Rete L’Abuso News, online l’edizione numero 39

Notizie dall’Italia e dal mondo di denunce e lotte contro gli abusi

Francesco Zanardi – Confermata la condanna a 8 anni per Don Livio Graziano

La sentenza di condanna per Don Livio Graziano, il sacerdote alla guida di una comunità di Prata Principato Ultra, è diventata definitiva. Don LIvio era stato condannato ad otto anni di reclusione per gli abusi su un minore. I magistrati della I Sezione Penale della Corte di Cassazione hanno confermato la condanna emessa nei confronti del sacerdote in primo grado dal tribunale di Avellino ed in appello a otto anni di reclusione, rigettando per inammissibilità l’appello dei difensori. Il tredicenne e  i genitori costituiti parte civile nel processo sono stati rappresentati dall’avvocato Mario Caligiuri del foro di Roma mentre il sacerdote è stato difeso dagli avvocati Carlo Di Casola e Giampiero De Cicco. Dopo la condanna definitiva ora Don Livio Graziano dovrebbe tornare in carcere.

La famiglia, come si legge in una nota apparsa sulla pagina ufficiale delle Rete L’Abuso: ”ha espresso gioia per questa patita sentenza che gli ha reso quella giustizia che la chiesa non ha reso”.

 

Francesco Zanardi – Sei anni e sei mesi a don Tempesta

Sei anni e sei mesi. Questa la condanna di primo grado emessa dal collegio del tribunale di Busto Arsizio (Varese) nei confronti di don Emanuele Tempesta, 32 anni. L’ex parroco vicario di Busto Garolfo, nel Milanese, era arrestato il 15 luglio 2021 ed ora è stata confermata in primo grado l’accusa di abusi sessuali su minore. Il pubblico ministero Martina Melita aveva chiesto una condanna a 11 anni al termine della requisitoria. Tra le pene accessorie anche il divieto di avvicinarsi a scuole o luoghi frequentati da minori. Oltre 20 le parti civili con risarcimenti compresi tra i 750 e i 2mila euro. L’avvocato del sacerdote, il legale Mario Zanchetti, è pronto molto probabilmente a fare ricorso in appello.

Stando a quanto emerso già dalle indagini, gli abusi si sarebbero consumati nell’abitazione del sacerdote dove solo alcuni dei piccoli sarebbero stati invitati per giocare ai videogiochi o fare due chiacchiere. Qui poi sarebbero avvenuti gli abusi quando il don aveva 29 anni. I minori vittime invece delle sue violenze avevano un’età compresa tra i 7 e gli 11 anni: i bambini sono stati sentiti dalle controparti con la formula dell’incidente probatorio. Ora si attendono le motivazioni della sentenza che saranno depositate in 60 giorni.

Ludovica Eugenio – Conferenza CEI; nulla di nuovo e dati di analisi meno ampi

Il tema degli abusi sui minori nella Chiesa diluito nel mare degli abusi sui minori nella società, su internet, nello sport; un elogio delle iniziative della Chiesa italiana e del Vaticano per contrastarli, iniziative parziali, lente, astratte, farraginose, che nascono già vecchie. E l’ennesimo no a una commissione indipendente d’inchiesta. Può essere sintetizzato così il senso del convegno organizzato dalla CEI e dall’Ambasciata italiana presso la Santa Sede il 29 maggio dal titolo “Abusi sui minori. Una lettura del contesto italiano 2001-2021”. Diversi gli esperti invitati a parlare, ma le informazioni più rilevanti sono quelle fornite da alcuni degli intervenuti ai giornalisti in margine al convegno. A proposito del processo contro l’ex gesuita Rupnik, mons. Kennedy, segretario della sezione disciplinare del DDF ha detto che «È iniziato veramente bene e passo dopo passo, stiamo tenendo conto di tutti gli aspetti, quello delle accuse contro di lui, l’aspetto delle vittime, quello dell’impatto sulla Chiesa. È delicato, in questo momento non posso dire di più», Peraltro, il prelato irlandese ha sottolineato che la strumentalizzazione di immagini spirituali a fini sessuali, utilizzata anche da altri abusatori, e normalmente definita “falso misticismo”, un crimine contro la fede, non costituisce ancora una fattispecie giuridica nel diritto canonico e dunque allo stato attuale non prevede una pena.

