Ucciso in un agguato il boss della guardia costiera libica sostenuta dall’Europa

Raffica di proiettili contro la sua auto a Tripoli.

Ucciso in un agguato il boss della guardia costiera libica sostenuta dall’Europa
fonte: https://www.labottegadelbarbieri.org/libia-lager-per-migranti-con-fondi-italiani/


Abdurahman Al Milad, Bija. Il suo nome stamattina non compare su nessuna prima pagina dei grandi quotidiani e non dirà nulla alla quasi totalità degli italiani. Eppure è il simbolo di una stagione pesante italiana ed europea.

Nome fondamentale nella “gestione” della “esternalizzazione delle frontiere”, negli accordi sbandierati da ogni governo (nelle ultime settimane con la Tunisia), stagione iniziata tanti anni fa con la Turchia di Erdogan, per appaltare a Stati extra europei centri e blocco dell’approdo in Europa di migranti da Africa e Asia. Stagione di ricatti, come accaduto con Erdogan, atrocità, traffici e mafie. Tra i protagonisti assoluti in Libia lui, Bija, il boss salito nelle più alte sfere del cd. “governo” riconosciuto dalla comunità internazionale.

La notizia è piombata, nel silenzio delle alte sfere politiche e mediatiche italiche, ieri sera: Bija è stato assassinato in un agguato ad ovest di Tripoli.

«Abdurahman Al Milad detto 'Bidja', uno dei principali trafficanti di esseri umani in Libia assurto al grado di comandante dell'Accademia Navale libica, è stato ucciso da uomini armati che hanno sparato addosso una raffica di proiettili mentre era in auto a ovest di Tripoli – ha riportato l’Ansa - l'assassinio di Bija mentre a bordo di una Toyota bianca è avvenuto nel tardo pomeriggio di oggi, domenica, nella zona di Janzur (o Gianzur), una ventina di km dal centro della capitale libica».

Era stato destinatario, anni fa, di un mandato di cattura internazionale per i suoi traffici e le sue atrocità ma è rimasto lettera morta, nessuno si è mai realmente interessato di come applicarlo. Mentre Unione Europea, Italia compresa, sostengono da anni la cd. “Guardia costiera libica”, la costruzione di centri in cui imprigionare (e in cui vengono torturati e finiscono nelle grinfie di trafficanti e clan) migranti in fuga.

Bija nel 2017 fu ospite in Italia, un tour con altissimi esponenti istituzionali italiani ed internazionali, ricevuto anche al Viminale (ministro Marco Minniti) dove incontrò funzionari del ministero e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, un organismo dell’ONU. Fu documentato quanto accaduto in una delle inchieste di Nello Scavo su di lui pubblicata da Avvenire.

«Cinque anni dopo la pubblicazione e sette anni dopo i fatti, i governi italiani che si sono succeduti non hanno mai chiarito quali fossero le tappe della missione di al-Milad in Italia, nonostante due dozzine di interrogazioni parlamentari in gran parte rimaste inevase» ha sottolineato nelle scorse ore Nello Scavo su Avvenire. Destinatario, anni fa, insieme a Nancy Porsia (giornalista free lance che ha documentato le attività criminali di Bija tante volte) di minacce da parte del boss libico.

«Il piombo che ha eliminato il controverso comandante Bija ha messo al sicuro per sempre i segreti che il guardacoste-trafficante serbava e talvolta minacciava di rivelare» ha sottolineato Nello Scavo su Avvenire. Minacce, ricatti, trame, la sintesi della storia di larga parte d’Italia che non si smentisce e non si conclude mai, il sovversivismo delle classi dirigenti (sempre fin troppo accondiscendenti con zone grigie e nere e sistemi in odor di mafie, soprattutto quando si tratta di fare “lavori sporchi” contro gli ultimi e i più deboli) che impera nel Paese orrendamente sporco, come lo definì Pasolini. Cosa accadrà ora in Libia? Quale polveriera si riaccenderà? Come cambieranno gli equilibri tra i clan, i trafficanti e le “istituzioni” (riconosciute dalla comunità internazionale ma di fatto senza nessuna reale consistenza nel Paese) libiche? E su questa sponda del Mediterraneo?

