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Bullismo, solitudine giovanile e responsabilità educativa

Intervista alla prof.ssa Vincenza Pellegrino

by Antonella Giordano
24 Settembre 2025
in Interviste
Reading Time: 11 mins read
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Il terribile suicidio di un quindicenne di Latina ha sollevato profondi interrogativi sul ruolo della scuola, delle famiglie e della società, nella crescita e nella protezione delle nuove generazioni, obbligandoci a riflettere su quanto i giovani trovino, oggi, spazi adeguati di ascolto, riconoscimento e sostegno. Per approfondire tali tematiche, ho incontrato la prof.ssa Vincenza Pellegrino (nella foto).

Docente di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e contrattista presso diversi Atenei italiani Vincenza Pellegrino è una dei massimi esperti di progettazione e realizzazione di percorsi e sperimentazioni didattiche. Da sempre interessata alle problematiche dell’insegnamento e dell’apprendimento, ha sviluppato, nel tempo, una “passione” per le dinamiche dei processi cognitivi, che chiamano in causa l’educazione, come fattore determinante e formante di qualsiasi identità. Autrice di studi e pubblicazioni che pongono in rilievo il rapporto tra società, scuola e famiglia i suoi studi si incentrano sull’adeguatezza dei modelli e dei metodi formativi che vengono proposti alle giovani generazioni. Studiosa di bullismo e cyberbullismo è, in particolare, impegnata, da molti anni, nella formazione di docenti e studenti, finalizzata allo sviluppo di ambienti scolastici inclusivi. La sua prospettiva aiuta a leggere la complessità di queste vicende e a delineare strategie di rinnovamento per le pratiche educative.

 Professoressa Pellegrino quale significato assume per la collettività la decisione di un adolescente di porre fine alla propria vita?

 Un gesto così estremo e drammatico è un fatto che supera la dimensione personale; è il sintomo di   una crisi radicale e diffusa, dovuta alla mancanza di relazioni autentiche e di contesti dove la vita nascente venga percepita come portatrice di valori. L’adolescenza è il tempo in cui si cercano appartenenza, riconoscimento e direzioni di senso. Quando queste richieste non trovano un interlocutore credibile, la solitudine può diventare un peso insostenibile. La tragica perdita di un giovane richiama la coscienza collettiva e sottolinea la necessità di generare legami vitali, che siano in grado di nutrire il naturale processo di maturazione dei minori e di custodire le delicatezze proprie dell’età evolutiva, quale bene comune.

In che misura le normative e i protocolli antibullismo modellano le dinamiche quotidiane della vita scolastica e l’esperienza educativa degli studenti?

 Il quadro normativo nazionale ha segnato tappe importanti, in particolare, con la legge n. 71, del 2017, che ha introdotto misure specifiche per contrastare bullismo e cyberbullismo e con la legge 107, del 2015, che ha posto, la cittadinanza digitale e la parità di genere, tra gli obiettivi strategici della cosiddetta “Buona Scuola”. L’introduzione dello Statuto delle studentesse e degli studenti ha, infine, valorizzato il significato educativo di ogni intervento scolastico. Questi strumenti, tuttavia, acquistano forza soltanto se utilizzati compiutamente nella prassi quotidiana. Le norme, infatti, possono tracciare un orizzonte, ma per diventare efficaci e trasformative, occorre che insegnanti e dirigenti le interpretino come impegno di cura, attenzione e responsabilità verso gli alunni. Chi lavora abitualmente con i giovani deve, quindi, saper trasformare le procedure codificate in esperienze formative capaci di cogliere i segnali di disagio e di agire tempestivamente.

Molte scuole si sono dotate di ePolicy. Ritiene che la loro adozione sia utile?

L’ePolicy, se correttamente implementata, rappresenta un valore aggiunto, in quanto integra i principi della legge 71/2017, nei regolamenti scolastici, nel PTOF e nel Patto di corresponsabilità. Tuttavia, in molti casi, si riduce a semplice documento velleitario, non accompagnato da una effettiva riformulazione dell’offerta formativa. Questo è un limite grave, perché la responsabilità della scuola è proprio quella di tradurre le linee ministeriali in progettualità didattica concreta, ridefinendo tempi, spazi e curricoli. È superfluo ribadire che, anche la migliore delle ePolicy non è sufficiente, da sola, a garantire alcun risultato, è necessario, invece, educare, monitorare e rinnovare costantemente le pratiche quotidiane.

La figura del referente scolastico per bullismo e cyberbullismo riesce a intercettare le difficoltà degli studenti?

