Siamo nei giorni che conducono al ferragosto, giorni simbolo del divertimento anche notturno, del relax, delle vacanze. Ma ci sono persone che non vanno in vacanza, che in questi giorni vivranno notti infernali e disumane esattamente come il resto dell’anno. Se non peggiori perché con l’enorme flusso di turisti che si spostano il loro calvario potrebbe aumentare. Donne violentate, abusate, devastate, ogni notte e ogni giorno decine, centinaia, migliaia di volte.
Il lager dello stupro a pagamento non conosce sosta, lo sfruttamento mafioso della tratta sessuale è sempre tra i business criminali e disumani in piena attività. Nell’omertà, nella complicità, nel negazionismo di tanti, troppi. Il silenzio, nel Paese della retorica a ciclo continuo e delle giornate per la qualunque, calato sulla Giornata Internazionale contro la tratta è più che emblematico.
Sono migliaia le donne incatenate alla schiavitù sessuale, sfruttate sessualmente da migliaia di stupratori paganti per lo sporco business di mafiosi e schiavisti. Tra loro per tanti anni c’è stata Adelina, Alma Sejdini. Novembre è il mese del suo anniversario, della notte in cui le cronache ci raccontano si suicidò ma in realtà assassinata da chi la abbandonò, da chi la sfruttò, da chi la violentò. E da chi rimase indifferente. Un anniversario che cade ogni anno nel quasi totale silenzio, nell’omertà. Basta scorrere i social per vedere quanti l’hanno ricordato, quanti hanno dedicato a lei anche solo pochi secondi. Dovrebbe essere ricordata ovunque, enorme dovrebbe essere la mobilitazione per raccogliere quel suo grido disperato nell’ultima diretta facebook «Siate la voce di tutte le Adeline». Ed invece ci ritroviamo, tra le tante, con una visibilità e una risonanza immensamente maggiore dei pochi ricordi di Adelina, proprio nel giorno del suo anniversario, a chi rivendica la difesa dello stupro a pagamento, decantandolo addirittura. C’è chi a quanto pare considera Adelina da annoverare come una che può essere di meno. Così come l’hanno attaccata, additata, censurata, attaccata, ignorata, isolata, contrastata in vita.
La lotta abolizionista, le denunce, di Adelina sono state sostenute in vita da pochissime, che continuano a ricordarla e portare avanti il suo impegno. Resistenza Femminista tra le prime. Rachel Moran, sopravvissuta e attivista abolizionista, autrice del libro “Stupro a pagamento”, porta avanti da tanti anni lo stesso impegno, la stessa battaglia di Adelina. In occasione del 25 novembre scorso, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne, Rachel Moran è intervenuta ad un convegno organizzato da Resistenza Femminista e Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano, «Violenza contro le donne e prostituzione: quale relazione?»
Resistenza Femminista nei giorni scorsi ha pubblicato la trascrizione dell’intervento di Rachel Moran sul sito web https://www.resistenzafemminista.it/ che riproponiamo in quest’articolo.
«Ottenere finalmente riconoscimento e conferma è stata un’impresa enorme. Per noi, essere coinvolte in questa campagna in qualità di donne che hanno vissuto l’esperienza della prostituzione è stato come un vero e proprio percorso sulle montagne russe, che ha attraversato 14 anni della mia vita. Ci sono stati momenti intensi di dolore e di perdita, ma anche momenti di gioiose vittorie, una delle quali è stata l’aver denunciato uno dei compratori di sesso.
Alcuni di voi forse mi conoscono e conoscono il mio lavoro, altri no. Perciò vi fornirò una breve panoramica. Sono entrata nella prostituzione quando ero un’adolescente senzatetto in Irlanda. Ho visto allora, negli anni ’90, le stesse cose che ho continuato a vedere ovunque nel mio percorso di vita: povertà, difficoltà economiche, precarietà abitativa, ragazze e giovani donne provenienti da famiglie spezzate… disfunzionali. Tutto ciò era aggravato da diversi fattori negativi presenti nelle nostre storie.
Questo è il primo elemento da considerare se si è interessati all’idea che la prostituzione sia una questione di agency e di scelta. Bisogna chiedersi: se davvero si tratta di una scelta, perché sono proprio quelle che vivono circostanze disperate a popolare questo sistema?
