«Il nostro Paese ha bisogno di unità e coesione su temi come il lavoro, la sanità, l’ambiente»

L'INTERVISTA al Sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, rieletto nel 2022 appoggiato dal centrosinistra.

«Il nostro Paese ha bisogno di unità e coesione su temi come il lavoro, la sanità, l’ambiente»



La riforma sull'autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perchè?

La mia opinione da amministratore pubblico di una delle città più importanti del Mezzogiorno, che sganciandosi da vecchie logiche industriali sta dando vita ad un profondo processo di trasformazione sociale, economica ed urbana, non è certamente favorevole. Il nostro Paese ha bisogno di unità e coesione su temi come il lavoro, la sanità, l’ambiente. Ma, stando a quanto detta la riforma, sembra si vada in direzione opposta nonostante ci sia chi sostenga che l’autonomia differenziata possa portare a servizi più efficienti e adattati alle esigenze locali.

Francamente non mi sembra sia così: le già esistenti disuguaglianze tra le regioni più ricche e quelle meno abbienti aumenteranno, soprattutto con la devoluzione di competenze in materie come scuola, trasporto, energia e coordinamento della finanza pubblica.

Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?

Come penso di aver già fatto intuire con la prima risposta, la mia valutazione non può essere positiva. I fautori dell’autonomia differenziata la rappresentano come un’opportunità per garantire una maggiore efficienza e personalizzazione dei servizi, ma sappiamo tutti che questa “opportunità” può essere tale solo dove già esistono risorse e servizi soddisfacenti e questo non mi pare sia il caso delle regioni meridionali.

Prima di dar vita ad una riforma del genere sarebbe stato più logico procedere velocemente al ridimensionamento delle diseguaglianze fra le regioni.

C'è chi dice che per primi, questa legge, l'ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?

L’analisi che il centrosinistra abbia voluto per primo la legge con il Titolo V della Costituzione nel 2001 è corretta. La riforma del Titolo V fu promossa da governi di centrosinistra e mirava a un maggiore federalismo e autonomia regionale, ma la riforma attuale, pur riprendendo quell’idea, è stata fatta su misura per le regioni più ricche.

In poche parole, questa legge stabilisce con chiarezza il principio secondo cui alcuni cittadini italiani, per il fatto di vivere in una certa regione, debbano essere trattati meglio di altri. Ricordiamoci che le ricadute di un modello mal impostato sono potenzialmente dannose per i diritti e l’eguaglianza dei cittadini, di conseguenza sarebbe auspicabile la necessità di un ripensamento...

E a proposito di “ripensamenti”, mi sembra sia arrivato il momento di procedere con la riforma dell’attuale governance delle Province, Enti che dopo esser stati pesantemente ridimensionati adesso devono tornare ad acquisire importanza e dignità attraverso il riconoscimento di competenze e risorse.

Così come sarebbe il caso di alleggerire il peso che hanno le Regioni in determinati contesti.

Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?

Ritengo che il principio di sussidiarietà verticale sia ben espresso dall’attuale Titolo V, visto che punta a decentralizzare le funzioni amministrative per avvicinarle ai cittadini.

Tuttavia, l’effettiva realizzazione di questo principio nel ddl di attuazione è oggetto di un acceso dibattito, con alcuni che ritengono che non sia pienamente rispettato. Ma pensando all’autonomia che si vuole devolvere alle Regioni, mi viene facile chiedere perché da noi, a Taranto, sui destini dello stabilimento ex ILVA non possiamo avere alcun margine di manovra, non possiamo avere la possibilità di partecipare a scelte che vanno ad incidere sull’ambiente e sulla salute dei cittadini.

Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?

La preoccupazione che l’autonomia differenziata possa concludersi come una mera opposizione politica, perdendo di vista la soluzione dei problemi che questa riforma ha sollevato, è espressa da più parti.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di soddisfare i bisogni reali dei cittadini, ma abbiamo già sperimentato che in più di un’occasione ad essere perseguiti prioritariamente sono gli interessi partitici. E la riforma sull’autonomia differenziata, ritengo sia un chiaro esempio.

Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull'autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?

L’appello di diversi sindaci, specialmente in Calabria, per impugnare la legge sull’autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale è la palese dimostrazione di quanto sia concreto il timore che la legge possa ledere l’unità del paese e creare disparità tra le regioni.

Basti pensare alla formidabile ampiezza delle competenze richieste da regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna… con la concessione di queste materie ditemi se non si è di fronte ad una vera e propria secessione, con la creazione all’interno del Paese di “regioni-Stato” in grado di governare in maniera autonoma su quanto hanno chiesto.

Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c'è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c'è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d'Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?

È vero: la valutazione sull’impatto dei Livelli Essenziali di Prestazione (Lep) sulle regioni del sud non è univoca. Mentre alcuni ritengono che i Lep possano aiutare a standardizzare i servizi su tutto il territorio nazionale, altri temono (secondo una tesi che io condivido) che possano accentuare le disuguaglianze esistenti qualora non correttamente attuati.

Ma non basta. Oltre al fatto che non è ancora ben chiara la loro definizione, ci sono aspetti forse ancor più rilevanti che attengono a come saranno finanziati, al loro raggiungimento e alla loro applicazione. Aspetti che per adesso sono accompagnati da dei punti interrogativi.

C'è chi afferma, però, che con l'autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno...

La preoccupazione che con l’autonomia differenziata ci saranno meno risorse disponibili è condivisibile, soprattutto se non saranno adeguatamente redistribuite in base ai Livelli Essenziali delle Prestazioni, che, come abbiamo visto, sono tuttora avvolti da un bel po’ di incertezze.

Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?

Tutto ruota attorno alla loro efficacia, che dipenderà dalla loro corretta definizione e dal finanziamento adeguato. Sostenere sin d’ora che saranno sufficienti per garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti, mi sembra un azzardato esercizio di ottimismo.

Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?

L’impatto della legge sull’autonomia differenziata sulla sanità potrebbe essere significativo, se non proprio devastante. Esiste il rischio che le disuguaglianze di salute si amplino ulteriormente, specialmente se non ci sarà un investimento adeguato e un potenziamento del ruolo del Ministero della Salute.

E questo non dimenticando che il Sud sta già affrontando problemi che influiscono negativamente sull’organizzazione e sul finanziamento dei servizi sanitari.

Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?

Gli aspetti critici non mancano. Anzi. Ve ne sono numerosi. Ad esempio, posso citare quelli legati alle preoccupazioni per l’equità nella distribuzione delle risorse e per la coesione nazionale, oltre alla complessità dell’attuazione e al rischio di aumentare le disuguaglianze regionali.

Un rischio estremamente concreto, che il nostro Paese non può permettersi di correre. Forse non si è capito che in questo modo andiamo verso una spaccatura netta e, probabilmente, non più sanabile dell’Italia. In barba a ciò che viene previsto dall’articolo 5 della nostra Costituzione.

A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?

Iniziamo col dire che la legge Calderoli intende stabilire una procedura che le Regioni devono seguire per acquisire una competenza legislativa differenziata per un massimo di dieci anni. Messa così, è vista, da chi l’ha voluta, come un passo verso la realizzazione di un modello di federalismo fiscale e amministrativo che ha l’obiettivo di migliorare l’efficienza e l’efficacia dei servizi pubblici. Una valutazione che non mi trova assolutamente d’accordo.

Ritengo che l’autonomia differenziata, così come concepita, possa davvero portare ad un’Italia a “due velocità”, dove le disparità regionali finiranno con l’amplificarsi anziché ridursi, compromettendo sia la coesione nazionale sia l’equità sociale.

Continuare a sostenere che le disuguaglianze tra le regioni italiane, in particolare tra il Nord più ricco e il Sud meno sviluppato, non ci saranno è qualcosa a cui non ci crede più nessuno.

 

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