«Non sono contrario al principio autonomistico ma alla forma di attuazione scelta dalla maggioranza di governo»

L'INTERVISTA al consigliere regionale Regione Campania Vincenzo Ciampi, in quota Movimento 5 Stelle.

«Non sono contrario al principio autonomistico ma alla forma di attuazione scelta dalla maggioranza di governo»



La riforma sull'autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perché?

Sono fermamente contrario alla legge n. 86/2024 di attuazione dell’autonomia differenziata, come cittadino italiano e campano prima ancora che come esponente del Movimento 5 Stelle. Non sono contrario al principio autonomistico in sé, ma alla particolare forma di attuazione scelta dalla maggioranza di governo nazionale.

Questione che ho precisato anche nel corso della seduta del Consiglio regionale della Campania che ha deliberato la richiesta di referendum abrogativo della legge Calderoli.

Il principio autonomistico non può essere separato dall’intero quadro di valori fondamentali consacrato dalla Costituzione repubblicana, nell’ambito del quale il principio solidaristico occupa una posizione preminente rispetto al principio autonomistico. L’articolo 3 della Carta fondamentale, oltre a sancire la pari dignità sociale di tutti i cittadini, assegna alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano di fatto la loro libertà ed eguaglianza. L’autonomia differenziata, così com’è stata concepita dalla legge Calderoli, va esattamente nella direzione opposta rischiando di aumentare ulteriormente il divario tra il Nord e il Sud del Paese.

Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?

Negativa, non solo sotto il profilo contenutistico, ma anche sotto il profilo della veste giuridica adottata. A detta di diversi autorevoli studiosi di diritto costituzionale, è particolarmente infelice la scelta del governo di intervenire sull’attuazione dell’autonomia non con un atto di rango costituzionale, approvato secondo la procedura prevista dall’articolo 138 della Costituzione, bensì con legge ordinaria, che può essere derogata da qualsiasi altra legge ordinaria successiva, comprese le leggi di approvazione delle intese tra Stato e Regioni.

La procedura delineata dall’articolo 138 offre peraltro maggiori garanzie democratiche, prevedendo per l’approvazione della legge costituzionale due successive deliberazioni, di cui la seconda a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Inoltre il referendum costituzionale, diversamente dal referendum abrogativo, non necessita di un quorum minimo di votanti per la sua validità.

C'è chi dice che per primi, questa legge, l'ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?

È una ricostruzione tendenziosa. L’attuale maggioranza di governo nazionale, con questa legge, intende dare attuazione – a modo suo – a una norma introdotta in Costituzione nell’ambito della riforma del Titolo V del 2001, voluta dal centrosinistra.

Una riforma non priva di criticità e che necessiterebbe di diversi interventi correttivi, come del resto riconosciuto oggi da molti esponenti dello stesso centrosinistra. La riforma fu mossa da una valutazione politica quantomeno ingenua: tentare di placare le velleità secessionistiche della Lega Nord riconoscendo particolari forme di autonomia alle Regioni.

Si è trasformata, purtroppo, in una tappa del processo di disgregazione del Paese che si sta portando a compimento oggi.

Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?

Il principio di sussidiarietà, che condivido pienamente nella sua formulazione costituzionale, trova il suo limite nell’esigenza di assicurare “l’esercizio unitario” delle funzioni amministrative.

Ci sono alcune materie, come la tutela della salute e l’istruzione, che a mio avviso, in particolar modo in questo momento storico, necessitano appunto di “esercizio unitario” e non dell’ulteriore parcellizzazione determinata dalla legge Calderoli.

Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?

Faccio parte di un Movimento che ha sempre cercato di esaminare i problemi al di là delle etichette, talvolta usate per ridurre il dibattito politico a scontro tra tifoserie contrapposte.

Le ragioni della nostra contrarietà a questa legge non sono pregiudiziali e ideologiche, ma muovono dalla sua oggettiva pericolosità per la coesione della Repubblica. Lo dimostrano anche i dubbi, perplessità e distinguo espressi in questi giorni da parte di alcuni esponenti di centrodestra meridionali.

Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull'autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?

Sono favorevole a qualunque iniziativa volta a ottenere l’abrogazione di questa legge, a ogni livello istituzionale.

Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c'è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c'è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d'Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?

