«Smettete di indagare perché avete rotto le palle... Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco»

QUARTA PARTE/ La Procura di Trento ha riaperto le indagini sull’esclusione del “Pirata” al Giro d’Italia del 1999.

«Smettete di indagare perché avete rotto le palle... Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco»

PRIMA PARTE: Pantani escluso per favorire le scommesse della camorra?

https://www.wordnews.it/pantani-escluso-per-favorire-le-scommesse-della-camorra  

SECONDA PARTE: Marco Pantani, i dubbi e gli approfondimenti non realizzati rilevati dalla Commissione Antimafia

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TERZA PARTE: «La camorra ha fatto perdere il giro a Pantani»

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Siamo ormai alle soglie della fine del mese di Agosto e gradualmente ci si prepara ad abbandonare una nuova estate. Calda, afosa, stagione del divertimento e del relax ad ogni costo, della distrazione da ogni gravosa incombenza e preoccupazione. Per chi può. E non per tutti.

In uno stanco e caldo pomeriggio di luglio è piombata la notizia che la Procura di Trento ha riaperto le indagini sull’esclusione di Marco Pantani al Giro d’Italia del 1999. Seconda riapertura sulla fine del Pirata dopo che la Procura di Rimini è tornata sulla sua morte. Indagini di cui non abbiamo più notizie dopo mesi e mesi. La notizia giunta dal profondo Nord Italia ha interessato per alcuni giorni, ha animato i meme sui social e le pagine dei rotocalchi. Poi il manto dell’oblio, della distrazione, del telecomando dei pensieri ha portato oltre.

Non si può e non si deve dimenticare, distrarsi, passare oltre come si parlasse di un gossip ferragostano (anzi, molto meno, perché il gossip cattura l’attenzione del medio italico molto più e per molto più tempo) sugli ultimi anni del Pantadattilo.

Vicende su cui ha acceso l’attenzione nella scorsa legislatura anche la Commissione Parlamentare Antimafia.

Circostanza che già dovrebbe far riflettere su quanto di non detto, non approfondito, non accertato, persiste. Dalla relazione finale dei commissari parlamentari siamo partiti per un ciclo di approfondimento sulle inchieste intorno all’esclusione dal Giro d’Italia e alla morte di Marco Pantani. Con quest’articolo completiamo questa prima parte del ciclo, concentratasi sulla relazione. Ma non finisce qui perché ci sarà ancora da raccontare, interrogare, approfondire.

La Commissione Parlamentare Antimafia mette nero su bianco i «numerosi elementi dubbi che sono emersi nel corso dell’istruttoria», tali da meritare un attento approfondimento. «Le ipotesi fondate su quegli elementi non possono essere ridotte a mere possibilità astratte oggetto di discussione in servizi televisivi o su articoli stampa.

Tantomeno si può condividere l’altra affermazione dell’Autorità giu­diziaria di Rimini, ovvero che determinate affermazioni siano state indotte dall’intento di ingenerare nell’opinione pubblica l’idea di una condotta non esemplare da parte della polizia giudiziaria intervenuta la sera del decesso del campione».

«In realtà, diverse sono le scelte e i comportamenti posti in essere dagli inquirenti che appaiono discutibili»:

- la frettolosa conclusione che la morte di Marco Pantani fosse accidentale o addirittura conseguenza di un suicidio.

Si legge nella sentenza di primo grado: «Ritiene il giudicante che la morte di cui si tratta sia stata cagionata proprio dalla sostanza stupefacente ceduta a Marco Pantani il 9.2.2004 da Ciro Veneruso e Fabio Miradossa, con il concorso di Carlino Fabio. A questa conclusione è d’obbligo pervenire alla luce di alcune considerazioni: dopo il 9.2.2004 Marco Pantani non è mai stato visto uscire dal Residence Le Rose; dopo Ciro Veneruso la sera del 9.2.2004, nessuno ha più chiesto di poter salire nell’appartamento di Pantani... ».

«Tale affermazione non può ritenersi dirimente alla luce dello stato dei luoghi, come descritto dagli auditi e visibile dalle fotografie acquisite, elementi dai quali risulta che era possibile un accesso alle camere dell’hotel anche da un’area non sorvegliata dal personale della reception – si legge nella relazione della commissione parlamentare antimafia - Non condivisibile appare, poi, la scelta, conseguente a quella frettolosa conclusione, di non rilevare le impronte digitali nel luogo del rinvenimento del cadavere, del tutto inspiegabile in considerazione della copiosa presenza di sangue (visibile dalle numerose fotografie della polizia scientifica), di cui si sarebbe dovuta verificare, inoltre, l’appartenenza. Ciò ancor più ove, come emerge dagli atti d’indagine dell’epoca, fossero effettivamente pre­senti nella stanza di Pantani tracce di cocaina e, sotto il suo corpo, un «bolo» della medesima sostanza. Tutte queste circostanze avrebbero imposto accertamenti volti a verificare l’eventuale presenza nella stanza di Pantani di altre persone, spacciatori e/o terzi consumatori».

- non risulta giustificabile il fatto che l’accesso al luogo del rinvenimento venne consentito, prima che venissero effettuati i doverosi rilievi della polizia scientifica, non solo a personale della polizia, ma anche a persone ad essa estranee.

- per dieci anni nessuno ha ritenuto di sentire i soccorritori del 118, tra i primi ad essere intervenuti sul posto.

«Molteplici sono gli elementi, oltre a quelli sinora sinteticamente rappresentati, che la Commissione avrebbe voluto approfondire e che rimangono tutt’oggi senza soddisfacente risposta. L’inchiesta condotta dal IV Comitato ha fatto affiorare singolari e significative circostanze che rendono possibili altre ipotesi sulla morte del campione, anche considerando un eventuale ruolo della criminalità organizzata e di quegli ambienti ai quali purtroppo egli si rivolgeva a causa della dipendenza di cui era vittima».

Infine un altro dato che, anche in queste ore, non ci pare ha avuto risonanza mediatica: non è mai stato ascoltato da inquirenti Maurizio Onofri, marito di una nipote della madre di Marco Pantani, che è stato minacciato di morte dopo aver iniziato ad indagare sulla morte del cugino. «Nel frattempo, succede che, dopo la morte di Marco, io comincio a indagare sulla morte di Marco. Comincio a indagare come pian piano farà poi la sua mamma. E il poliziotto T., un giorno di primavera, prima che aprissimo l’albergo (era presente anche mia moglie), viene a casa mia e ci dice: “Smettete di indagare perché avete rotto le palle”.

Testuali parole: “Fate la fine di Marco. Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco”» le sue dichiarazioni pubbliche.