Con l’entrata in vigore della Legge 71/2017 in materia di Tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, si è verificata un’ulteriore assunzione di responsabilità da parte delle scuole, prevedendo al proprio interno la presenza di un docente referente, che dovrebbe essere punto di riferimento nell’istituto, con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto.   Si tratta di un ruolo prezioso, che richiede competenze specifiche. Chi lo ricopre dovrebbe possedere una solida preparazione psicopedagogica, una sensibilità relazionale acuta e leve di mediazione esperta, insieme a conoscenze aggiornate su cittadinanza digitale e questioni di genere. Spesso, però, la designazione trascura questi aspetti e l’incarico viene affidato a persone   che non hanno ancora consolidato un bagaglio appropriato e coerente con la funzione da esercitare. Di conseguenza, una figura potenzialmente decisiva nel contrasto al bullismo potrebbe risultare puramente formale, quindi inefficace. È opportuno, allora, che ogni incarico sia accompagnato da percorsi formativi strutturati, affinché si traduca in vero presidio educativo, capace di riconoscere segnali precoci, di sostenere famiglie e colleghi, collaborando proficuamente con le istituzioni locali.

Quindi, affidare l’incarico di referente a figure prive di competenze adeguate, incide negativamente sui processi decisionali e sulle dinamiche di responsabilità all’interno dell’istituzione scolastica?

È un onere etico e professionale enorme. Un referente privo di formazione specifica finisce per   lasciare gli studenti senza un’effettiva protezione. Accettare un incarico non avendo le competenze psicopedagogiche e digitali richieste, significa correre il rischio di una responsabilità “di facciata”, che può generare più danni che benefici. La normativa assegna al referente funzioni di coordinamento, prevenzione e mediazione ma se queste restano inattuate, la scuola tradisce la propria missione educativa. È urgente, dunque, che i dirigenti inizino a selezionare i referenti con criteri rigorosi e che i docenti accettino tali incarichi solo se disposti a formarsi in modo qualificato e ad assumersi interamente il peso etico e operativo che il ruolo comporta.

Che significato assume il bullismo nella vita scolastica e sociale contemporanea?

Il bullismo va oltre i semplici comportamenti disfunzionali o problematici. Dobbiamo considerarlo un indicatore delle fragilità culturali e relazionali che attraversano i contesti formativi e sociali in cui crescono i giovani, che ci rivela quanto sia complesso per la società percepire la dignità di chi si discosta dai modelli dominanti e come l’esclusione rappresenti, in molti casi, la manifestazione di carenze educative più ampie. Qualsiasi episodio di esclusione o aggressione chiama in causa la capacità di trasmettere valori fondamentali quali rispetto, convivenza e partecipazione civica, sollecitando interazioni autentiche e la possibilità di costruire rapporti significativi che onorino la singolarità. L’educazione consolida la coesione civile, convertendo in competenze le conoscenze e le esperienze condivise, guidando i ragazzi a interiorizzare doveri e diritti, creando luoghi ove l’apprendimento diventa un atto collettivo di crescita e reciproco sostegno. Le esperienze formative, diventano, pertanto, strumenti attraverso cui imparare a vivere insieme, riconoscendo pienamente l’inviolabilità di ciascun individuo. La scuola, quindi, si conferma come ambiente che accoglie le differenze e le trasforma in risorsa, offrendo agli allievi l’opportunità di celebrare la pluralità, quale elemento di progresso comune e di consolidamento di una cittadinanza consapevole e responsabile.

Cosa implica la mancata integrazione delle indicazioni ministeriali sulla cittadinanza digitale e sull’educazione al rispetto, nel curricolo formativo?

 La mancata integrazione delle indicazioni ministeriali, sulla cittadinanza digitale e sull’educazione al rispetto, nel curricolo formativo, si traduce in un danno che va oltre la dimensione didattica, perché condiziona la natura stessa della scuola, come comunità di senso e di valori. Privare il curricolo di questi elementi, significa rinunciare a educare l’essere umano nella sua interezza, lasciando in ombra le dimensioni etiche, relazionali e civiche, che costituiscono la base dell’esistenza condivisa. La scuola, ridotta a semplice trasmissione di saperi tecnici, tradisce la propria vocazione ontologica, ossia formare persone capaci di abitare responsabilmente il mondo. L’integrazione di tali indicazioni, non riguarda, dunque, la sola aggiunta di contenuti marginali, ma pregiudica addirittura la prospettiva di dare forma a un curricolo che rifletta l’unità di sapere, essere e vivere, evitando che la cittadinanza resti confinata a un accessorio esterno e privo di radici, nel ciclo evolutivo dell’individuo.

