Secondo Giorgia Meloni, i dati ISTAT di luglio parlano chiaro: la disoccupazione cala, le assunzioni aumentano, l’Italia riparte.
Ma viene spontaneo chiedersi: in quale Paese vive la Presidente del Consiglio? Perché di certo non è quello che milioni di italiani attraversano ogni giorno tra bollette insostenibili, salari da fame e contratti che scadono prima ancora di iniziare. Forse, più che alla realtà, Meloni guarda a un’Italia disegnata per la propaganda, dove i grafici raccontano una favola mentre la vita vera è tutt’altra cosa.
È vero, i numeri possono essere presentati come trofei. Ma i numeri, presi da soli, dicono poco. Perché quelle “nuove assunzioni” tanto celebrate nascondono, nella stragrande maggioranza dei casi, contratti precari, part-time involontari, tirocini non pagati e lavori a voucher. È facile vantarsi di un calo della disoccupazione quando migliaia di persone smettono addirittura di cercare lavoro e scompaiono dalle statistiche.
In questo Paese, più che una ripresa, si respira un gigantesco immobilismo. I giovani continuano a partire, il Sud si svuota, la classe media è sempre più fragile e il lavoro, quando c’è, non basta a vivere.
E mentre tutto questo accade, il dibattito politico è completamente desertificato. Non c’è una vera opposizione, e questo è forse il problema più grave. Nessuno riesce a costruire un’alternativa credibile, nessuno ha il coraggio di sfidare davvero la narrazione del governo, nessuno sembra capace di parlare alle persone, di rappresentarne i bisogni reali. La sinistra, poi, è ormai un concetto più che una realtà: divisa, frammentata, priva di visione, sembra incapace di interpretare le paure e le speranze di un Paese che cambia.
Oggi non si fa più politica, si fa marketing. Gli slogan hanno sostituito i programmi, i like hanno sostituito le idee, i post sui social hanno preso il posto delle piazze e dei progetti di lungo periodo. È tutto un gioco di propaganda, un eterno presente che guarda solo al consenso immediato. Non esistono più visioni collettive, solo interessi personali. Finché le stanze del potere continueranno a essere dominate da favori, favoretti, scambi sottobanco e alleanze di convenienza, finché la logica sarà quella del “posto per l’amico” e non del merito, non ci sarà mai una politica vera, fatta bene, per il bene di tutti.
La verità è che in Italia la politica si è ridotta a un teatro. Sul palco, attori che recitano ruoli sempre più prevedibili; dietro le quinte, gli stessi interessi che si perpetuano da decenni. Chi governa costruisce narrazioni, chi dovrebbe opporsi balbetta o tace, e intanto il Paese scivola sempre più verso un futuro fatto di precarietà, ingiustizie e disuguaglianze.
E così, mentre a Palazzo Chigi si celebrano dati trionfali, la realtà fuori da quelle stanze è amara. Ci sono famiglie che devono scegliere tra pagare l’affitto o fare la spesa, giovani che lavorano dodici ore al giorno per stipendi da fame, genitori costretti a vedere i propri figli emigrare perché qui non c’è spazio per il merito. La precarietà è diventata la normalità, e la normalità è diventata sopravvivenza.
Si parla tanto di “nuove assunzioni”, ma il vero problema è la qualità del lavoro. Che senso ha avere un contratto se il tuo stipendio non ti permette di vivere dignitosamente? Che senso ha parlare di crescita se cresce solo la disparità tra chi ha molto e chi non ha nulla?
C’è una frase che, in questi giorni, fotografa bene la situazione: “L’Italia è un Paese che racconta il suo futuro con le parole, ma lo distrugge con le scelte.”
È questo il punto: le dichiarazioni servono a rassicurare, a dare l’illusione che esista un piano, un progetto, un orizzonte. Ma sotto quella patina di ottimismo resta un Paese stanco, sfiduciato, sempre più diviso tra chi può permettersi tutto e chi deve accontentarsi delle briciole.
E allora sì, forse Giorgia Meloni i dati li legge davvero. Ma li legge come conviene, scegliendo solo quelli che servono alla narrazione. Nel frattempo, i problemi restano tutti lì: stipendi bassi, inflazione alta, fuga dei cervelli, precarietà diffusa, giovani senza futuro.
E nessuno – né al governo, né all’opposizione – sembra avere il coraggio di affrontarli davvero.
Finché la politica resterà ostaggio degli interessi personali, finché la logica sarà quella del consenso immediato e non del bene comune, l’Italia continuerà a galleggiare. Sopravviveremo, certo. Ma non vivremo.
E non basteranno altri grafici, altre conferenze stampa, altri slogan. Perché la realtà, a differenza dei numeri, non si trucca.