Quanto alla collaborazione tra Cei e Dicastero che, nelle parole pronunciate dal presidente CEI card. Matteo Zuppi nel 2022, doveva consistere nella trasmissione dei 613 dossier di abusi sessuali esaminati dal Dicastero  tra il 2001 e il 2021, essa non esiste nella forma in cui era stata illustrata: ha affermato infatti Kennedy: «di per sé il nostro lavoro non è con le Conferenze episcopali, è con il vescovo singolo e con il superiore generale di ogni ordine religioso: sono loro i nostri interlocutori. Se una conferenza episcopale vuole avere delle statistiche, può chiedere alle diocesi di fornirle. Non è un lavoro che facciamo noi».

Venuto a mancare il contributo del Dicastero vaticano nella trasmissione diretta alla Cei dei 613 dossier riguardanti casi di abusi sessuali, la Chiesa italiana ha dovuto “ricalcolare il percorso”, come fanno i navigatori. Di qui lo «studio pilota» illustrato dalla neopresidente del Servizio Tutela minori della Cei Chiara Griffini, uno studio che, ha detto, consentirà di svolgere delle ricerche che consentiranno di avere una fotografia del periodo 2001-2021»; un’analisi«qualitativa e quantitativa» nella quale saranno – appunto – i singoli ordinari del luogo a fornire i dati. Due le fasi del progetto: la prima «una ricerca multidisciplinare» dapprima su un campione e poi estesa alle altre diocesi; la seconda una fase di analisi e riflessione. Il tutto sarà condotto da due enti «indipendenti»: l’Istituto degli Innocenti (Azienda pubblica di Firenze) e il Centro interdisciplinare sulla vittimologia e sulla sicurezza dell’Università di Bologna.

Tutto appare dominato dall’incertezza e dalla speranza: si auspica, ma non è certo, che il lavoro sia completato entro la fine del 2025; si spera «che da questo studio si possano definire i criteri per poter affinare qualcosa che intercetti la realtà ancora sommersa». L’obiettivo: non avere dati nuovi ma, spiega Griffini, «offrire una lettura qualitativa e quantitativa» dei dati già esistenti. Un compito che appare piuttosto limitato e parziale in confronto a quanto avvenuto in altri Paesi, che taglia fuori ad esempio i dossier approdati alla giustizia civile e si ferma a quella piccola parte dell’emerso denunciata dai vescovi al Dicastero, fermandosi a tre anni fa. (ludovica eugenio)

 

Alessio Di Florio – Svizzera, chiese riformate lanciano studio sugli abusi

Alla fine di gennaio è stato pubblicato lo studio del Forum sugli abusi nella Chiesa evangelica in Germania. I risultati di tale analisi dimostrano la dimensione sistemica dell’abuso sessuale e spirituale al suo interno: almeno 2200 vittime accertate, che sommate ai casi in fase di accertamento, potrebbero portare a oltre 9 mila i minori vittima di abusi nella Chiesa evangelica dal 1946 a oggi, con un numero di presunti abusatori che supererebbe le 3 mila unità.

Di fronte a questi risultati, la Chiesa evangelica riformata della Svizzera (Cers) e le sue chiese membro si sono poste diverse domande: in che misura lo studio può essere trasposto nel contesto svizzero? Quali sfide ecclesiali e teologiche pongono i risultati? Quali questioni aperte potrebbero essere chiarite da uno studio condotto in Svizzera? Quali lezioni è possibile imparare dallo studio per rendere le Chiese uno “spazio sicuro”? In vista del sinodo annuale che si terrà dal 9 all’11 giugno a Neuchâtel è stato organizzata lunedì 27 maggio una intera giornata di studio sul tema delle violenze e degli abusi nelle istituzioni ecclesiastiche. Il convegno organizzato dal gruppo “Donne e genere” della Cers si è interrogato sull’importanza di questi risultati per la Svizzera. Questi dimostrano in particolare la dimensione sistemica dell’abuso sessuale e spirituale all’interno della Chiesa tedesca.

