Abruzzo, terrorismo e lavatrici di capitali

La recente operazione anti-terrorrismo riaccende i riflettori su vicende degli anni scorsi. Dove la radicalizzazione terroristica si intreccia con il riciclaggio di denaro ampiamente presente nella regione adriatica.

Abruzzo, terrorismo e lavatrici di capitali

Arrestato 24enne foreign fighter italiano per terrorismo internazionale, arruolamento, apologia del terrorismo e istigazione. Individuato ad Idlib, in Siria, grazie alle indagini della Digos di Pescara e del Servizio per il contrasto all’estremismo e terrorismo esterno della Direzione centrale polizia di prevenzione. Questa in sintesi la notizia dello scorso 20 gennaio.

«Destinatario di una misura cautelare emessa nel 2017 e poi estesa in campo internazionale dalla Procura di l’Aquila che ha coordinato anche le successive indagini – ha reso noto la Polizia di Stato - dalla nascita residente in Svizzera, aveva intrapreso, quando era ancora minorenne, un percorso di conversione all’Islam che lo ha portato fino alla completa radicalizzazione.

Nel 2014 abbraccia definitivamente il movimento jihadista e parte alla volta del quadrante siro-iracheno per unirsi alla formazione qaedista Jabath Fatah al-Sham insieme alla moglie, una cittadina turca nata in Germania, dalla quale ha avuto quattro figli». Consorte che non ha nessuna implicazione nell’inchiesta ed è estranea ad ogni accusa mossa al foreign fighter. Le indagini, avviate cinque anni fa, hanno documentato l’attivismo «tra le fila dei gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda nonché la sua intensa attività di proselitismo, l’addestramento al combattimento e il successivo impiego in attività militari – aggiunge la Polizia di Stato - una volta individuato, ha chiesto di potersi consegnare alle autorità italiane e a tal proposito, gli uomini dell’Antiterrorismo della Polizia di Stato, dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) e della Digos di Pescara si sono recati ad Hatay (Turchia), città al confine con la Siria» per l’arresto.

L’operazione internazionale di questi giorni non è la prima contro il terrorismo che coinvolge l’Abruzzo. Dopo una precedente inchiesta nel settembre di due anni fa Antonio Ingroia e Azione Civile, il movimento politico da lui fondato e presieduto, scrissero che si dimostrava ancora una volta quanto la regione adriatica  «non sia isola felice ma teatro di trame e attività criminali» sottolineando che già in precedenza vi erano state analoghe operazioni, «fu arrestato un trafficante di armi nel teramano anni fa vicino a persone implicate nei traffici denunciati da Ilaria Alpi».

Questi crimini non sono «molto diversi», sottolinearono, da «criminalità di altra natura»: l’operazione di un anno e mezzo fa era nata «da indagini sull’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro per sostenere organizzazioni criminali». Nella regione adriatica «sono attivissime lavatrici di denaro sporco di mafie, colletti bianchi e trame varie per le quali agiscono collettori di finanziamenti a sostegno», un ventre oscuro  «nel quale agiscono dinamiche che danneggiano la collettività e mettono a rischio la società tutta. Che siano terroristi religiosi, cartelli di corrotti e corruttori o mafiosi.

In Abruzzo vengono quotidianamente riciclati patrimoni di camorristi, ‘ndranghetisti e mafiosi. Riciclaggio che si accompagna alla crescita di corruzione, narcotraffico, estorsioni, sfruttamento della prostituzione ed altri gravi crimini. Favoriti da “colletti bianchi” di varia natura che agiscono creando economie parallele e un forte tessuto criminale. Sul quale si è innestato anche una delle peggiori minacce della società odierna, il “terrorismo islamico”».

Lo scorso 14 gennaio abbiamo raccontato come sia documentato e accertato il riciclaggio di capitali riconducibili a Vito Ciancimino e ad esponenti della Banda della Magliana nella regione adriatica. Sono solo due vicende dell’elenco sterminato di una «lavatrice abruzzese».

La prima inchiesta risale addirittura alla Prima Repubblica: era il 1989 quando la Procura di Palmi dispose l’arresto di quindici persone tra Calabria, Abruzzo, Campania e Sicilia, accusate di associazione mafiosa. Gli arrestati furono accusati di riciclare soldi dei sequestri di persona, assegni rubati ad istituti di credito, proventi di estorsioni attraverso collegamenti con il mondo finanziario e immobiliare.

La Direzione Nazionale Antimafia nel 2007 scrisse che l’Abruzzo è una regione «in cui la criminalità organizzata aveva trovato terreno fertile per il riciclaggio di denaro sporco». Nello stesso anno l’allora senatore di Rifondazione Comunista Giuseppe Di Lello, in una delle interrogazioni parlamentari sulla presenza delle mafie in Abruzzo, pose l’attenzione su «un numero di istituti bancari e società finanziarie assolutamente abnorme […]; attività di indagine della Polizia giudiziaria hanno accertato una decina di bancarotte fraudolente e truffe con conseguenti indebiti arricchimenti […] ; a tal proposito gli organi di polizia hanno reiteratamente segnalato l’esistenza di ragioni di sospetto circa la presenza di interessi del crimine organizzato pugliese, siciliano e soprattutto campano in relazione a rilevanti operazioni di investimento immobiliare soprattutto sul litorale adriatico interessato da imponenti insediamenti immobiliari nel settore alberghiero e della ricreazione collettiva».

Dieci anni dopo secondo il rapporto della DIA le operazioni finanziarie sospette sono state 189 mentre sono state oltre quattro volte (767) le operazioni relativa a «reati spia» ovvero i «reati ritenuti maggiormente indicativi di dinamiche riconducibili alla supposta presenza di aggregati di matrice mafiosa, tra i quali sono ricompresi impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, usura, estorsione, danneggiamento seguito da incendio». In quei mesi un provvedimento della magistratura partenopea colpì «un’attività di riciclaggio realizzata essenzialmente attraverso investimenti immobiliari, con la complicità di funzionari di banca e amministratori comunali» che coinvolse i clan Mallardo, Puca, Aversano, Verde, Di Lauro e Amato- Pagano. Due mesi dopo ci fu un nuovo sequestro contro attività di reinvestimento di esponenti del clan Mallardo anche in Abruzzo.

Uno degli ultimi episodi è avvenuto l’estate scorsa: l’arresto di un imprenditore considerato vicino al clan Senese a Campo di Giove, dove aveva aperto due attività pronto ad espandersi su Sulmona.  

 

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