Banditi intercettati dai Carabinieri sulla Statale 709-Tangenziale di Termoli. I malviventi con un carro attrezzi rubato avevano poco prima messo a segno il furto di una mini car e di una moto d’acqua in una concessionaria di Vasto.
Rivenuti nelle campagne di Guglionesi, nascosti nella vegetazione, due trattori non ancora immatricolati. Valore complessivo dei mezzi 200.000 euro circa, erano stati rubati nel piazzale di una concessionaria a Cupello.
Sono solo le ultime notizie di furti di mezzi avvenuto nel vastese. Una lunga scia che prosegue da anni e che giunge, come ampiamente documentato negli anni, in provincia di Foggia. Lì si stavano recando i banditi fermati in Molise?
Sono le stesse rotte, o comunque limitrofe, di traffici di droga dai Balcani (Albania soprattutto) e del riciclaggio di capitali reinvestiti in tante attività economiche (a Vasto e San Salvo negli anni delle maxi operazioni contro la camorra, la mafia albanese e le mafie pugliesi numeroso è l’elenco di attività economiche sequestrate) sgominati negli anni. Sono sempre le stesse? Sono collegate? Chi sale per rubare, depredare e “cannibalizzare” auto è coinvolto anche in altri traffici? Le basi di questi tentacoli vecchi e nuovi della malavita che colpisce nel vastese sono sempre quelle?
L’ondata di furti nelle abitazioni nel vastese non si arresta, la settimana scorsa raid di malviventi sono avvenuti a Vasto e San Salvo. Per mesi e mesi Casalbordino è stato tra i comuni più colpiti. Sempre a Vasto, nei giorni scorsi, è stata rubata un’auto. Il segnale GPS ha indicato come punto di approdo della Hyundai Tucson rubata la provincia di Foggia. Territorio in cui, come documentato e denunciato da svariate inchieste, è enorme il numero di automobili rubate che vengono fatte arrivare provenendo da vari territori abruzzesi e molisani e “cannibalizzate”. La “cannibalizzazione” consiste nello smontare pezzi delle auto per poi rivenderle su mercati illeciti.
Solo nel marzo scorso furono tre le auto – una Fiat 500 rubata a Fresagrandinaria, una Fiat Panda rubata a Vasto e un’Alfa Romeo Giulietta rubata a San Salvo – rintracciate a San Severo. Decisivi per il ritrovamento i segnali Gps delle utilitarie. In un’operazione congiunta di Polizia di Stato e Carabinieri nei campi tra San Severo e San Paolo di Civitate, entrambi in provincia di Foggia, nel giugno dell’anno scorso furono sedici le auto rintracciate, quasi tutte rubate tra Abruzzo e Molise, che furono riconsegnate ai legittimi proprietari. Tre gli arresti il mese precedente, eseguiti dai carabinieri di Atessa e San Severo, di due minorenni e un maggiorenne residenti a San Severo per furti di auto avvenuti tra il dicembre 2023 e l’aprile 2024. Il furto e la “cannibalizzazione” delle auto due anni fa ebbe anche la ribalta televisiva nazionale: il popolare inviato di Striscia la Notizia Pinuccio il 2 giugno rivelò che nei primi quattro mesi dell’anno le forze dell’ordine avevano individuato nelle campagne di Cerignola 400 auto “cannibalizzate”.
L’ultima operazione contro il furto e la “cannibalizzazione” di auto è dell’agosto scorso: undici arresti (quattro ai domiciliari) e venti indagati. Indagini condotte dalla procura di Foggia, provvedimenti eseguiti dai carabinieri di Termoli e San Severo. La maxi operazione ha sgominato una banda che agiva in cinque regioni: Abruzzo, Marche, Molise, Puglia e Campania.
Un laboratorio della droga ad Aprilia con stupefacenti che giungevano nei locali e nelle piazze di spaccio del teramano, di Chieti e di Lanciano. Un massiccio hub del narcotraffico che allungava i suoi tentacoli su almeno due regioni. Undici arresti, due nuclei albanesi attivi sul territorio. Lazio, Puglia, Albania. Sono alcune delle rotte del narcotraffico più documentate negli anni nelle operazioni, molte antimafia, delle forze dell’ordine.
Fiumi di droga e di denaro, riciclaggio nell’economia “legale” e affari sporchi che si mischiano. La malavita organizzata, le relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia lo documentano costantemente, continua a fare salti di qualità. Se trent’anni fa in Puglia si parlava di Sacra Corona Unita, considerata la quarta mafia dopo Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta, da tanti anni è accertata la “Società foggiana”. Nomen omen, indicazione ben precisa. Spaccio, flussi di denaro, sono affari sporchi e allo stesso tempo sono segni di presenze predominanti, egemoni, leve del controllo del territorio. Dividersi le piazze di spaccio, agire nell’economia locale, non è solo una banale commissione di reati organizzativi. È dominio del territorio, è espressione di un potere.
