«Non è una riforma della giustizia ma dei magistrati. Inutile e pericolosa.»

L'INTERVISTA al magistrato Ida Teresi, presidente della sottosezione di Napoli dell'ANM (Associazione Nazionale Magistrati).

«Non è una riforma della giustizia ma dei magistrati. Inutile e pericolosa.»


Il 29 maggio è stata approvata in CDM la riforma della giustizia. Quali sono i punti cardini?

Non è una riforma della giustizia ma dei magistrati. Inutile e pericolosa. Tra i suoi punti fondamentali la separazione tra le carriere di giudici e pubblici ministeri: ma già oggi i passaggi di funzione in pratica non esistono mentre la condivisione della cultura della giurisdizione assicura un pm garantista e imparziale. Poi, istituzione di due CSM (Consiglio Superiore della Magistratura, l’organo di autogoverno che garantisce funzionalità, autonomia e indipendenza della magistratura), uno per i pm e l’altro per i giudicanti, nei quali poi aumenta il peso della componente laica, espressione della politica, e viene abolito il diritto di elettorato attivo e passivo soltanto per i magistrati, scelti attraverso il sorteggio e non più mediante libere elezioni: anche qui una scelta del tutto inutile e dannosa che servirà soltanto ad alimentare spinte corporativiste e interferenze politiche.

Ancora, sottrazione al CSM del potere disciplinare mediante la costituzione di un’Alta Corte: che da un lato, in quanto giudice speciale, è in contrasto con l’art. 102 Cost (che ne vieta la istituzione) e dall’altro è composta da soli cassazionisti, ritornandosi così alla magistratura verticistica del secolo scorso. Una Corte disciplinare che non garantisce pluralismo e indipendenza e soprattutto non è necessaria poiché l’attuale sistema disciplinare (assegnato al CSM, con la possibilità di ricorso in cassazione) funziona benissimo, dati alla mano, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo: il vero obbiettivo è in realtà trasmettere un messaggio punitivo e intimidatorio alla magistratura, soprattutto a quella più coraggiosa e incline ad esercitare il controllo di legalità anche verso il potere, politico ed economico; cioè a garantire l’eguaglianza dei cittadini e tutelare i diritti, individuali e collettivi, a prescindere dai desiderata della maggioranza di governo: come è necessario affinchè uno Stato moderno Stato possa definirsi liberale e democratico.

La ritiene giusta?

Non è giusta perché dannosa per i cittadini, i veri interessati a una giustizia realmente indipendente e imparziale; e che sia anche efficiente, ma l’efficienza non pare interessare a coloro i quali dovrebbero garantirla assicurando risorse umane e materiali e leggi che introducano procedure snelle e razionali.

Con la separazione dei pubblici ministeri dai magistrati giudicanti, c'è il pericolo concreto che il pm sarà asservito all'esecutivo?

E’ una certezza, dimostrata dalla storia, passata e recente, e dall’attualità. Non esiste alternativa, in nessuna epoca e a nessuna latitudine: il pm o è autonomo e indipendente, inserito nella giurisdizione e parte pubblica imparziale o è sottoposto all’esecutivo, maggioranza di governo, e dunque parte parziale. I Paesi che non hanno il nostro sistema guardano a noi come a un modello virtuoso perché il pm indipendente garantisce anche l’imparzialità del giudice: prova ne sono ad esempio numerose sentenze delle Corti europee che stigmatizzano i rischi per la imparzialità del giudice dovuti al pm separato. Noi abbiamo deciso di fare un passo indietro.

Ma è davvero urgente questa separazione delle carriere?

Assolutamente no. Non certo per garantire efficienza e qualità della giustizia: per quello occorrono i mezzi, che spetta al Ministero assicurare, mentre la situazione del personale amministrativo, ad esempio, è disastrosa. Il comparto è in crisi totale: si va avanti attingendo a inventiva e senso del dovere, ma le magie non sono possibili. Stesso discorso va fatto per le infrastrutture informatiche e tecnologiche: sulla carta l’attualità e il futuro della giustizia italiana, per edictum principis, ma di fatto completamente inadeguate.