In che modo possono essere strutturati gli interventi preventivi, per ridurre i rischi e promuovere al contempo una cultura educativa responsabile?

La prevenzione richiede, innanzitutto, un profondo cambiamento del clima culturale consolidatosi negli ultimi decenni, insieme a un recupero dei valori irrinunciabili dell’esistenza umana. Il benessere, prima ancora che economico o sociale, deve essere interiore.  Pertanto, l’intera comunità ha il dovere di proteggere chiunque viva una condizione di disagio o di vulnerabilità. Nel sistema educativo, la prevenzione si traduce in un investimento ampio e integrato sulla formazione dei docenti. Non sono sufficienti le sole conoscenze disciplinari; è indispensabile possedere competenze psicopedagogiche, relazionali e di mediazione, cittadinanza digitale e consapevolezza di genere. È altrettanto fondamentale favorire una collaborazione reale tra scuola, famiglie e istituzioni territoriali, costruendo percorsi coerenti, sistemici e progettati da personale esperto nel settore. Spesso, tuttavia, gli enti locali si affidano a professionisti con profilo prevalentemente giuridico, che possono garantire il rispetto delle procedure, ma non la capacità di comprendere a fondo i vissuti e le criticità adolescenziali, né di guidare pratiche pedagogiche realmente incisive. L’intervento va invece tradotto in iniziative   strutturate e durature. È necessario offrire esperienze di cittadinanza affettiva, laboratori di convivenza e spazi in cui ciascun giovane possa attribuire significato e senso alla propria presenza nel mondo. Lo scopo dell’agire pedagogico è sostenere i soggetti coinvolti, promuovere l’aggregazione e stimolare la comunicazione empatica. Solo così la scuola potrà attuare compiutamente la sua funzione generativa, proteggere le vulnerabilità e contribuire alla costruzione di una forma mentis priva di pregiudizi.

Le linee ministeriali invitano la scuola a cooperare con enti locali e associazioni. Quali responsabilità ne derivano?

Quando la cooperazione con enti locali e associazioni rimane frammentaria, la scuola perde i supporti operativi che le sono indispensabili per svolgere, fino in fondo, il proprio compito e rischia anche di smarrire la sua identità di comunità educativa. L’istituzione scolastica, infatti, non è un organismo autosufficiente e vive nell’intreccio con il territorio, con le famiglie e con le reti sociali che ne ampliano l’orizzonte formativo. In questo rapporto sinergico, gli altri attori mettono a disposizione risorse e competenze decisive, mentre spetta alla scuola dare unità e direzione a tali contributi, attraverso una regia stabile e continuativa. La corresponsabilità che ne deriva, non va intesa alla stregua di un semplice obbligo amministrativo, bensì di un assioma che fonda il concetto stesso di educazione, poiché crescere significa abitare la realtà insieme agli altri, tessere legami e partecipare alla costruzione di un mondo condiviso. Senza questa alleanza, l’educazione si riduce a puro fatto tecnico, che prescinde dal contesto e non stimola alcuna attitudine a comportamenti civici virtuosi.

 La Legge 17 maggio 2024, n. 70 introduce novità importanti sul bullismo e il cyberbullismo. Quali implicazioni hanno queste disposizioni sulle pratiche educative delle scuole italiane e come si collegano alle politiche europee in materia?

Negli ultimi anni l’Unione Europea ha rafforzato il proprio impegno per ridurre i divari sociali e territoriali, sostenendo, con i Fondi Strutturali, iniziative che mirano a promuovere pari opportunità e coesione. I Programmi Operativi Nazionali hanno assunto, pertanto, un ruolo decisivo, anche attraverso le più recenti Linee guida 2021 per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo. Ma l’influenza dell’Unione Europea supera il semplice sostegno normativo o finanziario, agendo quale motore progettuale che stimola le scuole a trasformare linee guida e risorse in strategie pedagogiche efficaci. La Legge 17 maggio 2024 n. 70, rafforza e amplia questo processo, intervenendo sulla legge 71/2017, per estendere la prevenzione e il contrasto, dal solo cyberbullismo, a tutti i fenomeni di bullismo, aumentando le risorse per campagne di sensibilizzazione e introducendo la possibilità di servizi di sostegno psicologico, su richiesta delle istituzioni scolastiche. Ogni scuola è chiamata ad adottare un codice interno di prevenzione e contrasto e il dirigente, qualora nell’esercizio delle proprie funzioni venga a conoscenza di episodi di bullismo o cyberbullismo, ha l’obbligo di informare i genitori dei minori coinvolti, applicare le procedure previste dalle linee di orientamento ministeriale e promuovere adeguate iniziative di carattere educativo. Inoltre, l’articolo 2 della legge, rafforza l’approccio educativo anche nell’ambito giudiziario, prevedendo percorsi di mediazione e progetti rieducativi, in caso di condotte aggressive, mentre l’articolo 3 introduce strumenti operativi, come il numero di emergenza 114, rilevazioni statistiche e campagne di sensibilizzazione coordinate a livello nazionale. L’istituzione della “Giornata del rispetto” e le modifiche allo Statuto delle studentesse e degli studenti, offrono ulteriori opportunità per inserire nella programmazione momenti specifici dedicati alla prevenzione, alla responsabilità, al rispetto reciproco e all’inclusione. Il “combinato disposto” tra normativa europea e nazionale, fornisce quindi una leva concreta per costruire ambienti sicuri e partecipativi, all’interno dei quali la prevenzione al bullismo diventa elemento costitutivo della progettazione pedagogica e della formazione integrale degli studenti.

