La creator economy (detta anche passion economy o economia della monetizzazione individuale), l’ecosistema fatto di contenuti digitali, community online e nuove professioni, rappresenta un settore in continua espansione, ma ancora privo di adeguate tutele per i giovani lavoratori. Il solo passo avanti in ambito legale è limitato al nuovo codice ATECO 73.11.03, in vigore dal 1° gennaio 2025, che consente che le professioni emergenti come influencer e content creator vengano formalmente riconosciute, garantendo loro un inquadramento specifico rilevante non solo ai fini fiscali.
La mancanza di un codice dedicato penalizzava la professione. Oggi il codice copre le diverse attività legate alla creazione di contenuti digitali, incluse promozioni sui social media, campagne di marketing e pubblicità per prodotti o servizi. Si è trattato di un passo avanti rispetto al precedente utilizzo del codice generico 73.11.02, che riguardava la “gestione di campagne pubblicitarie” (inidoneo a rappresentare le specificità del lavoro digitale e creativo degli influencer) ma restano ancora aperti numerosi problemi, come denunciato dal Consiglio Nazionale dei Giovani che, nell’ambito degli Stati Generali delle Politiche Giovanili, ha presentato i risultati dell’indagine nazionale sulla creator economy, realizzata con il supporto scientifico di Eures – Ricerche Economiche e Sociali.
L’indagine (https://consiglionazionalegiovani.it/studi-e-ricerche/) offre una fotografia approfondita del settore che, facendo luce su molti aspetti inediti, rende possibili notevoli spunti di riflessione critica.
Con oltre 51.000 posti di lavoro generati (18.000 diretti e 33.000 indiretti, tra agenzie, brand partner, consulenti, videomaker e professionisti della comunicazione) e 42 milioni di utenti attivi sui social in Italia, la creator economy si è affermata come uno dei nuovi motori del mercato pubblicitario, superando TV e stampa per volumi di investimento. Nel 2024, infatti, gli investimenti online hanno raggiunto i 4,2 miliardi di euro, consolidando il primato sulla spesa destinata al mercato televisivo (3,9 miliardi).
Tuttavia, il lavoro che la sostiene resta invisibile: oltre il 60% dei contenuti pubblicati non è retribuito e solo un creator su cinque considera questa attività come una carriera stabile nel tempo.
Il dato più sorprendente riguarda le motivazioni: quasi l’80% dei giovani creator under 35 entra in questo mondo spinto dalla passione, più che da aspettative economiche. Condividere esperienze, idee e competenze è la molla che spinge la maggior parte dei content creator ad affacciarsi al mondo digitale. Il principale driver motivazionale è infatti il desiderio di trasmettere conoscenze (punteggio medio pari a 8,8/10), seguito dalla passione per la creazione di contenuti (8,7). Solo una minoranza monetizza tutti i contenuti prodotti (5,9%) o la maggior parte di essi (15,4%), a conferma di un settore in crescita ma ancora fragile sotto il profilo della sostenibilità economica.
Le piattaforme non sono più meri spazi digitali, ma attori centrali che condizionano la produzione dei contenuti e l’organizzazione del lavoro, spesso in modo unilaterale e senza contraddittorio.
Il 76% dei creator che ha subito un ban lo ritiene ingiustificato o inspiegabile, e oltre la metà non ha accesso a interlocutori diretti per gestire controversie. Solo il 6,7% di chi ha tentato di accedere al credito ci è riuscito. Una situazione che alimenta precarietà e incertezza, nonostante l’impegno quotidiano e le competenze richieste.
L’82% dei creator chiede una rappresentanza collettiva per ottenere tutele giuridiche, chiarezza contrattuale e sostenibilità della propria attività.
Il futuro professionale degli influencer e content creator rimane segnato da incertezza e visioni contrastanti. Soltanto il 23,6% del campione considera la propria attività come una carriera a lungo termine (50% tra quanti contano su oltre 500.000 follower e 14% tra chi ne ha meno di 100 mila), mentre una quota più consistente (34,2%) immagina di cambiare settore/attività nel medio-lungo periodo e l’11,8% vede il lavoro di creator come una parentesi giovanile, destinata a concludersi. Infine il 30,4% non ha alcuna ragionevole certezza al riguardo, a conferma di una realtà ancora debole nei riferimenti fondamentali che il lavoro dovrebbe invece garantire.
Anche per questo settore professionale si richiedono politiche lavorative efficaci e mirate nel lungo periodo. Anche per questo settore professionale l’instabilità e la precarietà del lavoro sono le principali fonti di preoccupazione. il declino dell’economia italiana, alimentato dal circolo vizioso tra lavoro precario e bassa crescita, accresce il divario nei confronti delle principali economie europee.




