«Una riforma in cui non credono nemmeno i rappresentanti del centrodestra»

L'INTERVISTA all'onorevole Stefano Vaccari, membro della Camera dei Deputati eletto nella Circoscrizione Emilia Romagna in quota Partito Democratico.

«Una riforma in cui non credono nemmeno i rappresentanti del centrodestra»


La riforma sull'autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perchè?

Sono e siamo nettamente contrari perché si tratta di una riforma in cui non credono nemmeno tutti i rappresentanti del centrodestra, a partire da chi nel Sud e nelle aree interne sa che cosa questo comporterà.

Che valutazione generale dà al Ddl Calderoli?

Concedere maggiore autonomia alle regioni su 23 materie aumenterà le disuguaglianze tra i territori e peggiorerà i servizi già carenti in alcune regioni. È un decreto spacca Italia come lo abbiamo definito, uno scalpo per la Lega in cambio del premierato per Fratelli d’Italia.

Un modo per aiutare l’alleato in difficoltà prima del voto.

C'è chi dice che per primi, questa legge, l'ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?

Semmai questo argomento può testimoniare che la nostra contrarietà non è pregiudiziale, né ideologica, anzi, credo che la storia del centrosinistra e della sinistra italiana sia dinanzi a noi a testimoniare come il principio delle autonomie territoriali faccia parte del DNA di questa parte del campo politico.

Allora, il vero errore, con la riforma del Titolo V, fu l'inserimento di ben 23 materie: io non faccio fatica a riconoscerlo e soprattutto a sottolinearlo. In quel contesto storico si utilizzò la tattica per poter raggiungere un obiettivo politico e - come spesso avviene -, per l'eterogenesi dei fini, il risultato che si riesce ad ottenere è esattamente l'opposto e noi oggi evidentemente ne stiamo pagando le conseguenze.

Tuttavia, in quella riforma del Titolo V nulla c'era di quanto invece è contenuto nel disegno di legge che il Governo e il Ministro Calderoli hanno presentato, perché in quella riforma di legge - mi riferisco nello specifico all'articolo 116, comma 3 - c'erano comunque gli anticorpi per evitare le distorsioni che più pericolosamente possono creare in maniera invalicabile un passo indietro rispetto ai principi dell'unità nazionale.

C'è scritto chiaramente che le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia - cito - possono essere attribuite ad altre regioni nel pieno rispetto dei principi di cui all'articolo 119.

Guardate, tra i principi di cui all'articolo 119, c'è quello della perequazione in favore dei territori con minore capacità fiscale, dello sviluppo e delle aree svantaggiate, della rimozione degli squilibri economici e sociali, come prevede l’art. 3 della Costituzione.

Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?

È quella che ha sempre ricordato il Presidente Mattarella: l’autonomia rafforza l`unità nazionale se attua i principi di sussidiarietà. Prima si finanziano i Lep, poi si mettono le risorse vere sul tavolo, si fa in modo che i servizi siano garantiti in modo uniforme in tutto il Paese e solo dopo si possono decentrare alcune funzioni amministrative.

Se approvi l’autonomia senza fondi, invece, stai solo cristallizzando le differenze e accrescendo le diseguaglianze.

Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?

La verità è che il centrosinistra allora come ora cerca in modi diversi di fronteggiare lo spirito secessionista della Lega. Non solo. L’individuazione dei livelli essenziali di prestazioni al ribasso, cioè tarandole sul livello più basso possibile per poter stare nei costi, farà sì che nel frattempo si comincino a devolvere una serie di funzioni che creeranno la sensazione, il feticcio e la parvenza di aver dato maggiori condizioni di autonomia a quei territori che, più di altri, vivono il principio per cui chi più ha, più può pretendere.

Se passa però questo concetto, non esiste più un divario NordSud, non esiste più un divario tra regioni del Mezzogiorno, del Centro o del Nord; non esiste più l'Italia, perché anche all'interno degli stessi territori regionali il prodotto interno lordo e la capacità fiscale sono diametralmente opposti!

Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull'autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?

È sacrosanto. Le dico di più non si è mai vista una riforma con un livello di audizioni di contrari come questa. Persino la Conferenza Episcopale ha segnalato, più volte, i rischi sociali derivanti dall’Autonomia

Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c'è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c'è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d'Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?

L’ho già spiegato in qualche modo, siamo convinti che sia un’idea al ribasso che danneggia tutti. A partire naturalmente dalle regioni che fanno più fatica a garantirli come quelle del Sud. Con l’autonomia differenziata di Calderoli i Livelli essenziali delle prestazioni non saranno garantiti in maniera uniforme sul territorio nazionale, ma subordinati alla loro sostenibilità economica.

