La paura torna a bussare alle porte della Calabria. Un’altra rapina armata contro un gruppo di cacciatori, questa volta avvenuta domenica scorsa nella zona di San Calogero, nel Vibonese. Al confine tra i Comuni di Rosarno e Laureana, dove si è registrato l’episodio del 12 ottobre scorso.
Nel cerchio rosso (cartina in basso) è possibile vedere l’area dove hanno operato questi delinquenti da quattro soldi, che pensano di essere forti e “invincibili” solo perchè possono imbracciare – impunemente – un’arma. Parliamo, ovviamente, di semplici vigliacchi. Quattro “uomini” (ominicchi o quaquaraquà) armati hanno bloccato un’auto, intimato ai presenti di consegnare le armi e sono poi fuggiti nel buio delle campagne. Stesso copione, stessa ferocia.
Una tecnica che ormai sembra consolidata: auto di grossa cilindrata, armi da guerra, volto coperto, colpi a segno precisi. Un modo d’agire che non ha nulla di improvvisato.

Il primo episodio: l’assalto del 12 ottobre
Tutto era cominciato due settimane prima. WordNews.it fu il primo a raccontare la rapina ai danni di un gruppo di cacciatori lungo la provinciale che collega Rosarno a Laureana di Borrello. Un agguato in piena regola: uomini incappucciati, kalashnikov, pistole, azione rapidissima, fuga con le armi sottratte.
Un episodio inquietante, non solo per la brutalità, ma per il metodo: professionale, freddo, studiato.
La politica: solidarietà e silenzi
Dopo il primo assalto, la redazione di WordNews.it ha raccolto la voce del mondo politico calabrese. Nell’intervista a Stefano Princi, vicecoordinatore di Fratelli d’Italia a Reggio Calabria, l’esponente del partito di governo ha espresso solidarietà alle vittime e ha parlato della necessità di “una Calabria più sicura e rispettosa delle regole”. Ma quando il discorso si è spostato sulla ’ndrangheta, Princi ha preferito non pronunciarsi.
Una cautela che stride con la gravità dei fatti.

La voce del testimone: «Abbiamo guardato negli occhi la paura»
A distanza di pochi giorni, WordNews.it ha raccolto la testimonianza esclusiva di uno dei cacciatori rapinati. Un racconto sconvolgente. L’uomo ha descritto il momento dell’agguato: “Ci hanno puntato un Kalashnikov in faccia. Erano incappucciati, freddi, sicuri. In cinque minuti ci hanno portato via tutto”.
Non semplici delinquenti, ma una manovalanza armata, addestrata e senza scrupoli.
Lo stesso testimone, con lucidità e rabbia, ha definito la ’ndrangheta “un’organizzazione di merda che rovina tutto”, aggiungendo che la solidarietà di facciata non serve a nulla.
«Servono fatti, non frasi di circostanza», ha detto. Una lezione che la politica sembra non voler ascoltare.
L’analisi: una politica che non nomina più le mafie
Il 20 ottobre, WordNews.it ha pubblicato un editoriale dal titolo “Come si può sconfiggere la ’ndrangheta se la politica non la nomina?”. Un grido civile e giornalistico, nato proprio dal silenzio che ha accompagnato questi episodi.
Perché in Calabria, come nel resto d’Italia, la parola “mafia” è scomparsa dai discorsi ufficiali, cancellata da un linguaggio politico che preferisce parlare di “sicurezza” o “ordine pubblico”. Ma senza nominarla, la mafia vince.
Nuovo episodio: quattro uomini armati a San Calogero
E ora la storia si ripete. Un’altra rapina armata contro cacciatori, questa volta nel territorio di San Calogero, ancora una volta armi pesanti, quattro uomini incappucciati, tecnica militare.
È il segnale di una scia di violenza che non si è mai interrotta, e che continua a colpire nel silenzio generale. Le parole del testimone della prima rapina suonano oggi profetiche:
«Oggi è toccato a me, domani può succedere a un altro. Se non si prendono posizioni vere, finirà in tragedia».
La Calabria non ha bisogno di altra solidarietà di facciata. Ha bisogno di nomi, di prese di posizione, di coraggio politico. Perché finché la politica tace, queste bestie non avranno paura di nessuno.
Immagine AI
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