Per non parlare della incongruità delle regole procedurali: abbiamo un rito penale spurio, farraginoso e irrazionale; e troppe inutili norme incriminatrici: occorrerebbe una seria depenalizzazione per perseguire ciò che davvero merita sanzione penale lasciando alla regolamentazione amministrativa ciò che le spetta e che invece viene scaricato sul penale. La eccessiva penalizzazione è sintomatica da un lato dell’assenza di una pubblica amministrazione efficiente, dall’altro della volontà di utilizzare la leva penale in modo strumentale e improprio. Ma le grida manzoniane dovremmo lasciarle a un’altra epoca. Meglio una seria assunzione di responsabilità da parte del decisore politico.

Con questa riforma si può dire che è in atto un atteggiamento di rivalsa della politica sulla magistratura?

Si porta a compimento un risalente quanto attuale disegno di compressione e riduzione del controllo di legalità che studi recenti di livello internazionale definiscono di “impacchettamento delle Corti”: una compressione di autonomia e indipendenza, e dunque della imparzialità, che garantisce l’accrescimento del controllo dell’esecutivo sul giudiziario. Come sta accadendo in diversi Stati, anche europei, incamminati verso una deriva illiberale.

I sostenitori della riforma dicono che sarà la fine della mala magistratura e della degenerazione delle correnti, valorizzando i giudici bravi e indipendenti (grazie anche al sorteggio). È così?

Assolutamente no. L’effetto sarà opposto, valorizzando i peggiori: quelli meno professionali e coraggiosi, più inclini a compiacere il potere politico o economico, a evitare i rischi e i fastidi di indagini delicate o scomode.

Si legittimerà la politicizzazione della magistratura, soprattutto inquirente, a dispetto delle finalità affermate. Quanto alle correnti: le degenerazioni sono combattute in primo luogo dalla magistratura associata italiana. Lo abbiamo sempre fatto, e continueremo a farlo con risolutezza: non per niente gli scandali di qualche anno fa sono stati scoperti grazie all’operato della magistratura; e quelle degenerazioni sono frutto anche della ingerenza della politica: paradossalmente la riforma renderebbe stabile e legittima quella ingerenza, che ora è a ragione considerata una patologia e come tale contrastata.

Non c'è il pericolo di indebolire il Csm e di aumentare notevolemente i costi visto che ne servirebbero due e sarà presente pure l'Alta Corte?

Esatto: svuotamento sostanziale dell’autogoverno, che è invece uno dei cardini del bilanciamento dei poteri in ogni paese democratico; e inutile aggravio dei costi. Non dimentichiamo che l’attuale assetto, voluto dai Costituenti, è frutto dei drammi della guerra e della dittatura, e reazione a quelli. Alcuni sostenitori della separazione delle carriere, in particolare le Camere penali, sostengono che l’unità della giurisdizione si fondava sul rito inquisitorio allora vigente e ora non sarebbe più giustificata: mi permetto di osservare che tale affermazione stride fortemente con la storia.

L’esigenza era in realtà quella di evitare in futuro le storture e le tragedie del controllo dell’esecutivo sulla magistratura requirente; non per nulla una delle prime riforme dell’Italia repubblicana fu quella di rendere il pm indipendente e sottrarlo al ministro. Pure dire che il rito accusatorio “vuole” necessariamente il pm separato è profondamente sbagliato: non esiste nel mondo un unico modello di rito accusatorio né di statuto del pubblico ministero, ma tante diverse declinazioni. Peraltro, con una chiara spinta proveniente dalle Corti internazionali verso un accrescimento della indipendenza del pm anche nei riti accusatori.

Sanzionare i magistrati che sbagliano: è realmente questo l'obiettivo o è un'altra forma di attacco incondizionato della politica alla magistratura? E se questa sanzione dovesse diventare realtà, cosa succede?

La narrazione di una presunta impunità dei magistrati che sbagliano è falsa. Sono sempre stati sanzionati, a livello penale, disciplinare e professionale. Abbiamo numeri assolutamente superiori a quelli di qualsiasi altra categoria professionale o pubblica. Se il sistema dovesse diventare quello della riforma, l’effetto sarebbe di indurre a comportamenti difensivi: la negazione della giustizia come servizio al cittadino.

Nel discorso del guardiasigilli Nordio e, successivamente, della Premier Meloni hanno citato il giudice Giovani Falcone. Lo ritiene corretto?

No. Il pensiero di Falcone era in realtà più articolato e complesso, e comunque frutto di esperienza personale e contesto storico-normativo. Ogni semplificazione diventa strumentalizzazione, e non tiene conto della successiva stratificazione di eventi che hanno caratterizzato in seguito il concreto esplicarsi del nuovo rito penale, all’epoca di Falcone appena introdotto. Oggi sono ancora più chiari i rischi di un pm non giurisdizionale e la infondatezza della equazione rito accusatorio-pm separato.

