Rete L’Abuso: presentazione del report regionale sugli abusi sessuali nell’ambito del volontariato

Quanto e dove è esteso nel paese e quali sono le lacune o le circostanze che lo favoriscono? Rete L’Abuso ha allestito una sessione perpetua del report sul portale Abuse Tracker Italia, sessione che resterà aggiornata in tempo reale e integrata con più dati di quelli che verranno presentati il 12 settembre.


Quante vittime ha fatto la pedofilia in Italia e quante sono a livello regionale?

Tanti numeri ma pochi dati, quelli che ogni anno vengono divulgati in Italia. Sembra più un annuale “bollettino dei caduti” dietro al quale poi però non troviamo a fronte dei dati, politiche di prevenzione e sensibilizzazione sul territorio.

Quanto e dove è esteso dunque il fenomeno nel paese e quali sono le lacune o le circostanze che lo favoriscono?

Abbiamo passato l’estate cercando di produrlo qualitativamente, con atti giudiziari e quanto reperibile e ci siamo riusciti. Un dato che è in assoluto difetto con la realtà, tuttavia non poco preoccupante, sia per le vittime prodotte, sia per l’impossibilità di prevenire cioè, di impedire che si replichi producendone altre.

Un dato che per la carente disponibilità di quelli governativi abbiamo prodotto utilizzando i nostri e che per l’accuratezza di analisi – vista qualitativamente e non numericamente – abbiamo suddiviso tra donne, uomini, maggiorenni ecc. quindi è proiettabile a livello statistico.

Se pur il dato analizzato sia quello della chiesa al quale abbiamo aggiunto il suo indotto laico volontario e analizzato un periodo limitato – circa 15 anni con una integrazione dei pochi casi registrati dal 2000 al 2010 – l’analisi è stata fatta nell’ambito della categoria a cui appartiene anche il clero, il volontariato. Una categoria da sempre ad alto rischio, oggi ancora di più a causa di alcune introduzioni normative che in Italia, anziché tutelare i minori, hanno favorito nella loro applicazione proprio il volontariato come terreno di “caccia” per i predatori.

A questo scopo abbiamo allestito una sessione perpetua del report sul nostro portale “Abuse Tracker Italia”. Sessione che resterà aggiornata in tempo reale e integrata con più dati di quelli che andremo a presentare il prossimo 12 settembre, già ampiamente sufficienti.

Quali le soluzioni efficaci possibili nell’immediato?

Relatori;

  • Francesco Zanardi – Presidente Rete L’ABUSO
  • Federico Tulli – Giornalista e autore
  • Mario Caligiuri – Avvocato e coordinatore legale della Rete L’ABUSO, supervisore dell’Osservatorio permanente
  • Monica Sansoni – Garante dell’infanzia e dell’adolescenza del Lazio
  • Carla Pugligheddu – Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Sardegna
  • Fabio Biasi – Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Provincia autonoma di Trento e la consulente dott.sa. Manuela Paganini
  • Guia Tanda – Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Liguria
  • Giorgio Barone – CBI – Pres. Medical & Antidoping Commission – PCSOS Project Mgr. – Protecting Children in Sport – Compliance Lead Auditor FMSI / CONI-NADO / IAAF
  • Ludovica Eugenio – Coordinamento Italy Church Too
  • Giorgio Toselli – Presidente “No Child Abuse”, padre di due sopravvissuti, Maurizio Gualerni vice Presidente “No Child Abuse”
  • Dante Ghezzi – psicologo, psicoterapeuta, supervisore Emdr, membro dell’équipe Tiama e membro del coordinamento italiano CISMAI

La conferenza si svolgerà sulla piattaforma ZOOM per chi accreditato mentre sarà visibile senza possibilità di interazione, sia sulla HOME page del sito della Rete L’ABUSO che sulle nostre pagine social.

Per info telefona al +39 – 3927030000

Per l’accredito stampa e l’accesso alla conferenza scrivi a accrediti@retelabuso.org

 

Introduzione al Report regionale dei sopravvissuti in Italia 

 

 

L’Osservatorio permanente della Rete L’ABUSO ha promosso questa indagine nel contesto in cui opera l’associazione, utilizzando i dati a nostra disposizione, quelli relativi all’ambito del clero.

 

In realtà il raggio di analisi del nostro report – che sarà in aggiornamento perpetuo – vuole andare oltre al limitato contesto del clero, se pur sia questo il dato analizzato.

 

Volutamente e per nostra stessa tutela, tranne nei casi di condanna definitiva o in qualche eccezione, i presunti autori sono stati oscurati (tutelati da un numero di protocollo non pubblico) in quanto spesso rimasti senza un giudizio definitivo o condanna, a causa del fallimento della giustizia e dei suoi lacunosi meccanismi. Questo tuttavia non toglie, anzi aggrava il fatto che lasci delle vittime o presunte tali, senza un giudizio e spesso senza una giustizia.

Per questo non sono importanti i volti o i nomi in questa statistica ma i numeri, per capirne il potenziale; quanto lo Stato è vincente nella prevenzione e tutela di minori e persone vulnerabili; quanto sia il livello di sicurezza e di giustizia sul territorio.

