Via D’Amelio, Viale Amelia, una strada di Palermo e una strada di Roma. Simili nel nome e legati ad un filo rosso. La prima è la strada di Palermo – notissima – in cui il 19 luglio 1992 furono uccisi in una strage mafiosa Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli. La seconda – nome molto meno conosciuto – è la strada di Roma in cui una settimana dopo morì Rita Atria.
Rita Atria è la settima vittima della strage di via D’Amelio, la sua vita e la sua morte sono legati indissolubilmente a Paolo Borsellino. Eppure come vittima della strategia stragista di Cosa Nostra (si può ancora dire che sono state stragi di mafia quelle sul continente del 1003 e l’anno prima Capaci e via D’Amelio? O arrivano scomuniche?) non viene citata quasi mai, omessa. La narrazione ufficiale, e c’è chi esprime fastidio esultando persino per la censura tentata di una giornalista coraggiosa come Giovanna Cucé, riporta che Rita Atria si sarebbe suicidata, che avrebbe deciso di porre fine volontariamente alla sua vita. Dubbi, interrogativi, zone grigie esistono, persistono, sono anche fin troppo evidenti. Ma un certo pensiero unico, che ribalta e mette in discussione anche l’indiscutibile e si lancia in ardite ricostruzioni, sulla morte di Rita Atria non accetta tentennamenti e considera intoccabile la narrazione ufficiale.
Nei giorni scorsi la rivista Vita ha pubblicato l’intervista di Anna Maria Atria, sorella di Rita, rilasciata a Gilda Sciortino. «Ringrazio sempre l’associazione antimafie “Rita Atria” e la sua vice presidente, Nadia Furnari, che hanno voluto tornare a parlare di lei portando avanti un vero e proprio lavoro di inchiesta che vuole fare luce sui dubbi che si hanno rispetto alla morte di mia sorella. Quale dubbio? Il fatto che Rita possibilmente non si sia uccisa» ha dichiarato Anna Maria Atria alla giornalista Sciortino.
«Rita si può senza ombra di dubbio considerare la settima vittima di via D’Amelio, come la definiscono Giovanna Cucè, Nadia Furnari e Graziella Proto nel loro libro “Io sono Rita”, libro-inchiesta che ricostruisce la sua storia scomoda e tutto quello che, in trent’anni, non è mai stato cercato, chiesto, investigato, scritto – sottolinea Gilda Sciortino sulle pagine della rivista Vita – Un libro che tornerà sugli scaffali delle librerie entro la fine dell’anno, arricchito di nuove scoperte, ridando ancora più luce alla storia di una ragazza che, con la forza dei suoi 17 anni, denunciò la mafia del suo paese, Partanna, in provincia di Trapani, mettendo in mano al giudice Paolo Borsellino la sua vita. Una storia piena più di ombre che di luci, che aspetta ancora verità e giustizia, tanto che la stessa sorella e l’Associazione Antimafie Rita Atria hanno chiesto la riapertura delle indagini».
«Oggi non riusciamo più a dirlo che si è suicidata, ci viene difficile» dichiarò Nadia Furnari in occasione della prima uscita del libro ai microfoni della TGR RAI Sicilia. La gestione della sicurezza di Rita, che lascia a dir poco sgomenti, l’alcol trovato nel suo corpo senza che nessuna traccia sia stata trovata nell’appartamento, la tapparella semichiusa subito dopo che Rita è volata giù dal balcone, la casa pulita da impronte e tracce biologiche, reperti (come un orologio da uomo) non refertati.
Davanti a tutto questo, e tanto altro, documentato e raccontato nel libro si aprono scenari inediti, si pongono interrogativi che dovrebbero pesare come macigni, si riscrive letteralmente la storia di Rita Atria.
L’Associazione Antimafie Rita Atria ha presentato un esposto, tramite l’avvocato Goffredo D’Antona, per chiedere la riapertura delle indagini sulla morte di Rita. Riapertura, come formalmente viene definita, che appare forse una prima apertura.
E davanti tutto quanto emerso nel libro, davanti ad uno scenario che lascia a dir poco sgomenti, si torna al punto di partenza di quest’articolo e sorge – spontanea ed impetuosa – una domanda: perché senza Giovanna Cucé, Nadia Furnari e Graziella Proto tutto questo non sarebbe mai emerso?
Perché dopo trent’anni sulla morte di Rita Atria ci sono ombre del genere e quando avremo verità e giustizia pieni?
«“Io sono Rita” è il libro-inchiesta che ricostruisce la sua storia scomoda, tutto quello che, in trent’anni, non è mai stato cercato, chiesto, investigato, scritto. Rita Atria, la ragazzina colpevolmente abbandonata dalle Istituzioni che avrebbero dovuto prendersi cura di lei anche perché sotto tutela. Con la forza dei suoi 17 anni denuncia la mafia del suo paese affidandosi al giudice Paolo Borsellino. Forse con la consapevolezza di una brutta fine che le sarebbe potuta toccare – si leggeva nella presentazione – Una settimana dopo la strage del 19 luglio del 1992 in via d’Amelio, Rita diverrà indirettamente la settimana vittima di quello stesso massacro».
Giovanna Cucé ha realizzato anche il reportage «Rita Atria, la settima vittima» (a cui si riferisce la copertina di quest’articolo) mandato in onda su RAI1 e ripubblicato su Raiplay fin quando non era stato rimosso a seguito di diffide e richieste risarcimento (ma senza una pronuncia di tribunale). L’Associazione Antimafie Rita Atria e Le Siciliane le hanno espresso solidarietà chiedendo alla RAI di ripubblicare il reportage su Raiplay. Come poi è accaduto in pochi giorni.
Il 31 maggio 20123 la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” ha approfondito i tanti interrogativi emersi nel libro-inchiesta “Io sono Rita. Rita Atria: la settimana vittima di Via D’Amelio”, nel quale si ricostruisce, anche con documenti inediti, tutto quello che in trent’anni non è mai stato cercato, chiesto, investigato, scritto.