Questa era una riforma voluta da Silvio Berlusoni e da Bettino Craxi prima di lui. Addirittura era uno dei punti cardini del Piano Rinascita Democratica di Licio Gelli e della Loggia Massonica P2. Secondo lei c'è un disegno più ampio dietro questa riforma?

Non sono adusa a intravedere trame e complotti. Guardo ai fatti, e quelli sono significativi: le riforme oggi in corso di adozione coincidono con alcuni vecchi progetti. Ognuno potrà fare le proprie valutazioni.

L'ANM è pronto allo sciopero. È giusto?

L’ANM è pronta a fare ciò che le compete: studio e interlocuzione con rispetto istituzionale; segnalazione di criticità e proposte. Ancora, testimonianza e mobilitazione qualora necessario di fronte a concreti pericoli per l’assetto costituzionale della giustizia italiana. Non per arrogarsi poteri altrui o difendere se stessa, ma soltanto a difesa dei principi fondamentali. Come ci aspettiamo faccia l’avvocatura italiana, in questo momento rappresentata da posizioni invero ideologiche di alcuni penalisti espresse da slogan che manifestano la loro inconsistenza alla prova del contraddittorio ragionato e lucido. La sintesi delle motivazioni dei penalisti italiani (almeno degli organismi rappresentativi) è infatti di fortissima e talvolta offensiva critica non verso i pubblici ministeri ma verso la professionalità e indipendenza dei giudici.

Non si capisce allora perché intervenire sui pm: per di più per peggiorarne lo statuto, radicalizzandone e formalizzandone la politicità e supremazia sugli stessi avvocati oltre che su quei giudici che gli avvocati affermano esercitare male la propria funzione in quanto appiattiti sul pubblico ministero. Una evidente contraddizione interna, frutto di assente ponderazione dei rischi di deriva illiberale paradossalmente avallata da chi si dichiara (ed è, storicamente) espressione di una categoria intrisa di valori liberali e democratici che esercita una fondamentale funzione di tutela della libertà e dei diritti del cittadino. Di “tutti” i cittadini.

C'è la possibilità di andare al Referendum o si raggiungeranno i due terzi in Parlamento?

Speriamo che il Legislatore riesamini i tanti aspetti critici di questa riforma, segnalati anche da insigni costituzionalisti e da organismi sovranazionali. Qualora dovesse andarsi al referendum saremo pronti a impegnarci per il no.

Qual è lo stato attuale della Magistratura dopo questa riforma e la precedente riforma Cartabia?

La magistratura attuale è frutto di decenni di crescita professionale e formazione “costituzionale” grazie alla quotidiana applicazione dei principi della nostra Carta, che vive nella quotidianità delle nostre funzioni. Ed è infinitamente più indipendente e democratica di quella del periodo monarchico, o immediatamente post-repubblicano: soprattutto e proprio quella inquirente, che ha impiegato molto più tempo, a Costituzione vigente, a liberarsi delle tossine del controllo politico. In ciò aiutata anche dall’associazionismo, il cui valore democratico non va sottovalutato. La riforma in discussione riporterebbe il Paese indietro di decenni. Quanto alla riforma Cartabia, accanto a molte novità positive (sostanziali, procedurali e ordinamentali) si segnalano alcuni appesantimenti procedurali che non consentono una reale accelerazione del processo penale, e richiederebbero peraltro più personale, che invece manca.

A conti fatti chi pagherà di più da questa riforma se dovesse venire approvata: la magistratura o i cittadini?

Senza dubbio i cittadini. Meno controllo di legalità significa meno uguaglianza. Non è senza significato che alcuni illustri avvocati sostenitori della riforma affermano che così non accadrà più quanto successo con “mani pulite”: il potere pubblico, che gestisce il denaro dei cittadini e dovrebbe assicurare i servizi alla collettività, vuole impunità. I pm italiani potrebbero accettare in silenzio maggiori poteri, corporativismo e protezione politica: come nel sistema americano, talvolta evocato come modello agognato ma temo in virtù di una limitata conoscenza delle relative storture. Rifiutiamo quel modello e quei poteri proprio perché abbiano a cuore gli interessi dei cittadini.

 

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