Il contesto in analisi è il volontariato, al quale è vero appartiene anche il clero, ma non solo anche associazioni, circoli sportivi e via dicendo, tutto ciò che in Italia fa parte dell’associazionismo. La chiesa cattolica (tranne vescovi all’art. 4 dei patti Lateranensi) non gode di particolari privilegi in materia, sono gli stessi di cui godono tutte le realtà che fanno parte dell’associazionismo.

Come spiego in questo articolo, le dinamiche che si manifestano nel caso di un abuso sessuale su un minore o una persona vulnerabile sono le stesse, sia nel clero, sia tra i laici. Certo a causa delle tante denunce pubbliche la Chiesa è molto più chiaccherata delle associazioni, ha anche un’audience mondiale e si è da anni organizzata internamente come vedremo. In Italia non si è fatta remora neppure di dichiarare che insabbierà i casi in quanto, non li denuncerà all’Autorità giudiziaria italiana, che vale a dire li insabbio.

Stessa cosa che accade nel contesto laico, a riprova che la chiesa non ha alcun particolare privilegio in materia, al massimo è solo più sfacciata.

 

Nei fatti la domanda è; quanti casi non sono mai stati denunciati?

 

L’Italia al momento non ha leggi adeguate oltre a nessuna strategia preventiva efficace in materia di tutela dei minori e delle persone vulnerabili. È l’unico Stato membro in Europa a non aver mai fatto commissioni d’inchiesta o studi per quantificare il fenomeno, tanto che cerchiamo di farlo noi con questo report.

 

Quindi dove sta il problema e perché parlo del volontariato?


La ratifica della convenzione europea di Lanzarote (L.1° ottobre 2012 n.172) (alla quale il Vaticano non ha aderito) ha introdotto importanti strumenti preventivi, tra cui il c.d. Certificato anti pedofilia che va detto, pur essendo un ottimo strumento per impedire che chi condannato per questi reati torni a contatto con minori, ha un limite preventivo che dipende da una precedente condanna, ma un effetto potenzialmente valido che è quello che i soggetti limitati dal certificato, indubbiamente stupratori, non tornino a contatto con minori. Diciamo quindi che nel suo limite – che limite in realtà non è – ha effetto positivo verosimilmente nel 100% dei casi, perché blocca il pedofilo precedentemente accertato.

 

Qui sorge però il primo ciclopico problema italiano, l’applicazione snaturata del certificato di cui il legislatore ha sollevato dall’esibizione l’intera categoria del volontariato e non solo il clero. L’effetto collaterale di questo vuoto ha concentrato di conseguenza in questa categoria – per via dell’esenzione – chi pregiudicato e diversamente non potrebbe inserirsi altrove. Questo non ci sembra un problemuccio ma un effetto boomerang che nessuno vede o vuole, ma che produce vittime i cui carnefici, come vedremo nel report, non saranno denunciati.

Ecco perché consideriamo più ampia la proiezione che andremo a sviscerare nel report.

C’è un secondo problema tuttavia. Come abbiamo detto, se pur il certificato sia utile ad impedire che chi pregiudicato torni al contatto con i minori, manca la fase preventiva che impedisca la realizzazione dell’abuso, salvando il minore.

L’obbligo di denuncia da parte di tutti i cittadini (in Italia limitato oggi solo ai pubblici ufficiali) sarebbe un ottimo strumento preventivo perché permette ed impone agli aduli a conoscenza o nel dubbio che in quell’ambiente accada un reato, di denunciarlo. Cosa che oggi non è obbligatoria e spesso fa desistere in quanto in assenza di prova certa o dimostrabile (che in questi casi difficilmente il cittadino comune può produrre, servono gli inquirenti), il rischio di subire controquerela o altre ripercussioni è elevato.

La ripercussione assurda di questo vuoto legislativo finisce immediatamente sulla vittima, non solo perché non viene salvata o almeno sottratta, ma perché la stessa condizione di minore – che lo stesso Stato riconosce non autonoma fino ai 14 anni, delegando le responsabilità nell’interesse del minore agli adulti – è proprio quella gli impedisce di essere in grado di riconoscere una violenza autonomamente, quindi di difendersi o reagire.

Siamo di fronte ad un evidente cortocircuito in cui lo Stato pur riconoscendo l’inalienabilità dell’interesse superiore del minore, si schianta nel vuoto legislativo che nel più dei casi lo renderà vittima.

Collateralmente l’abusatore non verrà fermato da nessuno e continuerà a produrre vittime. La maturazione del trauma infantile ha tempi che arrivano anche a 25 – 30 anni, quindi difficilmente la vittima iniziale denuncerà il predatore per tempo anzi, lei stessa si troverà prescritta al momento della denuncia che in questi casi, qualora lo stupratore non sia già pregiudicato, lo lascerà col certificato immacolato.

Questa è la giostra della pedofilia in Italia, dove ogni anno contiamo i sopravvissuti, senza però cercare di attuare misure concrete ed efficaci per impedirlo.

Eppure sarebbe semplice.

Esistendo già le leggi, basterebbe, nel caso del certificato antipedofilia modificarlo (come chiede all’Italia anche l’ONU) colmando il vuoto dell’anomalia italiana.

Stessa cosa per l’esistente obbligo di denuncia, ora limitato solo ai pubblici ufficiali, che basterebbe estendere a TUTTI I CITTADINI.

 

Nulla di più semplice.

Francesco Zanardi – Rete L’Abuso