Un documentario, per adesso privato in modo da farlo girare nelle scuole, associazioni, comuni e festival, che ripercorre lo stato d’animo e gli ultimi giorni di vita del giudice Paolo Borsellino e degli agenti di scorta. Un’immersione totale nell’intimità di quelle giornate che separano la strage di Capaci, dove persero la vita i giudici Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, e la strage di via d’Amelio, a punto 57 giorni.
Morto Giovanni Falcone, Paolo Borsellino si sentiva un uomo “solo“, tradito e isolato da un ambiente ostile, consapevole di essere il prossimo obiettivo e perseguitato dal senso del dovere e dalla necessità di scoprire la verità dietro la trattativa tra Stato e mafia, il tutto mentre lavorava senza sosta.
È stato scritto e diretto da Gianni Molica, che abbiamo contattato:
“Allora, parlare di ‘Solo 57 Giorni’ significa parlare di poco più di un anno di lavoro e di grandi emozioni durante le riprese, sicuramente a Palermo, il montaggio, la scelta di cosa mettere e di cosa non mettere. Solo 57 Giorni nella parola “solo” significa lo stato d’animo di Borsellino che si è ritrovato da solo, abbandonato dalle istituzioni e si è al tempo stesso isolato dal resto della famiglia. Gli uomini che gli sono stati vicini probabilmente sono stati proprio gli uomini della scorta, visto che ha iniziato a distaccarsi dai suoi stessi familiari, affinché si abituassero alla sua assenza perché lui sapeva comunque che sarebbe morto. “57 giorni” indicano i pochi giorni che sono trascorsi tra l’attentato a Capaci e quello di via D’Amelio.
Il perché della scelta è semplicissima. Ho sempre ritenuto che nella vita c’è chi ha sempre avuto dei punti di riferimento nello sport, nella musica, nel cinema. I miei punti di riferimento sono sempre stati Falcone e Borsellino e quindi per me era importante parlare di lui e parlare chiaramente anche degli uomini della scorta perché hanno anche loro scelto con Borsellino una strada sicuramente non facile.
Sapevano di rischiare e l’hanno fatto fino all’ultimo giorno e questo senso del sacrificio secondo me deve essere ricordato. Ricordato soprattutto ai giovani perché è ai giovani che viene rivolto questo documentario che è sicuramente importante sia per le scuole ma soprattutto per chi vuole conoscere anche dal punto di vista umano questa figura. È stata un’emozione grandissima quella di poter intervistare Salvatore, Roberta e le storie di Traina, di Li Muli perché secondo me sono da raccontare, sempre per non dimenticare il valore e l’importanza di queste vite che secondo me e secondo molti dovrebbero essere da esempio. Grazie.”
Per adesso, come dicevamo, la riproduzione è privata in modo da aiutare “La Casa di Paolo”, realtà creata all’interno della farmacia della famiglia Borsellino e che oggi aiuta i giovani e i bambini del quartiere Kalsa.





