Dopo 22 anni di 41-bis, Giuseppe Piromalli, detto “Facciazza”, torna libero nel 2021. A 76 anni, uno si aspetterebbe che si ritirasse in una casa di cura per anziani, ad arrovellarsi l’anima per i suoi crimini efferati. Invece no. La sua anima criminale è totalmente bruciata.
Il “vecchietto” ha ripreso – non lo ha mai abbandonato – il suo remunerativo mestiere preferito: fare il padrone di Gioia Tauro. Il padrone di quelli come lui: così si definiva, e così lo hanno lasciato fare. Nessuno si è opposto: nè il tessuto sociale nè le Istituzioni. Ha continuato a delinquere, il fatiscente mafioso.
L’ottantenne – appena scarcerato (su questo ci sarebbe tanto da scrivere. Certe “bestie”, con tutto il rispetto per gli animali, dovrebbero terminare la propria esistenza nelle patrie galere) – ha avuto la forza di rimettere in piedi la cosca, ma perché a consentirglielo è stato un territorio molle, piegato, rassegnato.
Le parole di Musolino
Lo dice chiaramente il procuratore aggiunto Giuseppe Musolino, intervistato dal Corriere della Calabria:
«L’indagine registra come un vecchietto che viene da 22 anni di carcere… sia diventato nuovamente quello che lui stesso ha sempre detto: il padrone di Gioia Tauro.
Questo è stato possibile grazie a una sorta di mollezza del tessuto sociale di Gioia Tauro… al di là della rilevanza penale dei fatti, ciò che emerge è la totale mancanza di resistenza da parte di un tessuto sociale che sembra quasi non vedesse l’ora che Piromalli tornasse a comandare».
E ancora:
«Se non c’è un tessuto sociale resistente, se permettiamo sempre che il vecchietto di turno diventi dominante, siamo noi cittadini a volerlo e in qualche modo siamo corresponsabili».
Parole che bruciano, perché dicono la verità: il problema non è solo Facciazza (che minaccia), il problema siamo noi.
Un boss ridicolo ma letale e con una faccia di cazzo (Facciazza)
Chiariamoci: Facciazza (nome omen) non è un genio del crimine. Guardatela la foto in alto: sguardo da pesce lesso e da idiota. Un volto gonfio e spento, con un cranio che contiene una brutta mente criminale. Vale quattro soldi. La sua forza, come quella dei mafiosi come lui, si basa sulla paura, sulle complicità e sulle collusioni. Ma resta sempre un guappo di cartone. Temuto e rispettato per la sua anima violenta. È un vecchio mafioso decrepito, con le stesse abitudini: estorsioni, minacce agli imprenditori, aste giudiziarie truccate, prestanome compiacenti.
E dopo vent’anni di carcere duro, è uscito – come se niente fosse – per rimettere in moto tutto questo.
Nessuno ha detto niente. Nessuno ha bussato a una porta della Procura. Nessun imprenditore, nessuna istituzione locale, nessun cittadino ha avuto il coraggio di denunciare.
È questo il ridicolo amaro della vicenda: non è la forza del boss, è la debolezza del territorio.
Le istituzioni locali: l’arte del comunicato anodino
E poi ci sono loro: i rappresentanti delle istituzioni locali. Davanti al ritorno del “padrone”, il Comune di Gioia Tauro si è limitato a un comunicato “prudente, anodino”, come lo definisce Musolino.
Tradotto: parole di circostanza, per non disturbare troppo il manovratore. Una sorta di “tiriamo a campare”, come se bastasse mettere la testa sotto la sabbia. Ma un Comune che ha paura di chiamare le cose col loro nome, che istituzione è?
Una società complice
Il nodo è tutto qui: una società civile che non resiste, che non si ribella, che non denuncia. Una società che, davanti al ritorno di “Facciazza”, ha preferito girarsi dall’altra parte. Non basta arrestarlo di nuovo, tra dieci, quindici anni avremo l’ennesimo “vecchietto” (rincoglionito) pronto a riprendersi il potere.
Se Gioia Tauro continua a essere la città dei Piromalli, non è solo colpa dei Piromalli. È colpa anche di chi li tollera, di chi tace, di chi pensa che sia meglio stare zitti e abbassare la testa.
Musolino ha ragione: la lotta alla ‘ndrangheta non si fa solo coi blitz e con le manette. Si fa costruendo un tessuto sociale forte. Gioia Tauro (ma il discorso vale per l’intero territorio nazionale) vuole liberarsi o preferisce continuare a chiamare “padrone” un ottantenne con la faccia da guappo (di cartone)?
Queste facciacce vanno prese a calci nel culo. Senza paura ma con dignità. Per il riscatto di un intero terrritorio.
Ride amaro la città con Facciazza, perché chi tace è complice e lo abbraccia.