Il Consiglio della Chiesa riformata svizzera propone al Sinodo di realizzare uno studio sugli abusi sessuali. Lo studio, della durata di tre anni, che il Consiglio intende affidare all’Università di Lucerna, consisterà nello svolgimento sia di un sondaggio rappresentativo della popolazione generale sia di uno studio partecipativo. Il mandato di questo studio comprende tre obiettivi: Da un lato, un sondaggio telefonico rappresentativo su 20.000 persone della popolazione svizzera dovrebbe aiutare a offrire la possibilità di presentare stime attendibili sull’entità degli abusi sessuali commessi nell’ambiente ecclesiale e di confrontarle con altri ambiti della Compagnia. Sarà necessario identificare la forma e l’intensità degli atti, gli autori e le circostanze specifiche in cui si verificano gli abusi sessuali nelle Chiese, nonché le conseguenze per le persone interessate. Inoltre, tutti gli interessati che lo desiderano potranno riportare le proprie esperienze ed esprimersi sui temi sopra menzionati garantendo il proprio anonimato nell’ambito di uno studio partecipativo non rappresentativo. Questo approccio mira a rivelare fatti e casi ancora sconosciuti, non documentati in nessun fascicolo fino ad ora. I risultati dello studio dovrebbero essere utili non solo per le chiese, ma per la società nel suo insieme, al fine di identificare i rischi, prevenire il più possibile gli abusi e sostenere adeguatamente le persone colpite.

«Abbiamo bisogno di questo studio per poter identificare e prevenire gli abusi sessuali nella Chiesa e nella società. L’argomento è molto importante e non dovrebbe più essere un tabù. Insieme, abbiamo il dovere di agire adesso. Lo dobbiamo alle persone colpite e a tutti coloro che, di conseguenza, potranno sfuggire alla condizione di vittima» dichiara Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata svizzera, sul sito internet della chiesa stessa. A questo scopo il Consiglio della Cers richiede un budget di 1,6 milioni di franchi svizzeri.

La differenza con la Chiesa cattolica svizzera, che aveva aperto i suoi archivi, appare quindi netta. Si sceglie una via nuova, quella di un sondaggio anonimo. Basandosi su un numero di persone scelte con criteri di rappresentatività dell’intera popolazione, basterà un sondaggio del genere per far luce su questa spinosa questione?  E quanto si chiede il giornale Réformés, cercando di fare chiarezza con Pierre-Philippe Blaser, vicepresidente del Consiglio della Cers: «Negli archivi delle Chiese riformate della Svizzera, che sarebbe stato molto difficile reperire a causa del nostro funzionamento federalista, avremmo forse trovato degli elementi riassuntivi sui casi di abusi, sulle decisioni prese per darvi seguito, ma ciò non sarebbe andato abbastanza lontano. Attraverso un sondaggio rappresentativo è possibile comprendere le costellazioni che rendono possibili gli abusi nei nostri ambienti ecclesiali riformati. Questo metodo potrebbe rivelare casi precedentemente sconosciuti e consentire di valutarne l’entità».

(fonte Riforma.it)

 

Federico Tulli – La santa disinformazione

Due o tre cose da tenere a mente quando si legge una notizia di cronaca  che riguarda membri della Chiesa o della Santa Sede sui principali giornali del nostro Paese, oppure quando viene data su uno dei Tg della Rai. In Italia è cosa rara l’informazione sulle cose di Chiesa indipendente dalla Chiesa stessa.

Quasi tutte le notizie più importanti che passano attraverso i media generalisti arrivano direttamente dalla sala stampa della Santa Sede o sono filtrate dai “vaticanisti”, giornalisti cioè formati e accreditati presso la Sala Stampa vaticana. E che rischiano di perdere l’accredito in caso di articoli non graditi da Casa Madre. A parte rare eccezioni, le inchieste o gli approfondimenti sui lati oscuri della Chiesa quasi mai vengono approcciati con una visione realmente laica, indipendente e deontologicamente ineccepibile. Al contrario, si raccontano in maniera del tutto parziale, cioè solo dal punto di vista della Chiesa, le situazioni di criticità che riguardano tutto ciò che accade all’interno e in “prossimità” delle mura leonine.