«Le intelligence internazionali sono in allarme, perché l’agguato contro Bija potrebbe segnare il punto di non ritorno verso una guerra di mafia che tiene insieme criminalità, politica, interessi internazionali – ha riportato sempre Scavo su Avvenire - Già nella serata di ieri sono state segnalate sparatorie alla periferia di Zawiyah, mentre un certo numero di migranti potrebbero essere dati in pasto al mare per tornare a ricattare quei Paesi che con Bija e i suoi uomini avevano un patto non scritto per la riduzione delle partenze, un’intesa inconfessabile che adesso potrebbe saltare. Alcune fonti di intelligence non escludono che possa essersi trattato di un regolamento di conti interno, messo in atto per frenare gli appetiti del guardacoste quarantenne e mandare un messaggio a chi pensa di fare lo stesso. Perciò si guarda alle prossime ore per decifrare il movente e misurare le ricadute della clamorosa imboscata».

In attesa di avere risposte a questi pesanti interrogativi ripercorriamo, almeno parzialmente perché il suo curriculum e i fatti di questi anni sono un elenco sterminato, chi è stato Bija, le complicità e connivenze internazionali e le atrocità e i traffici di cui è stato protagonista.

I primi accordi ci furono già quasi vent’anni fa con Gheddafi, portati avanti “amichevolmente” da almeno due governi. Gli attuali accordi con il supposto governo libico furono sottoscritti la prima volta da Minniti e sempre rinnovati sotto tutti gli ultimi governi. «Nei primi tre anni dalla firma dell’accordo almeno 40 mila persone, tra cui migliaia di minori, sono state intercettate in mare, riportate in Libia e sottoposte a sofferenze inimmaginabili» (parole della direttrice di Amnesty International per l’Europa Marie Struther).

Il memorandum è stato firmato negli stessi mesi in cui l’Italia accoglieva Abd al-Rahaman al-Milad detto  Bija, considerato il maggior boss del traffico di esseri umani in Libia e accusato anche da documentati rapporti delle Nazioni Unite. Bija fu ospitato dal governo italiano nel maggio 2017 quando partecipò ad un summit internazionale concordare strategie comuni tra Italia e Libia su come bloccare le partenze dei migranti dall’Africa per poi essere accompagnato in un tour tra alcuni centri per migranti in Italia e la sede della guardia costiera di Roma. Nancy Porsia già mesi prima della firma del memorandum documentò il ruolo centrale di Bija nel traffico e nella prigionia dei migranti in Libia.

Tripoli, denunciò l’Unicef, fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera. Pochi giorni prima il Times aveva pubblicato un video dove si vede un trafficante, identificato nello stesso Bija, frustare alcuni migranti. L’8 maggio 2018 un rapporto della Procura della Corte dell’Aja ha definito il trattamento dei migranti nei centri riconducibili a Bija «crudele, inumano e degradante». «Le sue forze – venne riportato – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard».

Mentre la sua milizia avrebbe  «beneficiato del Programma Ue di addestramento» nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia. Un rapporto del segretario delle Nazioni Unite Gutierres ha documentato che la guardia costiera libica «trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali» dove funzionari governativi li «vendono» ai trafficanti e le donne subiscono ripetute sevizie sessuali, crimini per i quali Gutierres accusa di esserne responsabili gli Stati che finanziano ed equipaggiano a fondo perduto le autorità libiche, tra cui l’Italia. 

