«Credo nelle potenzialità nell'autonomia regionale e la sostengo, ma non posso ritenermi soddisfatto»

L'INTERVISTA all'onorevole Manfred Schullian, membro della Camera dei Deputati eletto in Trentino-Alto Adige e aderente al Gruppo Misto – Minoranze Linguistiche.

«Credo nelle potenzialità nell'autonomia regionale e la sostengo, ma non posso ritenermi soddisfatto»


La riforma sull'autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perchè?

In linea generale credo nelle potenzialità nell'autonomia regionale e la sostengo, anche se non posso ritenermi pienamente soddisfatto della legge Calderoli.

Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?

La legge Calderoli è l'attuazione del art. 116, comma 3 della Costituzione, delinea la procedura mediante la quale possono essere attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario. A mio avviso, la valutazione non può prescindere dal contesto in cui essa si colloca, ossia il sistema del regionalismo nel suo complesso e la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni.

C'è chi dice che per primi, questa legge, l'ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?

La riforma del titolo V fu proposta e approvata dalla maggioranza di centrosinistra di allora. Mi sembra innegabile che le basi per questa legge siano state gettate con quella riforma, la legge Calderoli stabilisce solamente la procedura per la sua attuazione.

Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?

In linea generale ritengo che il principio sia valido. Il problema principale è che la riforma del titolo V del 2001, per quello che è stato fatto, non è riuscita molto bene ed è in buona parte rimasta incompiuta. Alcune scelte nella ripartizione delle competenze tra Stato e regioni si sono rivelate irragionevoli, il Senato non è stato trasformato in una Camera delle regioni e il federalismo fiscale è ancora in gran parte inattuato.

Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?

Questo, purtroppo, è il grande problema che ci accompagna sempre. La strumentalizzazione politica regna sovrana e il merito delle questioni - che poi dovrebbe essere l'oggetto del dibattito - passa in secondo piano.

Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull'autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?

È sintomo di un'eccessiva conflittualità che caratterizza questa discussione sin dall'inizio, la quale, credo, poteva essere mitigata mediante un dialogo più approfondito sul merito. Comunque la questione, a mio avviso, non è quella della conformità o meno alla Costituzione della legge Calderoli, ma semmai della sua opportunità politica. Ma questa è una valutazione che non compete alla Corte Costituzionale.

Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c'è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c'è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d'Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?

Certamente non saranno i Lep la panacea di tutti i mali, una cosa è individuarli e definirli, un'altra è fare in modo che essi siano effettivamente garantiti. Ma è anche vero che il Sud del Paese ha un potenziale enorme che è del tutto inespresso. Io provengo da una regione, il Trentino-Alto Adige/Südtirol, che negli ultimi 60 anni ha avuto uno sviluppo straordinario, che senza l'autonomia - in quel caso a statuto speciale - non sarebbe stato possibile.

C'è chi afferma, però, che con l'autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno...

Questo resta da vedere, in linea teorica dovrebbe essere un gioco a somma zero. L'art. 5 della legge prevede che le nuove funzioni delle regioni vengono finanziate attraverso la compartecipazione a tributi erariali maturati sul territorio regionale, ma l'art. 8 prevede che la relativa aliquota può essere modificata di anno in anno con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, cioè eventuali surplus rispetto ai fabbisogni dovranno essere restituiti allo Stato. La vera sfida è quella di riuscire ad impiegare le risorse disponibili con maggiore efficienza.

Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?

Credo proprio di no.

Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?

La sanità è già oggi una materia in gran parte di competenza delle regioni. L'impatto che avrà l'autonomia differenziata dipende da quante regioni effettivamente chiederanno maggiore autonomia in questo settore e dal contenuto delle singole intese.

Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?

Ci sono alcuni punti critici. Il Parlamento è sì coinvolto nel procedimento, ma tutto sommato ha un ruolo del tutto marginale. Mi rendo conto che non è semplice inserire una macchina complessa come il Parlamento in un procedimento già complesso come quello di approvazione delle intese tra Stato e regioni, ma con la progressiva marginalizzazione del Parlamento, soprattutto in combinazione gli effetti come potrebbe avere una riforma come quella del premierato, si aprono degli scenari che mi preoccupano.
Venendo agli aspetto più tecnici, ad esempio non si comprende la ragione o lo scopo della disposizione concernente le regioni a statuto speciale le province autonome all'art. 11, comma 2, che qui non c'entrano nulla. L'art. 1 contiene un richiamo ultroneo ad un'elenco lunghissimo di principi costituzionali (come se questi non dovessero essere comunque rispettati) che non favorisce la leggibilità e la comprensibilità del testo.

A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?

Questa legge risponde ad una richiesta che alcune regioni del Nord avanzano da molti anni, poter gestire più competenze in autonomia. Da un altro punto di vista è la contropartita politica per un'altra riforma che è attualmente in cantiere, quella del premierato.

 

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