Si racconta che un pesce rosso ha memoria da un lato all’altro della boccia in cui nuota, nel momento in cui tocca una delle sponde la sua memoria è così labile che dimentica tutto e ricomincia la traversata. Il Paese orrendamente sporco, denunciato tutta la vita da Pasolini, che ha costruito e perpetua la boccia in cui l’Italia è perennemente ingabbiato appare drammaticamente e vergognosamente simile a quella boccia. In cui i pesci rossi abbondano. Pesci rossi che portano avanti le colonne che permettono alla boccia del Paese orrendamente sporco di prosperare.
Pier Paolo Pasolini definì questo Paese senza memoria e, quindi, senza storia. Sono passati solo cinque anni dall’arrivo in Italia della pandemia, dalla primavera del lockdown e delle zone rosse (realizzate o mancate). Ma la memoria si è persa nell’oblìo dell’etere, nell’oblìo di chi vive immerso in un perenne presente senza memoria, senza storia.
Albert Einstein disse che una cosa appare impossibile finché non arriva qualcuno che non lo sa e lo realizza. La favola ci racconta che non era la cecità a dominare, che non era impossibile vedere che il Re era nudo. Ma vigeva la regola dell’omertà ed era considerato pericoloso e sconveniente dirlo. Il bambino non lo sapeva e squarciò il velo che copriva le complicità col sovrano.
Questo è il Paese che colpevolizza le vittime, che le perseguita, che cerca sempre di sgravare i colpevoli, di cancellare ogni responsabilità. La pandemia non sfugge a questi meccanismi anzi ne è la perfetta, plastica rappresentazione. Quante lacrime, quanta retorica, quanti discorsi, quanto hanno sparso in lungo e in largo. Il pesce rosso non lo ricorda ma due anni e mezzo fa trionfavano bandiere sui balconi, canti, stringiamoci a coorte, slogan come non ci fosse un domani. E tutti siamo stati intruppati in una guerra, con tanto di generali di corpo d’armata e istruzioni militari belliche. E guai a chi disertava, guai a chi non si sentiva colpevole se non eri fedele in tutto e per tutto, se ti ponevi qualche dubbio o ti lasciavi sopraffare anche da esigenze primarie umane e vitali come gli affetti. I nipoti considerati potenziali killer delle nonne, il cane che ti trascinava col guinzaglio un metro oltre uno stragista peggio delle Br o di Al Qaeda.
Paese senza memoria, in cui abbondano padrini, zone grigie e zone sporche, in cui tutto sparisce in un attimo. L’emozione del momento, le grancasse mediatiche a libri paga di qualcuno, l’arroganza di coloro che più son colpevoli e più gridano istericamente contro le vittime. Non sono ectoplasmi o fati ad aver determinato tutto quel che è accaduto, e tanti guidati dalle chiacchiere della propaganda fanno finta di “dimenticare”, ma gli stessi che ci inondarono di finto patriottismo due anni e mezzo fa, da chi scaricò sui cittadini colpe non proprie, da chi imponeva di cantare e rimanere in silenzio mentre si tutelavano le interessi delle lobby e dei grandi padrini. Tanto bravi a ordinare, fare paternali, scaricare ogni responsabilità sui cittadini e iniziarono ad abbandonare anziani, malati, fragili negli ospedali e nelle RSA, a tacere e seminare omertà su quanto accaduto (o meglio non accaduto) a Nembro, Alzano e in tutta la bergamasca. In quelle settimane di fine febbraio-inizio marzo 2020, quelle della mancata zona rossa e poi dell’Italia in lockdown, quelle della tragedia e dell’angoscia, della Milano/Roma/altre città non si ferma e abbottatevi di aperitivi (per poi guai a voi se portavate il cane a pisciare a 500 metri e un millimetro) si scoprì che l’Italia aveva un piano pandemico non aggiornato. Ma c’è chi continua a prendere il gessetto e a trasformarlo in una penna indelebile, chi il coraggio sottolineato da Einstein e nella favola lo conosce e lo vive, chi non si arrende a finte lacrime complici ma si com-muove veramente, ha un cuore, una schiena dritta. E non si arrende. Sull’emergenza sanitaria, su quanto accaduto negli ultimi due anni e mezzo, sulla sofferenza, il dolore e la morte seminati dalla pandemia (tra cui affetti e persone care) l’animo e il cuore, una memoria vera, una commozione autentica la possiede e la condivide.
