Monica Di Filippo è madre e presidente dell’associazione Genitori Arcobaleno ODV di Venafro, una realtà che da anni si batte per l’inclusione, la tutela e la dignità dei ragazzi con disabilità. Da tempo porta avanti campagne di sensibilizzazione nelle scuole e nei comuni del Molise, denunciando con coraggio l’indifferenza sociale e l’assenza di politiche concrete a sostegno delle famiglie.
Di fronte ai recenti fatti accaduti a Torino nella notte di Halloween, la sua voce si fa appello collettivo: una richiesta di giustizia, educazione e rispetto per i più fragili, affinché la società intera riscopra il senso profondo della parola umanità.
Quella notte di Halloween a Torino non è un semplice titolo sui giornali. È uno specchio incrinato che ci restituisce la nostra immagine peggiore: una società che abbandona, che non forma, che non previene. Quando la crudeltà trova terreno, quasi sempre c’è dietro un vuoto educativo, un’assenza di responsabilità collettiva. E quando a essere feriti sono i più fragili — i ragazzi con disabilità — la ferita parla a tutta la comunità.
Perché questa vicenda ci riguarda tutti
Come madre e come presidente di un’associazione che ogni giorno lotta per la dignità dei giovani con disabilità, sento una rabbia lucida. Non è rabbia sterile: è richiesta di cambiamento. Perché la dignità non può essere affidata solo alle famiglie o alle associazioni. Deve diventare politica pubblica, impegno scolastico, urgenza delle istituzioni.
La violenza contro i più fragili nasce spesso dalla combinazione di noia, mancanza di empatia e assenza di confini educativi. È una questione culturale oltre che penale: intervenire significa cambiare abitudini, linguaggi, pratiche quotidiane.
Le nostre richieste: concrete e non rituali
Chiediamo alle istituzioni — subito e con chiarezza — un piano che metta al centro i diritti delle persone con disabilità:
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Politiche educative reali: non slogan, programmi con indicatori, risorse e monitoraggio.
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Percorsi scolastici obbligatori su rispetto della diversità, disabilità ed educazione emotiva, introdotti fin dalla primaria.
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Controlli e percorsi per minori con comportamenti violenti: non criminalizzare sempre, ma intervenire con percorsi riabilitativi e responsabilizzanti.
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Un sistema giudiziario che protegga subito i più fragili: misure cautelari, tutele immediate, percorsi dedicati alle vittime con disabilità.
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Supporto psicologico e sociale alle famiglie — sia delle vittime che dei responsabili — perché l’incuria educativa è problema pubblico e va trattato come tale.
Queste richieste non sono utopie: sono priorità. Investire in prevenzione significa risparmiare sofferenza futura.
Proposte operative (quelle che si possono attuare domani)
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Programmi obbligatori di educazione emotiva nelle scuole, con formazione degli insegnanti e moduli pratici.
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Centri territoriali di mediazione e intervento precoce per minori a rischio, collegati ai servizi sociali e alle forze dell’ordine locali.
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Sportelli giustizia per persone con disabilità: percorsi rapidi, assistenza legale e tutela psicologica.
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Fondi per le associazioni locali che lavorano sul territorio: attività ricreative inclusive che contrastino isolamento e marginalità.
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Campagne nazionali di comunicazione contro la derisione e la violenza verso chi ha bisogni speciali — con testimonianze reali e linguaggio semplice.
Non è soltanto punire: è trasformare
La pena da sola non basta. Serve una responsabilità educativa che coinvolga famiglia, scuola, politica e comunità. La giustizia deve sì punire, ma anche ricostruire: programmi di responsabilizzazione per chi sbaglia, percorsi di riparazione verso le vittime, formazione obbligatoria per i genitori su empatia e limiti.
Un appello e un impegno
A nome di tutte le famiglie che ogni giorno combattono per la dignità dei loro figli, dico: non arretriamo. Chiediamo alle istituzioni di trasformare questa rabbia in azione. E chiediamo alla comunità — vicini, scuole, associazioni — di alzare la voce, segnalare, proteggere.
Per i nostri ragazzi non vogliamo parole di circostanza. Vogliamo fatti, risorse, impegni pubblici e misurabili. Perché la fragilità non è debolezza: è umanità che chiede di essere riconosciuta e difesa.





