Contro la tifoseria geopolitica che invoca l’escalation “perché sì”, ricordiamoci una verità elementare: con il nucleare non si gioca. Non c’è “vecchia maniera” che tenga: le guerre moderne sono ibride, veloci, imprevedibili, con margini di errore che si misurano in minuti e conseguenze che durano generazioni. In questo contesto, trasformare il dibattito pubblico in una curva da stadio è irresponsabile. Serve saggezza, non adrenalina.
La nostalgia bellica è un’aberrazione romantica: oggi si combatte su più livelli — cinetico, informativo, cyber, economico — e le escalation possono innescarsi per errore, per fraintendimento o per automatismi. In un mondo saturo di sensori, droni e algoritmi, il tempo per correggere un errore si assottiglia, mentre i danni si moltiplicano. Se il livello sale, il fattore nucleare entra per definizione nel calcolo dei rischi, anche solo come minaccia. E quando il tavolo è quello, perdono tutti.
La semplificazione morale scalda i cuori, ma raffredda il cervello. Etichettiamo, esultiamo, insultiamo. E intanto:
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Si restringe lo spazio per il compromesso, l’unico vero strumento che ferma le guerre.
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Si premiano i piromani: chi urla più forte guadagna like, traffico, ospitate.
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Si deresponsabilizza il pubblico: se “i cattivi” sono inumani, ogni mossa diventa lecita. Finché non diventa irreversibile.
Gli incentivi che spingono (troppo) verso il fuoco
Non serve complottare: basta seguire gli incentivi.
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Industria degli armamenti: esiste, produce, vende. In certe congiunture, la domanda cresce.
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Piattaforme e infotainment: l’algoritmo preferisce indignazione e scontro; la prudenza non fa click.
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Politica sotto stress: quando mancano risultati rapidi sul fronte interno, la durezza retorica diventa una scorciatoia comunicativa.
Capirlo non significa accettarlo. Significa non farsi trascinare.
Tre mosse pratiche per “contare fino a tre”
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Raffreddare il linguaggio. Vietarsi iperboli che normalizzano l’escalation (“tanto è inevitabile”). Parole precise, obiettivi limitati, timeline realistiche.
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Riaprire canali di de-escalation. Hotline militari, protocolli anti-incidente, scambi di prigionieri, accordi tecnici su cose concrete (grano, corridoi umanitari, sicurezza nucleare civile). La diplomazia non è poesia: è manutenzione del rischio.
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Architettura della convivenza. Zone cuscinetto, misure graduali e verificabili, tavoli multilaterali tematici. Non “pace subito” come slogan, ma percorsi verificabili che abbassino la temperatura passo dopo passo.
Cosa possono fare media e cittadini
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Igiene informativa. Verificare fonti, evitare rilanci di contenuti incendiari “perché fanno discussione”.
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Dare spazio a esperti di rischio (controllo degli armamenti, gestione crisi), non solo a gladiatori televisivi.
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Distinguere posizione e soluzione. Chi urla ha una posizione; chi argomenta propone sequenze operative.
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Normalizzare il compromesso. È la parola adulta che salva vite, non il sinonimo di resa.





