«Come Sindaco non posso che esprimere la mia totale contrarietà alla legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata»

L'INTERVISTA al Sindaco di Teramo Gianguido D'Alberto, sostenuto da una coalizione di centro-sinistra.

«Come Sindaco non posso che esprimere la mia totale contrarietà alla legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata»


La riforma sull'autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perchè? Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?

Come Sindaco, che vive appieno, quotidianamente, quella che è la realtà degli enti locali e dei territori, non posso che esprimere la mia totale contrarietà alla legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata.

Una legge che, così come licenziata dal Parlamento, rischia di aggravare ulteriormente il divario che già oggi esiste non solo tra le diverse Regioni italiane ma anche all’interno degli stessi territori e, dunque, tra i Comuni di una stessa Regione, minando di fatto il principio di unitarietà della Nazione e quello relativo alla garanzia dei diritti sociali e civili in tutto il Paese. Diritti rispetto ai quali non è certamente sufficiente l’individuazione dei Livelli essenziali di prestazioni, come insegna l’esperienza dei LEA in sanità. Ad essere sbagliato, a mio avviso, è l’impianto generale della riforma. Le faccio un esempio.

Nel testo finale, all’articolo 6, si stabilisce che le funzioni amministrative trasferite alle Regioni siano conferite, insieme alle risorse finanziarie e strumentali ai Comuni. Ma i Comuni di fatto vengono tenuti fuori da tutto il procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regioni, nonostante siano quelli sui quali impatteranno maggiormente i risultati di questo percorso. E non potrebbe essere altrimenti, perché i Comuni sono gli enti più vicini ai cittadini e quelli che erogano i servizi. In un momento storico in cui dovrebbero essere messi al centro dell’assetto istituzionale del Paese, come rilevato in più occasioni dallo stesso presidente Mattarella, vengono invece messi ancora una volta da parte nel disegno del Governo centrale.

Un’altra criticità, ad oggi, è costituita dal sistema di perequazione, sia finanziaria che infrastrutturale, di cui si parla poco e male, e che al contrario è più che mai essenziale. Sistema che, come rilevato peraltro dalla stessa Corte dei Conti, per essere efficace dovrà necessariamente “essere integrale per i fabbisogni valutati a costi standard per i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali, da finanziare attraverso l'autonomia tributaria per le restanti funzioni".

Inoltre, l’autonomia differenziata a federalismo fiscale inattuato rischia di trasformarsi in una vera e propria bomba sociale, senza considerare che l’attuazione di maggiori autonomie in alcuni settori, come la sanità, rischia di avere ripercussioni negative anche sulle stesse regioni “ricche”, in quanto ad oggi la crisi di sostenibilità del Sistema sanitario nazionale non consente a nessuna regione di aumentare la produzione sanitaria oltre un certo limite. Il paradosso è che nelle regioni più attrattive la crescente mobilità si potrebbe tradurre in un peggioramento del servizio rispetto ai residenti. Infine, lo stesso Country Report sull’Italia della Commissione Europea da poco pubblicato, ha segnalato come la devoluzione di ulteriori competenze alle Regioni italiane, in assenza di un quadro unitario, comporti forti rischi per la coesione e per le finanze pubbliche.

C'è chi dice che per primi, questa legge, l'ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?

Se è indubbio che l’attuale legge prende le mosse dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che in realtà non è mai stata pienamente attuata, credo anche che vada contestualizzato il quadro nel quale, nel 2001, si procedette al quella stessa riforma. L’obiettivo era quello di frenare le spinte verso la “devolution” che arrivavano da una parte del centrodestra e allo stesso tempo attuare quella valorizzazione delle autonomie locali già presente nella nostra Costituzione.

Tanto che la riforma del 2001, nella riformulazione dell’articolo 114, metteva al primo posto i Comuni, quali enti più vicini ai cittadini ripartendo le funzioni proprio a partire da questi ultimi, in virtù del principio di sussidiarietà verticale. La legge approvata a giugno, al contrario, li mette ancora una volta da parte e rischia, nella sua formulazione, di spaccare il paese aumentando le disuguaglianze.

La questione di fondo non è se è giusto o meno andare nella direzione di garantire una maggiore autonomia ai territori, che in ogni caso non può essere la priorità di questo tempo, ma di come questa autonomia viene garantita e di come vengono garantiti gli stessi diritti in tutto il paese.

Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?

Il principio di sussidiarietà è oggi fondamentale per affrontare le sfide che interessano il nostro paese e le nostre comunità. Con la modifica del titolo V, all’articolo 118, questo principio è stato finalmente costituzionalizzato e questo è particolarmente importante perché attraverso la sua attuazione si va a realizzare un modello decentrato di amministrazione pubblica che mette al centro gli enti locali più prossimi ai cittadini. Un principio che però, per funzionare, deve andare di pari passo con quelli di differenziazione e di adeguatezza.

La grande questione è che di fatto, come ho già detto, la riforma del titolo V è rimasta di fatto inattuata, basti pensare all’individuazione dei LEP che dal 2001 ad oggi non è mai avvenuta, e l’attuale legge sull’autonomia differenziata tutto fa tranne che andare a concretizzare quel principio di sussidiarietà inserito in Costituzione. Perché la sussidiarietà non va confusa con il trasferimento di funzioni, sono due cose ben diverse.

Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?

