosa: la magistratura come corpo uniforme e controllabile, non più portatrice di pluralismo e coscienza critica. Non più potere autonomo, ma ingranaggio dell’esecutivo.
Tutto questo – avverte il giurista – va ben oltre una riforma ordinaria. «La separazione dei poteri non è un dettaglio tecnico: è il fondamento della democrazia liberale. È ciò che protegge i cittadini dagli abusi del potere». È inciso nella storia del costituzionalismo moderno, dalla Dichiarazione dei Diritti del 1789 all’articolo 104 della nostra Costituzione.
Toccare quell’equilibrio, continua Grosso, significa alterare la struttura profonda dello Stato democratico. E qui non c’entra solo la tecnica giuridica: «Non si riformano i principi supremi della Repubblica per risolvere problemi contingenti. Le degenerazioni si colpiscono per quello che sono, non si smantella l’istituzione».
Una magistratura autonoma, nella visione costituzionale, è un presidio di pluralismo, non un ufficio amministrativo. «Il giudice che la Costituzione presuppone è calato nella realtà sociale, e quella realtà è pluralistica. Le opinioni diverse, anche nella giurisprudenza, sono una ricchezza, non un’anomalia da normalizzare», ribadisce Grosso.
Il sorteggio, invece, cancella la rappresentanza. Sostituisce la legittimazione con il caso. E trasforma un organo di garanzia in un comitato passivo.
Infine, la riforma non va vista isolatamente. «È parte di un disegno complessivo che riguarda anche la forma di governo, con l’accentramento del potere nell’esecutivo», ammonisce Grosso. E qui la posta in gioco diventa ancora più chiara: la transizione verso un sistema illiberale, dove il controllo dei poteri si fa più tenue, e l’equilibrio democratico più fragile.
«La forma è sostanza. E se perdiamo la forma, perdiamo anche la sostanza del diritto». Questo è, in estrema sintesi, il messaggio che si leva da chi – come Grosso e Teresi – difende la Costituzione con gli strumenti della ragione. Ma serve una mobilitazione più ampia, serve che l’opinione pubblica apra gli occhi.
Perché oggi si sta giocando una partita che non riguarda solo la giustizia, ma la democrazia stessa.