Un altro elemento fortemente indicativo è rappresentato dal numero di testate giornalistiche riconducibili alla Chiesa che usufruiscono dei fondi pubblici all’editoria. Come ho ricostruito in un’inchiesta sulla rivista Nessun Dogma, su 117 giornali e periodici che si spartiscono i contributi, ben 55 (il 47%) sono testate e riviste di chiara matrice cattolica, se non addirittura organi di stampa che fanno capo ad alcune delle 224 diocesi italiane. In pratica quasi un giornale su due finanziato dallo Stato ha come editore di riferimento la Chiesa. Poiché tre indizi fanno una prova, ne cito un altro. Mi riferisco al solido accordo, di recente rinnovato, tra la Rai e la Conferenza episcopale per la trasmissione di contenuti religiosi nella televisione pubblica. Un’intesa che ha rafforzato il numero di trasmissioni a contenuto religioso e di religiosi nelle trasmissioni della tv pubblica, in un palinsesto zeppo di fiction a sfondo religioso e dove già la Chiesa cattolica sfiora il 100% di presenze sul totale dei soggetti confessionali, e dove nei tre Tg nazionali, ma anche nei principali Tg privati, il papa è più presente del presidente Mattarella.

E poi ci sono i giubilei e le beatificazioni. Veri e propri strumenti di auto promozione a spese del contribuente italiano che oramai vengono utilizzati con scadenze sempre più ravvicinate. Come ricordano diversi studiosi, dato che per quattro secoli in età moderna e contemporanea i papi sono stati quasi tutti italiani, il nostro Paese è divenuto una terra “privilegiata” di destinazione del messaggio e di formazione di una mentalità religiosa collettiva. E abbiamo i principali quotidiani che quando scrivono del papa usano l’epiteto “sua santità” o analoghi, accettando acriticamente la dimensione clericale che è insita in questa terminologia, contribuendo a far attecchire questa mentalità.

E così a poco a poco l’opinione pubblica perde di vista alcune cose fondamentali per sviluppare il proprio senso critico. Per esempio? Per esempio è bene ricordare che la Santa Sede è una monarchia assoluta governata da una casta maschile celibe di circa 200 cardinali. Il papa detiene il potere assoluto nella chiesa cattolica e nella dimensione politica riassume i tre poteri nella sua persona esercitati generalmente tramite delega (legislativo, esecutivo e giudiziario). Tutti gli devono obbedienza attraverso le vie gerarchiche. Il pontefice è colui che insieme a quella casta decide le regole morali a cui si devono attenere loro stessi, il clero e soprattutto l’enorme numero di fedeli nel mondo. La prima conseguenza di una struttura organizzata in questo modo è la mancanza di trasparenza che nell’informazione e nell’attività giudiziaria della Santa Sede raggiunge i livelli più elevati. Perché a monte c’è l’idea che il papa, cioè la chiesa cattolica, non deve giustificarsi con nessuno di ciò che fa e dice. Delle proprie azioni e decisioni il pontefice risponde solo a Dio e a se stesso al di là della coerenza con le cosiddette sacre scritture, la tradizione e il magistero della chiesa.

Pensiamo a quanto accaduto in Irlanda il 20 luglio 2011. Ecco cosa affermò il premier irlandese, Enda Kenny, in un drammatico discorso in Parlamento davanti alla Camera Bassa, dopo la conclusione di un’indagine governativa sulla pedofilia nella Chiesa: «Il rapporto della commissione Cloyne ha evidenziato il tentativo della Santa Sede di bloccare un’inchiesta in uno Stato sovrano, non più tardi di tre anni fa, non trent’anni fa». Per poi aggiungere: «Il Rapporto Cloyne fa emergere la disfunzione, la disconnessione e l’élitarismo che dominano la cultura del Vaticano. Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati per sostenere, invece, il primato delle istituzioni, il suo potere e la sua reputazione». Quanto descritto fin qui è accaduto durante il pontificato di Benedetto XVI. Con papa Francesco poco o nulla è cambiato anche se nel 2019 è stato eliminato il segreto pontificio.

Nel 2014, quando il segreto ancora era in vigore, gli ambasciatori di papa Francesco presso le Nazioni Unite opposero un netto rifiuto a due diversi Comitati Onu (per i Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e Contro la tortura) che chiedevano la lista con i nomi dei circa 900 sacerdoti pedofili ridotti allo stato laicale nel decennio precedente dopo essere stati condannati dalla Congregazione per la dottrina della fede, ed espulsi dalla Chiesa. Ad oggi, quei nomi risultano ancora ignoti e 900 pedofili circolano liberamente nella più totale inconsapevolezza di chi li frequenta. E nessun giornalista ha mai chiesto di questo al pluripresente e celebratissimo in tv e sui media italiani papa Francesco.