In realtà critiche alla legge approvata dal Parlamento sull’autonomia differenziata sono arrivate non solo dal centrosinistra ma dalla stessa Cei, dall’ufficio parlamentare di bilancio, dalle associazioni che rappresentano tutti i sindaci italiani, al di là degli schieramenti politici, dalle associazioni di categoria e dalla stessa Europa con il Country Report sull’Italia. Non si tratta di una questione politica.

Si tratta di dover prendere atto che in questo paese la priorità non è l’autonomia differenziata, che nella sua attuale formulazione non farà altro che aumentare le disuguaglianze, ma la piena attuazione della Costituzione, ancora lungi da venire. Perché oggi in Italia esistono già troppe differenziazioni: basti pensare alla sanità, al mondo della scuola. Se non riusciamo a garantire già oggi livelli essenziali di prestazioni efficienti su tutto il territorio mi chiedo come sia possibile farlo aumentando le differenziazioni e i gap tra le varie aree del paese.

Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull'autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?

Credo che con il referendum nessuno potrà esimersi dalla scelta di che parte stare. Oggi, come sindaco, non posso non rilevare come la scelta di percorrere la strada del referendum, che non viene chiesto solo dai sindaci ma da tante espressioni della società civile, sia una risposta obbligata alla sordità dimostrata a livello centrale rispetto alle richieste che arrivavano dai territori di modifiche ed emendamenti alla legge che poi è stata approvata e che, ribadisco, non hai mai rappresentato una priorità.

Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c'è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c'è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d'Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perché?

Come ho già detto l’individuazione dei LEP la aspettiamo da oltre 20 anni e, bisogna essere onesti, così come alla determinazione dei LEA non è corrisposta la garanzia, in maniera uniforme, dei livelli essenziali di prestazioni sanitarie sul territorio nazionale, anche la determinazione dei LEP rischia di rivestire un’utilità molto parziale. La loro definizione, che ad oggi sembra ancora lontana da venire – la stessa legge prevede che venga fatto entro 24 mesi dalla sua approvazione – non può essere l’unico controbilanciamento in quanto insufficiente.

E questo ancor di più se nella loro determinazione ci si riferisce alla spesa storica o se non vengono previsti fondi sufficienti perché vengano poi realmente garantiti. La necessità di assicurare la compatibilità con gli equilibri di bilancio rischia infatti di trasformare i LEP da livelli di servizio “assoluti”, garantiti costituzionalmente, a livello di servizi “minimi”, come rilevato dalla Fondazione Mezzogiorno.

C'è chi afferma, però, che con l'autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno...

L’autonomia differenziata, per poter camminare e garantire gli stessi diritti civili e sociali su tutto il territorio ha bisogno di ingenti risorse. Al contrario tutti gli atti di questo governo sono andati nella direzione di tagliare risorse agli enti locali.

Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?

No, come ho già evidenziato nelle risposte precedenti. Individuare i LEP non è garanzia di uguali diritti. Inoltre, ancora oggi, non si dà la giusta importanza al rapporto tra materie LEP e non LEP. Tra le materie non Lep, che sono potenzialmente trasferibili da subito alla Regioni, ve ne sono alcune particolarmente importanti, soprattutto per il mondo produttivo, quali rapporti internazionali e con l’Ue della Regione; commercio con l’estero; professioni; previdenza integrativa.

Si tratta di materie che hanno ricadute dirette anche su quelle per le quali dovranno essere individuati i livelli essenziali di prestazioni e che rischiano di creare un moltiplicarsi di norme, regolamenti, albi professionali, con un frazionamento delle politiche di sviluppo o di sostegno, rendendo di fatto impossibile garantire l’uguaglianza di condizioni di partenza sul territorio nazionale.

Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?

Credo che l’autonomia differenziata rischi di avere conseguenze particolarmente pesanti sul sistema sanitario nazionale, segnando un punto di non ritorno nella garanzia di quel diritto alla salute costituzionalmente riconosciuto. Come dicevo anche sopra già oggi la sanità rappresenta un settore di fatto regionalizzato, con ampi divari tra nord e sud.

Tutti i dati ci confermano come oggi in sanità, nonostante la definizione dei LEA, il loro monitoraggio annuale e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali i piani di rientro e commissariamenti, di fatto siamo di fronte ad una frattura strutturale che compromette la qualità dei servizi sanitari e rende spesso difficile l’accesso a quegli stessi servizi da parte di fasce ampie delle popolazione.

Basti guardare i dati su mobilità passiva e liste di attesa. L’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio da quelle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggiori capacità di attrazione, non potrà che amplificare le disuguaglianze, con esiti negativi anche sulle regioni del Nord che per rispondere alla richiesta di prestazioni da parte dei residenti di altre regioni si potrebbero trovare a non poter adeguatamente rispondere a quelle dei propri cittadini.

Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?

Oltre a quelli già evidenziati non posso che sottolineare come questo disegno di legge rischi ad oggi di aggravare una situazione già estremamente diversificata sul territorio nazionale, rendendo impossibile garantire l’uguaglianza dei diritti e la dignità della persona.

A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?

Personalmente penso che questa legge, così come approvata, sia la risposta sbagliata a quelle esigenze di valorizzazione delle autonomie locali che può avvenire solo in un contesto di unità nazionale e di uguali garanzie e condizioni di partenza su tutto il territorio.

E per farlo, prima di pensare alla devoluzione di materie, bisognerebbe, come ho già detto, attuare veramente la Costituzione nei suoi articoli fondamentali e investire in competenze e risorse sugli enti locali, a partire dai Comuni, che rappresentano la vera ossatura di questo paese.

 

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