Il blocco navale imposto da Israele davanti alla Striscia di Gaza è illegale. Non lo dicono soltanto le Ong, i giuristi e gli organismi internazionali: lo affermano le regole stesse del diritto del mare, scolpite nella Convenzione ONU che definisce acque territoriali, libertà di navigazione e responsabilità degli Stati.
Eppure il governo italiano, per voce del ministro della Difesa Guido Crosetto, continua a piegarsi a una narrazione tossica: quelle acque vengono definite “israeliane”, cancellando con un colpo di lingua e di penna lo status giuridico palestinese. Una falsità. Perché secondo la Convenzione sul diritto del mare, le 12 miglia nautiche davanti alla costa di Gaza appartengono allo Stato palestinese – Stato che l’Italia non ha ancora avuto il coraggio politico di riconoscere.
Le bugie di Crosetto e il silenzio del Quirinale
Alla Camera e al Senato Crosetto ha dichiarato: «Non possiamo garantire la sicurezza in acque israeliane». Ma quelle acque non appartengono a Israele. Si fa finta di non sapere o si vuole continuare a prendere in giro tutti?
Neppure il Presidente della Repubblica, nel suo messaggio sulla Flotilla, ha avuto la forza di sottolinearlo: Mattarella ha parlato del valore della vita umana a Gaza, ma non ha mai rimesso al loro posto le parole che contano.
Questa prudenza istituzionale, che puzza di sudditanza, diventa ancora più grave se incrociata con i fatti: dal 2009 Israele ha imposto un blocco totale ai porti di Gaza, prolungando e inasprendo restrizioni già attive dagli anni Novanta (accordi di Oslo II). Dopo il 7 ottobre 2023, ogni navigazione è stata vietata, perfino ai pescatori palestinesi, privando centinaia di migliaia di famiglie del minimo sostentamento.
Il diritto internazionale violato
Un blocco navale può essere considerato legittimo solo in presenza di un conflitto armato tra Stati. Ma qui non siamo in quella condizione: Israele mantiene un’occupazione – anche se molti presunti analisti e commentatori e opinionisti da strapazzo continuano a parlare di guerra – che assume sempre più i tratti di una pulizia etnica. La parola che molti non vogliono pronunciare è GENOCIDIO.
Gli effetti sono devastanti: fame, carestia, impedimento dell’arrivo di aiuti umanitari, migliaia di morti (bambini, donne e uomini) innocenti. Tutto questo mentre il governo israeliano continua a calpestare, con arroganza, i principi fondamentali del diritto internazionale.
La sceneggiata del dittatore sanguinario sionista (con un mandato di arresto inutile sulle sue spalle) presso le Nazioni Unite è servita solo per la sua propaganda. La storia insegna: la tragica fine sta arrivando anche per lui.
Di fronte a questo scempio, l’Italia non alza la voce. Non riconosce lo Stato di Palestina. Non denuncia l’illegalità del blocco. Non interrompe il Memorandum militare con Tel Aviv. Non sospende l’invio di armi.
Si limita a inviare due fregate che si fermeranno davanti a un muro invisibile, tracciato da Israele, accettando supinamente che la solidarietà internazionale venga deviata a Cipro e consegnata attraverso la Chiesa.
Il blocco navale di Israele è illegale. È illegale perché impedisce la libera navigazione in acque che appartengono a Gaza. È illegale perché viola il diritto internazionale umanitario. È illegale perché usa la fame come arma di guerra.
E chi non lo dice, chi tace o distorce, chi piega le parole si rende complice. Non di un “conflitto”, ma di un genocidio in mondovisione.