 In che misura cittadini, educatori e istituzioni sono chiamati a rispondere di responsabilità specifiche, nell’ambito delle dinamiche educative e sociali?

La responsabilità investe tutti i livelli del sistema, sia pubblico che privato, in quanto qualunque individuo è inserito in una rete di interconnessioni che ne sostiene lo sviluppo. La scuola si configura quale ambiente relazionale esteso, un ecosistema formativo che dialoga con la comunità e ne accoglie i contributi. Ogni adulto, attraverso parole, gesti e interazioni quotidiane, partecipa alla costruzione di contesti inclusivi, favorendo nei giovani la consapevolezza della propria dignità e del valore della vita condivisa. Salvaguardare l’essenza dell’umano significa promuovere il riconoscimento reciproco, incoraggiare la solidarietà e sostenere processi di appartenenza. In questa prospettiva, la scuola diventa un laboratorio educativo che favorisce la collaborazione della comunità alla realizzazione delle potenzialità personali e collettive. Qualsiasi atto di cura rafforza la coesione sociale e conferma che l’educazione è compito condiviso che si esprime attraverso una continuità di legami e scambi, di spazi e tempi. La scuola ecosistema si afferma, così, in qualità di dispositivo pedagogico diffuso, capace di orientare la società verso pratiche generative, che integrano l’apprendere e il vivere in un processo comune.

Vorrei concludere questa intervista con un suo pensiero…

Davanti a un evento così drammatico, diventa urgente guardare all’avvenire dei nostri giovani con occhi nuovi. Occorre costruire un futuro in cui ciascuno sia considerato realmente un essere unico e irripetibile e la fragilità non venga mai trascurata, bensì interpretata come un richiamo a una missione collettiva. La scuola, con la partecipazione attiva di tutti gli adulti e della comunità, deve diventare lo spazio dove la speranza prende forma e il cammino dei ragazzi trova vocazione e sostegno concreto. In questo percorso, è essenziale accogliere e rispettare il dolore dei genitori e dei familiari, custodi di un affetto insostituibile. Il loro lutto resta un monito silenzioso e potente: ci insegna che proteggere, ascoltare e accompagnare i giovani non è un compito facoltativo, ma un dovere che richiede cuore, continuità e concretezza. Episodi tremendi, come quello del povero ragazzo di Latina, di cui dobbiamo sentirci tutti moralmente responsabili, non possono lasciarci indifferenti. Essi devono scuotere le nostre coscienze e spronarci a un impegno concreto, affinché simili tragedie non si ripetano. È evidente che, purtroppo, il sistema sociale ed educativo non è riuscito a intercettare i segnali di un disagio devastante e non ha fornito alcun sostegno a chi ne aveva un bisogno estremo. Non è il momento di alimentare polemiche o di cercare colpe, ma chi, come la sottoscritta, ha dedicato la propria vita professionale all’educazione dei giovani, sostenendo il valore di tutte le diversità e contrastando gli atteggiamenti di violenza, prevaricazione e discriminazione, fatica, oggi, a contenere rabbia e delusione. Gli strumenti di prevenzione e di intervento potrebbero, infatti, essere molto più efficaci, se fossero applicati con maggiore attenzione, coerenza e continuità. Solo agendo tutti  con coraggio e responsabilità si può trasformare la sofferenza in insegnamento, la fragilità in forza e la speranza in un domani realmente migliore.

Grazie, Professoressa Pellegrino.

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