Perdita della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessualerapimento per riscatto; estorsionelavoro forzatouccisioni illegali, «l’Unsmil ha continuato a ricevere segnalazioni credibili di detenzione prolungata e arbitraria – ha denunciato sempre Gutierres - torture, sparizioni forzatecattive condizioni di detenzionenegligenza medica e rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati da parte di i responsabili delle carceri e di altri luoghi di privazione della libertà».

Una ricerca dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni nel 2017 ha denunciato che il 70 per cento delle persone giunte in Europa sono state vittime del traffico di organi, il 6 per cento degli intervistati ha affermato di essere stato in contatto con qualcuno costretto a farsi prelevare sangue o a pagare parte del viaggio con un organo. Sei anni fa il commissario ONU per i diritti umani, Zeid Raad Hussein, ha definito la politica europea di assistenza alla guardia costiera libica, nell’intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo, disumana.

Il 3 febbraio di quell’anno a Malta i governi europei hanno sottoscritto un accordo con la Libia per bloccare le rotte dei migranti. Il Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa, su proposta della Commissione europea, il 12 aprile approvò un programma di 90 milioni di euro per «una migliore gestione dei flussi migratori» (parole dell’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Federica Mogherini). Nelle settimane precedenti l’Italia aveva già firmato un trattato con Al-Serraj. Un trattato secondo il quale l’Italia ha fornito elicotteri e fuoristrada, ha contribuito alla formazione della Guardia Costiera Libica e alla creazione della sorveglianza del Sahara.

In un reportage de l’Espresso in collaborazione con l’Unicef venne denunciato che «ci sono guardie costiere che recuperano i migranti in mare e li vendono alle milizie che li trasportano nelle prigioni illegali. I migranti sono i bancomat di questo Paese. L’Europa vede, ne è consapevole, eppure ha preferito spostare il problema sulle nostre spalle anziché farsene carico. Preferisce non vedere i morti».

Un video amatoriale pubblicato dal Times documentò le violenze sui migranti intercettati in mare e riportati in Libia: si vede addirittura Al Bija frustare alcuni migranti con una corda. I trafficanti che non pagano una quota ad Al Bija vengono fermati dalla Guardia costiera e le loro barche requisite.

Pochi mesi dopo la firma del memorandum Italia-Libia la CNN ha documentato un’asta in cui i migranti vengono venduti come schiavi, lo stesso traffico denunciato dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni  che ha riportato testimonianze di percosse, stupri, torture, persone cosparse di benzina e date alle fiamme, a cui hanno sparato o sono stati lasciati morire di fame.

Le Nazioni Unite disposero nel luglio 2018 il blocco dei beni di Bija e gli imposero il divieto di viaggiare. La stessa Guardia Costiera libica aveva dichiarato di averlo sospeso, parole a cui non erano seguiti fatti in quanto continuò ad essere presente ed attivo nel traffico di esseri umani. Nello Scavo su Avvenire a partire dal novembre 2019 ha evidenziato l’esistenza di reti mafiose tra Libia, Malta e la Sicilia anche per il traffico illecito di petrolio.

Un traffico per il quale sono indagati personaggi vicini ai clan mafiosi catanesi dopo l’operazione «Dirty Oil», tra cui alcuni mediatori considerati vicini alla famiglia Santapaola-Ercolano. Nello stesso periodo di «Dirty Oil», secondo l’Osservatorio antidroga dell’Unione Europea, l’Italia ha ricevuto segnalazioni di spedizioni di hashish dirette alla città di Zuara. Secondo un report dell’organizzazione era «stato sviluppato un sistema complesso, che collega gli attori criminali libici e i leader delle milizie, coinvolti in diverse forme di contrabbando e tratta, con aziende e uomini d’affari con interessi nel commercio legale in Libia, Malta, Italia, Spagna, Grecia, Cipro, Albania, Montenegro, Turchia, Siria, Libano, Egitto e Emirati Arabi Uniti (Dubai)» e le milizie libiche «hanno permesso l’importazione, lo stoccaggio e la riesportazione di droga su larga scala».