È il vero grimaldello attraverso il quale smantelleranno definitivamente il nostro Stato, partendo dal Servizio sanitario pubblico. I danni ovviamente saranno soprattutto nei confronti del Mezzogiorno, i cui servizi minimi essenziali sono già meno garantiti rispetto ad altre parti del Paese.

La verità è che stanno consapevolmente spaccando il Paese partendo dai diritti e dalla loro accessibilità. In nome di un equilibrio politico tutto interno alla destra, stanno calpestando i principi della nostra Costituzione.

C'è chi afferma, però, che con l'autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno...

Le risorse sono zero già ora. Questo è il punto. Le risorse sono zero e dunque senza soldi di cosa parliamo?

Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?

Autonomia, nel significato vero, significa responsabilizzazione nei confronti dei cittadini che si amministrano, significa rivendicare la possibilità di avere dei margini di discrezionalità sulle scelte di spesa, ma al contempo farsi carico della responsabilità di raccogliere quelle entrate che sono necessarie per dare risposta alle scelte che sui territori possono essere differenziate e ai bisogni che sui territori possono essere diversi.

Questa autonomia si finanzia, come ci dice anche la legge sul federalismo fiscale, con dei tributi propri e, quindi, proprio con questa responsabilità nei confronti dei propri cittadini. La possibilità di scelte differenziate deve però, in questo contesto, partire soltanto quando si è garantita la solidità dei diritti di cittadinanza, che devono essere garantiti e quindi anche finanziati, in modo uniforme, su tutto il territorio nazionale, al Sud come al Nord, nelle isole come al Centro, nelle 27 aree interne come nelle grandi città.

Autonomia significa consapevolezza che i diritti dei cittadini, i livelli essenziali delle prestazioni, devono essere finanziati con i contributi di tutti, con il fondamento della nostra Costituzione all'articolo 53, che dice, appunto, che tutti concorrono, secondo la propria capacità contributiva e secondo il principio di progressività. Questo è il punto, che va ben oltre i Lep.

Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?

Intere popolazioni, parti del Paese, che fanno fatica ad avere accesso a un test prenatale. L'accesso alla mammografia è garantito per la metà delle donne del Sud, rispetto al Nord. Ci sono anni di aspettativa di vita in meno al Sud, rispetto al Nord.

Abbiamo una disparità della distribuzione di risorse sociali nell'assistenza agli anziani: solo il 30 per cento dei comuni del Sud garantisce oggi l'assistenza domiciliare agli anziani. Solo il 20 per cento delle ragazze e dei ragazzi, al Sud, ha la possibilità di avere il tempo pieno e la mensa scolastica, contro il 50 per cento dei loro coetanei al Nord.

C'è una disparità di presenza di asili nido pubblici tra il Sud e il Nord. Questa è la fotografia, purtroppo, del nostro Paese. Ecco questa legge non farà che aumentare questi divari, cristallizzare questa ingiustizia. A partire dai Lep ma come dicevo anche oltre.

Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è sì, quali e perché?

Continuando a colpire e a tagliare la sanità al Sud, sempre più persone, saranno costrette a emigrare al Nord per curarsi più di quanto non accada già oggi, allungando quindi anche le liste d'attesa del Nord, e ledendo, dunque, il diritto alla cura anche dei cittadini di quelle regioni. Lo ha spiegato benissimo la Fondazione Gimbe, in audizione in Parlamento.

Ma questo è soprattutto, per noi, un provvedimento ingiusto, perché è gravissimo quello che si sta per fare alla scuola pubblica del nostro Paese, dove, da domani, noi rischieremo di avere programmi differenziati, concorsi differenziati tra regione e regione, ma soprattutto avremo gli insegnanti del Sud o delle aree interne di questo Paese pagati meno dei loro colleghi del Nord o delle città metropolitane.

A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?

Con questo disegno di legge emerge la precisa idea del Paese che ha la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che, a parole, in campagna elettorale, dice come al Sud occorrano infrastrutture di cittadinanza, e poi, con i fatti, taglia 3,5 miliardi di euro dal Fondo perequativo infrastrutturale. Risorse che servivano a che cosa?

Agli ospedali, alle case della Comunità, alle strade, alle ferrovie, alle reti idriche. Questa è l'idea della destra italiana, che fa la morale sulla responsabilità agli amministratori del Mezzogiorno, e poi consente, senza dire nulla, che la spesa pubblica per un cittadino del Nord sia di 19.000 euro l'anno, mentre per un cittadino del Sud di 13.500.

Altro che partire tutti dallo stesso livello!

 

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