In questo “mondo di mezzo” negli anni l’Abruzzo ha visto la presenza di personaggi come il terzogenito di Totò Riina, di cui ci siamo spesso occupati in questi cinque anni, e del braccio destro del defunto boss. Presenza, con una scarcerazione “errata”, su cui tante domande un anno dopo persistono e su cui tentò – nel silenzio del territorio – di accendere i riflettori l’avv. Teresa Nannarone a Sulmona. Territorio la Marsica in cui numerosi sono stati gli accertamenti di investimenti di business legati a doppio filo alla malavita romana, alla camorra o alla cosiddetta “mafia dei pascoli”. Si perde nella memoria di anni apparentemente lontani la maxi operazione contro quella che fu definito un sistema di ‘ndranghetizzazione a Francavilla.
Era l’inizio del 1994 quando la Commissione Parlamentare Antimafia invitò ad attenzionare la presenza a Vasto di Michele Pasqualone. Fu arrestato solo dodici anni dopo. A lui seguirono poi altri personaggi come i Cozzolino e i Ferrazzo. A metà degli anni novanta nel pescarese era ancora pesantemente attiva la “Banda Battestini”, uno dei suoi esponenti, Massimo Ballone, all’inizio del mese è stato condannato in quanto ritenuto referente su piazze di spaccio locali della ‘ndrangheta. La “Banda Battestini” non ha mai abbandonato del tutto la cronaca abruzzese, oltre Ballone altri suoi esponenti è stato dimostrato dagli inquirenti erano ancora attivi. E nel vastese? Nel “vuoto” lasciato dai Pasqualone, dai Cozzolino, dai Ferrazzo cosa c’è? Chi agisce? Chi muove le fila dei traffici di droga e di denaro? Le bande che depredano case, attività economiche, auto, ha pali locali? Ci sono basi d’appoggio in questo territorio?
Ha suscitato clamore nazionale il “femminicidio” di Lettomanoppello. Antonio Mancini, l’autore del femminicidio la settimana scorsa, è protagonista delle cronache almeno dagli anni Novanta. Ha ucciso con una pistola rubata ad un poliziotto penitenziario nel 2011, il figlio ha denunciato in questi giorni che da anni segnalava la pericolosità del padre e chiedeva che gli venisse tolta l’arma. «In tutti i miei anni in servizio una persona così folle e pazza non l’avevo mai vista» sempre ad Erika Gambino per Il Centro ha raccontato Carmine Di Donato, luogotenente carica speciale ed ex comandante della stazione di Lettomanoppello dal 1989 al 1995, «l’uomo che dagli anni ’90 ha seminato la paura da Lettomanoppello fino alla malavita di Pescara. Nel suo curriculum accuse gravissime per rapine, spaccio, reati contro il patrimonio e violazioni del codice della strada».
Cercando notizie sul passato criminale di Mancini in rete è rintracciabile un articolo pubblicato sul sito di Il Centro l’8 ottobre 2010. La notizia era la maxi operazione tra Taranto, Chieti e Pescara contro la rete di spaccio che aveva inondato locali e piazze dell’entroterra pescarese. Al centro di questa rete “Il Guardiano” e una coppia, lei una Di Rocco. Uno dei cognomi che più ricorre nel “Mondo di Mezzo” abruzzese, tra le tante della galassia rom egemone.
Una settimana prima del femminicidio di Lettomanoppello una maxi operazione antidroga antimafia di Polizia di Stato e Guardia di Finanza è scattata a Pescara. Sequestri sono stati eseguiti nei confronti di sei soggetti appartenenti allo stesso nucleo familiare di origine serba e di etnia rom. «L’attività condotta per oltre un anno, oltre ad evidenziare la particolare pericolosità sociale dei soggetti coinvolti, tutti denunciati e condannati nel corso degli ultimi anni per reati contro la persona, contro il patrimonio e soprattutto per reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, ha consentito di ricostruire interi patrimoni illecitamente accumulati con i proventi delle attività delittuose nonché di documentare l’elevato tenore di vita dei medesimi nonostante la scarsa situazione reddituale – riporta il comunicato stampa della Questura di Pescara – Il Tribunale di L’Aquila-Sezione Misure di prevenzione, condividendo in pieno le argomentazioni della Questura di Pescara e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, ha ritenuto sussistere tutti i presupposti per l’emissione, in via di urgenza, del sequestro preventivo dei beni finalizzato alla successiva confisca, rilevando, anche, la pericolosità sociale dei proposti e la prospettata sproporzione tra la capacità reddituale dei sei soggetti e il valore dei beni immobili, beni mobili e le società nella loro titolarità. L’analisi dei dati forniti e la progressione criminosa di ciascuno dei proposti inducono a considerare che ci si trovi di fronte ad un’articolata organizzazione particolareggiata dall’appartenenza al medesimo gruppo familiare».