Non basta determinare i LEP per colmare il divario tra Nord e Sud, è necessario finanziarli adeguatamente. Elencarli lascia il tempo che trova. Purtroppo nel quadro politico attuale non si intravedono risorse per finanziare i LEP in una misura sufficiente a ottenere il superamento delle disuguaglianze socioeconomiche tra il Nord e il Sud del Paese.

Abbiamo già visto in ambito sanitario cosa è accaduto con i livelli essenziali di assistenza (LEA) che, pur determinati sulla carta, non hanno mai trovato concreta applicazione.

C'è chi afferma, però, che con l'autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno...

Questa legge trae origine dal desiderio della Lega di trattenere nelle Regioni del Nord una parte maggiore dei ricavi delle imposte versate dai cittadini settentrionali. Parliamo di un partito che, al netto della cosmesi nazionalpatriottica degli ultimi anni, rimane quello di “Roma ladrona”.

Il loro obiettivo determinerà inevitabilmente una riduzione delle entrate dello Stato e un depauperamento delle risorse destinate al Mezzogiorno, laddove al fine di colmare i divari occorrerebbe al contrario aumentare le risorse destinate alle Regioni meridionali.

Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?

La stessa definizione di “livelli essenziali delle prestazioni” appare poco compatibile con il principio solidaristico espresso dall’articolo 3 della Costituzione, che non si limita a garantire una soglia minima di diritti e servizi ma attribuisce alla Repubblica un compito ben più alto: rimuovere le disuguaglianze.

Il termine “essenziale” evoca invece il semplice raggiungimento di un livello delle prestazioni appena sufficiente. Condivido l’auspicio, espresso da alcuni esponenti di centrosinistra, di una trasformazione dei LEP in LUP, “livelli uguali di prestazioni”, da garantire a prescindere dalle differenze strutturali tra territori.

Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?

Uno dei rischi principali è l’incremento della mobilità sanitaria Sud-Nord, soprattutto se si permetterà alle ricche Regioni settentrionali di attrarre il personale medico e sanitario meridionale attraverso la stipula di contratti integrativi regionali che garantiscano livelli retribuitivi che le meno ricche Regioni meridionali non potranno pareggiare. All’esodo di medici, infermieri e OSS seguirebbe quello dei pazienti, costretti a fuggire da una sanità meridionale spogliata delle risorse umane e materiali.

Il “turismo sanitario” diventerebbe ancora più spinto di quello già esistente oggi e aumenterebbe il sovraffollamento dei sistemi sanitari delle Regioni settentrionali, a danno degli assistiti residenti. Ciò dimostra che questo progetto è nocivo anche per i cittadini del Nord.

Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?

Oltre a quelli già esposti, voglio porre l’attenzione sulla categoria residuale delle “materie non LEP” che risulta per sottrazione dall’elenco delle “materie LEP” di cui all’articolo 3, comma 3, della legge Calderoli. Le “materie non LEP” hanno una duplice funzione: consentire alle Regioni di partire subito con la differenziazione senza attendere la fissazione dei LEP e liberare lo Stato dall’obbligo di assicurare la garanzia dei diritti concernenti tali materie nelle Regioni che non accederanno alla differenziazione.

Per questo motivo, al Consiglio regionale della Campania il Movimento 5 Stelle aveva proposto di sottoporre al corpo elettorale ulteriori tre quesiti, uno dei quali aveva ad oggetto l’abrogazione di questa norma. Tuttavia, l’esigenza di mantenere unito il fronte referendario in tutte le cinque Regioni guidate dal centrosinistra ha reso necessario convergere su un quesito abrogativo parziale di portata più limitata.

A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?

Non c’è dubbio che si tratti della contropartita richiesta della Lega per sostenere questo governo, ma è possibile che Fratelli d’Italia, a dispetto del nome risorgimentale, stia tentando di accreditarsi come partito autonomista e nordista, visti i larghi consensi ottenuti nelle Regioni del Nord. In ogni caso, si è certamente realizzato il disegno di Umberto Bossi, il quale fu giustamente condannato per aver vilipeso quello stesso Tricolore che i Fratelli d’Italia dicono di onorare.

Personalmente continuerò a fare tutto il possibile per contrastare una riforma sciagurata per il Sud e dunque per l’Italia intera, giacché, secondo il noto adagio di Giuseppe Mazzini, “l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”.

 

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