Ma se nemmeno i magistrati conoscono la differenza tra Testimoni e collaboratori di Giustizia…

Poche ore fa è stata notificata ad un Testimone di giustizia una comunicazione indecente, indirizzata al Servizio Centrale di Protezione: ORDINE DI TRADUZIONE. Questa fredda terminologia, generalmente, è utilizzata per i collaboratori, per coloro che hanno sulle spalle una detenzione. Perché usarla per un testimone di giustizia?

Ma se nemmeno i magistrati conoscono la differenza tra Testimoni e collaboratori di Giustizia…


 

Sembra una battaglia impari. Una notifica da parte di un Tribunale italiano ha svelato l’arcano: nemmeno alcuni magistrati conoscono (o fanno finta di non conoscere) la differenza tra Testimoni e collaboratori di Giustizia.

Ecco una breve spiegazione: i Testimoni sono persone perbene che hanno denunciato le mafie. Hanno perso tutto, ci hanno messo la faccia e hanno avuto quel coraggio che molti cittadini continuano a non avere. I collaboratori, invece, non sono state persone perbene. Hanno saltato il fosso per un motivo di opportunismo. In poche parole: per la riduzione della pena.

Eccoci al grave fatto. Poche ore fa è stata notificata ad un Testimone di giustizia (il giorno dopo l'Udienza) una comunicazione indecente, indirizzata al Servizio Centrale di Protezione: ORDINE DI TRADUZIONE. Questa fredda terminologia, generalmente, è utilizzata per i collaboratori, per coloro che hanno sulle spalle una detenzione. Perché usarla per un testimone di giustizia?

Ma nella comunicazione (nella foto in alto) si legge anche: “Imputato collaboratore di giustizia”. Il soggetto in questione è alle prese con gli alimenti da dare alla sua ex consorte, ecco perché risulta essere imputato in un procedimento. Stiamo parlando, ovviamente, di un reato banale: il 570 del codice penale. Ovvero la violazione dell’obbligo di prestare i mezzi di sussistenza. “Abbiamo tutti gli elementi – ha spiegato il legale – per essere assolti. Il mio cliente è nel giusto. Abbiamo le ricevute di pagamento”. Ma la terminologia? “È successo anche in passato – ha aggiunto il legale del Testimone – e abbiamo provveduto a rettificare”.

Un linguaggio offensivo nei confronti di persone che non hanno nulla a che fare con l’altra categoria. Un linguaggio calunnioso. Non è la prima volta che gli appartenenti alle Istituzioni identificano in questo modo queste persone. Lea Garofalo, ad esempio, uscì dal programma di protezione proprio per il trattamento vergognoso a lei riservato. E Lea Garofalo, che oggi compare sulle bandiere a pagamento, in vita è stata maltrattata e abbandonata dallo Stato, dai componenti alcuni Organi dello Stato, dalle Associazioni e anche dai cittadini (nessuno ha mai aiutato la giovane donna). Chiamata “pentita” in vita e poi santificata dopo la sua orribile morte causata dagli appartenenti alla ‘ndrangheta calabrese.

Il linguaggio utilizzato nella comunicazione si è ripetuto anche durante l’Udienza di ieri. “Mi hanno chiamato collaboratore davanti a 50 persone. Ho tentato di rettificare l’errore, il giudice ha detto che dovevo stare zitto. Risulta tutto dal verbale. Non mi hanno dato la possibilità di rettificare il grave errore. Sono stato zittito”. Ma le parole sono importanti e vengono sempre utilizzate contro queste persone che non hanno alcuna protezione e tutela. 

Così vengono trattati i Testimoni di giustizia nel Paese delle mafie.

Dalla Relazione del 2008 dell’On. Angela Napoli (“I Testimoni non sono visti come una risorsa ma come un peso”) non è cambiato nulla. Le persone perbene non denunciano. Hanno paura di entrare in questo circolo vizioso, dove nessuno pensa a tutelare chi ha fatto semplicemente il proprio dovere.

Ma il Servizio Centrale di Protezione? Perché non interviene quando determinate situazioni – drammatiche per le persone perbene – vengono denunciate?

Ultima domanda: ma i rapporti di parentela di chi amministra la Giustizia in questo Paese vengono analizzati da qualcuno? Esiste la possibilità che dei legami di parentela possano portare a certe situazioni poco gradevoli?  Domande, per adesso, retoriche a cui cercheremo di rispondere nei prossimi giorni.

“Il giudice deve offrire di sé stesso l’immagine di una persona seria, equilibrata, responsabile, l’immagine di uno capace di condannare, ma anche di capire; solo così egli potrà essere accettato dalla società. Questo e solo questo è il giudice di ogni tempo; se apparirà sempre libero e indipendente, si mostrerà degno della sua funzione; se si manterrà integro e imparziale non tradirà mai il suo mandato”, diceva il giudice, ammazzato da Cosa nostra, Rosario Livatino.

Oggi è ancora così?