«Si consenta alle regioni che ne faranno richiesta nuove forme di autonomia»

L'INTERVISTA all'onorevole Francesca Ghirra, membro della Camera dei Deputati eletta in Sardegna ed in quota Alleanza Verdi e Sinistra.

«Si consenta alle regioni che ne faranno richiesta nuove forme di autonomia»


Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?

La mia valutazione è del tutto negativa. Questo Ddl va nella direzione opposta a quella corretta: invece di agire per ridurre i disequilibri sociali ed economici del Paese si consentono alle regioni che ne faranno richiesta nuove forme di autonomia, senza aver preliminarmente raggiunto un livello minimo di prestazioni.

Si instaurerebbe, in termini di riscossione dei tributi, un nuovo principio non esistente nel nostro ordinamento costituzionale e normativo, e cioè il principio dell’imposizione fiscale su base regionale (rapporto fiscale regione-cittadino) e non nazionale (rapporto fiscale stato-cittadino): con i meccanismi proposti salta ancora una volta il principio costituzionale della progressività del sistema tributario basato sulla capacità contributiva di ogni cittadino prescindendo dalla residenza e dai confini territoriali dei governi locali.

Diminuire il residuo fiscale vuol dire tagliare i servizi al Sud e nelle aree interne del Paese e aumentare il debito pubblico, pertanto non sarà più possibile mantenere i servizi nemmeno al livello attuale, già ora non soddisfacente.

C'è chi dice che per primi, questa legge, l'ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?

Posto che non sono mai stata d’accordo con la riforma del Titolo V, occorre sottolineare che ci sarebbe stato modo e modo di attuarla. Se può essere vero che i principi dell'autonomia differenziata sono principi costituzionali introdotti con la riforma del Titolo V a oggi rimasti pressoché inattuati (se non per quanto riguarda l'aumento delle diseguaglianze), è anche vero che la strada scelta dal ministro Calderoli e dalle destre causerà un ulteriore impoverimento delle Regioni più svantaggiate e azzererà i benefici delle Regioni a Statuto Speciale, benefici riconosciuti per via di alcune oggettive problematiche.

Aggiungo anche che questa norma, nonostante abbia formalmente recepito il principio di insularità, non potrà che osteggiare la possibilità di mettere in atto le politiche necessarie per superare concretamente gli svantaggi delle nostre isole. Non mi pare peraltro che quelli enunciati all'art. 116 siano gli unici principi costituzionali inattuati, né francamente i più utili e interessanti da attuare. Tra i principi fondamentali della Costituzione ci sono, invece, solidarietà, uguaglianza, uniformità, coesione e indivisibilità, che non si possono senz'altro piegare al dettato dell'art. 116. Quindi no, penso che questa analisi sia sbagliata e fuorviante e a causa di questa riforma le diseguaglianze non potranno che crescere ancora.

Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?

Il DDL Calderoli va ben oltre le prospettive tracciate dalla riforma del titolo V. L’idea che un servizio regionale sia più vicino ai cittadini è del tutto smentita dalla realtà dei fatti, penso per esempio al settore sanitario. La riforma non farà altro che accentuare il già eccessivo divario in termini di ricchezza e servizi tra Nord e Sud, ma pure tra centri urbani e aree rurali e periferiche.

Le procedure sono farraginose e comporteranno una enorme diversificazione e parcellizzazione dell'offerta di servizi pubblici nelle diverse regioni d'Italia, che autofinanzieranno i servizi ai cittadini ognuna secondo le proprie possibilità, senza che sia prevista nessuna forma di perequazione. Il ruolo del Parlamento nella definizione delle intese sarà del tutto marginale, dovendosi limitare a una semplice ratifica degli atti. Anche il fatto di aver introdotto l'indicazione di livelli essenziali delle prestazioni non è condivisibile perché non risponde a criteri di qualità ed efficienza, non prevede forme di redistribuzione delle risorse. I diritti, così come i livelli delle prestazioni, saranno veramente “essenziali”, cioè minimi.

Questa riforma produrrà un’Italia a due velocità e a perdere saremo tutti, persino quelle regioni che ora pensano di poterne trarre dei vantaggi.

Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?

Credo che le due riforme non siano paragonabili. A ogni modo stiamo verificando sin da quando il Ddl è stato presentato e ancor più da quando è stata avviata la raccolta firme per i referendum una forte contrarietà da parte di cittadine e cittadini. Dovremo spiegare bene quali sono i pericoli di questa riforma e rispedirla al mittente con il voto popolare.

Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull'autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?

Auspico che la Corte Costituzionale accerti l’illegittimità costituzionale della legge ed emetta i conseguenti provvedimenti.

Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c'è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c'è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d'Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perché?

Prevedere l’attuazione di LEP a saldi invariati significa cristallizzare le differenze esistenti, non consentire il riassorbimento del gap infrastrutturale del Paese, significa accettare che ci siano regioni che offrono scuole di serie A e regioni che possono permettersi solo scuole di serie B o C.

L'autonomia differenziata darà un colpo mortale al nostro sistema educativo, con la differenziazione dei programmi, delle modalità di assunzione e gestione, magari anche con differenze contrattuali e salariali. Il sistema educativo deve essere nazionale e pubblico. Ci batteremo per difendere il diritto universale all'istruzione con tutte le nostre forze.

C'è chi afferma, però, che con l'autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno...

Le risorse non saranno distribuite secondo criteri di equità, questo è chiaro ed è uno dei motivi per cui siamo così fortemente contrari.

Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?

I LEP come dice il termine stesso sono i livelli essenziali che dovrebbero essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio. Su quella base, il Paese dovrebbe costruire lo sviluppo. È del tutto evidente che garantire parità di diritti a tutte e tutti non è una priorità del Governo Meloni, che punta costantemente a smantellare lo stato sociale del nostro Paese: scuola, sanità, servizi e presidi sui territori sono indispensabili per garantire la qualità della vita nei nostri comuni ed evitare che continuino a spopolarsi.

Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?

Difficile dirlo adesso, considerato che la riforma è scritta male e che la sanità è materia di competenza regionale. Il dato preoccupante è che neanche il Governo lo sa, visto che il Ministro Calderoli – durante il dibattito alla Camera – ha affermato che al momento non è stato possibile fare una quantificazione dei costi dei LEP, che saranno valutati di anno in anno.

Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?

Il dato più preoccupante è senz’altro l’aumento delle disparità tra Nord e Sud del Paese, ma anche tra centri urbani e aree rurali e periferiche. Per questo lo abbiamo ribattezzato “Spacca-Italia”.

A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?

Risponde al patto fra le forze di maggioranza: a FI la riforma della Giustizia, a FDI il premierato e alla Lega l’autonomia differenziata, il sogno di un’Italia del Nord che può usare le proprie tasse per andare a una velocità maggiore rispetto al Sud. Questo significa non conoscere le ragioni storiche, sociali delle diseguaglianze che attanagliano il Paese. Significa voler spaccare il Paese. Un disegno che non possiamo assolutamente consentire si trasformi in realtà.

 

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