È sufficiente osservare i flussi di capitale, le catene di produzione, i meccanismi finanziari globali per rendersi conto di una realtà che, sebbene sotto gli occhi di tutti, viene nascosta dietro una cortina di fumo comunicativa: enormi interessi economici e politici gravitano intorno al progetto sionista e al genocidio in corso a Gaza.
Le campagne di boicottaggio dei prodotti riconducibili a questi circuiti hanno avuto il merito di far emergere numeri impressionanti: interi settori dell’economia mondiale sono piegati a logiche che nulla hanno a che fare con i popoli e i loro diritti. Ecco perché figure come Francesca Albanese vengono attaccate con ferocia: il suo lavoro di denuncia ha osato scalfire la narrazione dominante, svelando le connessioni tra capitale, armi e geopolitica.
Le mobilitazioni popolari, oceaniche e diffuse in ogni continente, vengono ignorate come fossero ronzio fastidioso. I governi – che dovrebbero rappresentare i cittadini – si trasformano invece in esecutori di interessi altrui, inchinandosi alle lobby economiche e finanziarie. È questo il senso del “muro di gomma”: la volontà popolare rimbalza senza lasciare traccia, mentre i media si incaricano di offuscare, depistare, confondere.
Da oltre ottant’anni il progetto sionista ha saputo mettere in scacco gli organismi internazionali, riducendoli a gusci vuoti, privandoli di autorevolezza e di forza. Oggi la guerra viene normalizzata, presentata come opzione inevitabile, e le risorse vengono dirottate sempre più verso la produzione di strumenti di morte. Parallelamente, le democrazie vengono destrutturate: il consenso diventa simulacro, mentre il potere reale scivola verso centri sempre più ristretti e opachi.
In questo scenario, leader squilibrati e narcisisti – come Macron, pronto a lanciarsi in avventure belliche – non fanno che accelerare il rischio di trascinare l’Europa e il mondo intero in un nuovo massacro. La storia sembra ripetersi, ma le proporzioni della catastrofe potenziale sono infinitamente più grandi.
Oggi siamo a un bivio cruciale: o ci lasciamo condurre come carne da macello verso la polvere e il sangue, oppure costruiamo modelli socio-economici nuovi, capaci di restituire centralità ai popoli e non ai potentati. Uscire da questa strettoia è possibile, ma richiede una grande mobilitazione globale, un atto di coscienza collettiva.
È la sfida del nostro tempo: decidere se essere spettatori passivi del baratro o protagonisti di un risveglio storico.