L’idea della “lavoratrice sessuale felice” perde senso non appena si iniziano a porre domande semplici, eppure fondamentali.
A volte penso sinceramente a noi, come specie. Sembra straordinariamente facile per le persone credere collettivamente a qualcosa a livello intellettuale o superficiale, perfino quando la loro comprensione sensoriale più profonda la contraddice. In eventi come questo, osservo – più e più volte – una maggioranza di donne e una minoranza di uomini.
Alle donne del pubblico: vi invito a chiedervi come vi sentireste se il vostro corpo fosse accessibile al pubblico tanto quanto una stazione ferroviaria.
Perché questa è la realtà. Questo è ciò che è la prostituzione.
Agli uomini: vi esorto a pensare alle donne delle vostre vite – le vostre madri, figlie, sorelle, amiche.
Non parlo di mogli o fidanzate, perché tutti noi conosciamo bene il fattore della gelosia sessuale. Ma pensate a quelle forme non sessuali di amore familiare. Se non vorreste che il corpo di qualcuno – a cui semplicemente volete bene senza rapporti sessuali – venisse trattato in questo modo, questa dovrebbe bastarvi come prova. Che si tratta di qualcosa di degradante e umiliante per una persona.
Questi sono i tipi di discussioni a cui dobbiamo dedicarci, le domande che dobbiamo porci.
Solo rispondendo sinceramente a queste domande possiamo iniziare a comprendere la vera natura della prostituzione. Prima di poterla affrontare, dobbiamo capirla.
Esistono molti modi per fronteggiarla, e credo che la legislazione sia uno degli strumenti più importanti – se non il più importante.
Questo è un momento significativo, ed è fondamentale che questa conversazione stia avvenendo in questa sede, in collaborazione con un centro antiviolenza italiano.
La violenza della prostituzione – la violenza che è la prostituzione – è stata occultata per troppo tempo.
Uno degli aspetti più dolorosi per noi è stata l’assenza di solidarietà da parte delle donne non prostituite, come se non fossimo umane, come se non potessimo essere paragonate a loro. Io l’ho vissuta così – o, quantomeno, è così che mi è arrivato.
Dobbiamo continuare a portare avanti queste conversazioni pubbliche, non solo per cambiare le leggi, ma anche per cambiare i punti di vista.
Il cambiamento legislativo ha un impatto enorme sull’opinione pubblica, ma è solo una parte del puzzle. Queste conversazioni devono consolidarsi anche a livelli più alti – comprese le Nazioni Unite e oltre. Solo così potremo ottenere un cambiamento reale.
Vi faccio un altro esempio di ciò di cui sto parlando.
Mi è stato chiesto di partecipare a un documentario in Inghilterra. Non è ancora andato in onda, quindi sarò cauta su quello che dirò.
Nel documentario c’è una riflessione sulla prostituzione e le sue origini. Ho scoperto che, nell’Inghilterra vittoriana dell’Ottocento, le donne prostituite venivano chiamate “donne sfortunate”.
E ho pensato: “Wow, interessante. Almeno allora erano onesti”. È stata la mia prima reazione.
Ma poi ho iniziato a riflettere su ciò che è cambiato e ciò che è rimasto uguale.
Quello che è cambiato è che oggi nessuno chiama più le donne prostituite “donne sfortunate”. Quel livello di onestà è stato accantonato. Il linguaggio è stato modificato per occultare la realtà e creare una narrazione apologetica, depurata, “sanificata”.
La realtà è stata capovolta.
Ora parliamo di prostituzione in termini di agency e scelta, e le donne prostituite vengono definite “lavoratrici sessuali”. Questo è ciò che è cambiato.
Ma la realtà effettiva di ciò che succede non è cambiata nel modo più assoluto.
Quello che è rimasto uguale è che il focus è sempre sulle donne, indipendentemente dalla terminologia utilizzata.
Eccoci qui, 150 anni dopo, ancora a parlare delle donne. Sempre.
Penso che il primo passo verso un cambiamento reale sia iniziare a guardare al numero crescente di uomini coinvolti in tutto questo».