Una sentenza della Cassazione, le cui motivazioni sono state rese note nei giorni scorsi, sulla gestione dei contagi in una struttura residenziale sarda conferma la correttezza delle denunce dell’Associazione Sereni e Sempre Uniti e ribadisce l’esistenza del reato di epidemia colposa. «Le Sezioni Unite allargano la questione ponendo l’accento sulla tutela della salute pubblica e sulla mancata esecuzione di atti fondamentali che in Italia sono demandati agli organi amministrativi all’interno del Ministero della Salute ed alla Protezione Civile» ha sottolineato l’avv. Consuelo Locati.
Questo il comunicato integrale dell’Associazione Sereni e Sempre Uniti – familiari vittime covid19.
Il 10 aprile 2025 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno emanato una decisione che cambia radicalmente lo scenario giuridico del reato di epidemia colposa e che potrebbe riaprire i procedimenti italiani relativi alla gestione della pandemia del 2020. Con tale pronuncia, la Corte ha definitivamente confermato che il reato di epidemia colposa in forma omissiva è configurabile, mettendo quindi un punto alle precedenti due pronunce (2017 e 2021) che si fondavano solo sul significato letterale del reato di epidemia colposa inserito nel codice penale italiano del 1929, che prevedeva cioè la punibilità solo nel caso in cui un soggetto avesse materialmente “sparso” il virus.
Il 28 luglio 2025 le Sezioni Unite hanno poi depositato le motivazioni della pronuncia contenute nella sentenza pubblicata integralmente, rafforzando ulteriormente l’impatto della decisione: secondo la Corte, il reato di epidemia ha oggi una forma libera, non più vincolata alla mera diffusione materiale del virus, ma estendibile anche a condotte omissive, ovvero all’omissione di atti dovuti da parte delle pubbliche amministrazioni.
“Si tratta di un passo importantissimo”, ha commentato l’avvocato Consuelo Locati, legale del team che assiste i familiari delle vittime del Covid insieme ai colleghi Giovanni Benedetto, Luca Berni, Alessandro Pedone e Piero Pasini. “Nelle motivazioni, che abbiamo letto, dopo l’analisi del caso specifico, le Sezioni Unite allargano la questione ponendo l’accento sulla tutela della salute pubblica e sulla mancata esecuzione di atti fondamentali che in Italia sono demandati agli organi amministrativi all’interno del Ministero della Salute ed alla Protezione Civile”.
Tra le omissioni ritenute rilevanti dalla Corte figurano: la mancata distribuzione dei dispositivi di protezione individuale (DPI), l’assenza di formazione del personale sanitario per affrontare emergenze e la mancanza di una corretta informazione del rischio alla popolazione. Si tratta degli stessi elementi che hanno costituito il nucleo della maxi indagine della Procura di Bergamo, che ha coinvolto 21 persone tra politici e tecnici, e che ancora oggi prosegue a Roma grazie all’opposizione presentata dagli avvocati dei familiari delle vittime, con l’imputazione coatta di alcuni alti dirigenti del Ministero della Salute dell’epoca, tra cui Ranieri Guerra e Giuseppe Ruocco.
“La decisione delle Sezioni Unite – prosegue Locati – conferma la ragionevolezza e la fondatezza dell’azione giudiziaria intrapresa fin dal 2020. È un precedente che riscrive la narrazione giuridica di quanto accaduto in Italia durante la pandemia e rafforza anche la nostra azione in sede civile presso il Tribunale di Roma. Questa pronuncia ha un valore importante anche per il giudizio pendente avanti la Corte Europea dei Diritti dell’uomo in una fase cui giungono, lo sottolineiamo, solo il 5% dei ricorsi presentati”.
Soddisfazione anche dai familiari delle vittime dell’Associazione #Sereniesempreuniti, che vedono finalmente riconosciuto il fondamento delle loro denunce, avviate sin dal 2020, in un percorso difficile ma necessario di verità e giustizia per chi non c’è più.





