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La testimonianza di Vincenzo Agostino al processo per la morte di suo figlio

by Serena Verrecchia
5 Ottobre 2021
in Mafie
Reading Time: 12 mins read
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Le ha ripetute per anni quelle parole, Vincenzo Agostino. Ma giovedì 30 settembre, a Palermo, lo ha fatto per la prima volta come testimone di un processo sull'omicidio di suo figlio Nino e della nuora Ida Castelluccio. 

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Processo in cui sono imputati, dopo oltre trent'anni dal delitto, il boss Gaetano Scotto come esecutore del duplice omicidio e Francesco Paolo Rizzuto, amico di famiglia, per favoreggiamento (è già stato condannato con il rito abbreviato il boss Antonino Madonia).

Una lunga testimonianza, circa tre ore e mezza, quella in cui il signor Agostino ha dovuto ripercorrere passo dopo passo gli ultimi istanti di vita del figlio, i ricordi di quel 5 agosto 1989 in cui due sicari a bordo di una motocicletta spararono al poliziotto e a sua moglie incinta di pochi mesi. 
Trattenere l'emozione, dopo trentadue anni, non è stato semplice, eppure il papà dell'agente ucciso è riuscito a rispondere con lucidità e compostezza alle domande dei procuratori Domenico Gozzo e Umberto De Giglio, dell'avvocato di parte civile Fabio Repici e dei legali degli imputati Pietro Riggi e Giuseppe Scozzola. Domande che hanno cercato di fare chiarezza sui primi segnali di allarme lanciati dallo stesso Agostino nelle settimane precedenti al suo assassinio (“Devo farmi trasferire prima che finiamo tutti nel calderone”) e sulle anomalie e sui depistaggi immediatamente successivi alla sua morte. 

Papà Vincenzo ha raccontato dell'inquietudine del ragazzo al momento della partenza per il viaggio di nozze, agli inizi di luglio del 1989. “Lui non mi raccontava niente perché non voleva farmi preoccupare, sapeva che soffrivo di cuore”, ma all'aeroporto di Catania i coniugi Agostino notarono un uomo “con i capelli neri ricci” che sembrava seguire Nino con fare sospetto. 

“Io non lo vidi in volto, ma anni dopo mia moglie lo riconobbe sul giornale”: si trattava di Gaetano Scotto, riconosciuto dalla signora Augusta Schiera – oggi purtroppo scomparsa – da una foto pubblicata su un quotidiano locale e immediatamente segnalato all'autorità giudiziaria. 

Anche al ritorno dal viaggio di nozze, Vincenzo Agostino ricorda il turbamento del figlio: “ti hanno seguito papà?”. Entrambi “erano giù di morale, con gli occhi che lacrimavano e la testa bassa”. 

La mattina del delitto, dopo una nottata di pesca con “Paolotto” – il Francesco Paolo Rizzuto imputato di favoreggiamento – Nino Agostino disse a suo padre di dover andare a lavorare perché aveva cambiato turno. Rizzuto rimase in casa degli Agostino per tutto il giorno, chiedendo con insistenza “quando torna Nino”. Quel giorno la famiglia avrebbe dovuto festeggiare i diciotto anni di Flora. 

Nino e Ida rientrarono nel pomeriggio per far visita a una parente che abitava lì vicino. In quel momento “Paolotto scende dalla parte del mare e gira a sinistra in direzione Punta Raisi e poi non l'ho visto più”. 

Al momento di rientrare in casa dei genitori, arrivò la moto con a bordo i due sicari. “Sento un botto, pensavo fosse un petardo, si avvicinava Ferragosto. Poi un altro e poi un altro ancora. Sento mia nuora che urla, il tempo di uscire e vedo mio figlio che si appoggia al cancello. Si teneva il petto con una mano, come se volesse asciugare il sangue”. I killer colpirono prima l'agente Nino, poi tornarono indietro per sparare anche alla moglie Ida Castelluccio. “Mia nuora quando era stata buttata a terra si rialza e dice 'Io so chi siete'” e colpiscono a morte anche lei. “Ho cercato di abbracciare mio figlio”, è il ricordo straziante di papà Vincenzo, che ripercorre quei drammatici momenti con la voce rotta dall'emozione e il viso rigato dalle lacrime, ma con la solita, estrema dignità.

Poi le domande si sono concentrate sugli istanti immediatamente successivi all'omicidio. Il signor Agostino ricorda l'auto nera che si allontanò senza fermarsi e alla quale gridò “codardi”, i modi bruschi e indelicati del capo della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera che lo trascinò di notte in commissariato minacciandolo di arrestarlo se non avesse rivelato all'istante tutto ciò che sapeva sul delitto. 

E ancora, la presenza della giovane ragazza Lia Aversa– ex fidanzata di Nino Agostino – che fu convocata dalla polizia la stessa notte, accreditando subito la (falsa) pista passionale. 

E soprattutto, i bigliettini e i documenti nel portafoglio di Nino che il signor Agostino scagliò con rabbia contro un muro, in particolare quello nel quale il ragazzo diceva “se mi succede qualcosa, controllate nell'armadio”. 

La polizia trascinò poi Flora, “che aveva appena asciugato il sangue del fratello”, a casa di Agostino. La figlia del signor Vincenzo sarà ascoltata, insieme ad altri parenti, nell'udienza del 5 ottobre. 

E poi ancora “faccia da mostro” e Guido Paolilli, due figure che si incastrano nell'intricato mosaico della vicenda. Vincenzo Agostino riconobbe nel 2016 in Giovanni Aiello – ex poliziotto e collaboratore del SISDE che si muove come un'ombra sui più oscuri delitti di “alta mafia” di quella stagione – uno dei due uomini che si presentarono a casa sua chiedendo di Nino qualche settimana prima dell'omicidio. 

Il poliziotto Guido Paolilli era invece considerato un amico di famiglia, “la sua presenza era considerata motivo di conforto”. Vincenzo Agostino gli chiese di aiutarlo a far luce sulla morte del figlio, “lui una volta mi disse che doveva farmi vedere sei bigliettini che non mi avrebbero fatto piacere” e che poi non gli fece più vedere. 

“Una volta torna e viene a casa nostra in via Carlo del Prete e dice 'Sono venuto qui per non dire al telefono che sono qui perché non mi fido del telefono'”. Disse che fu cacciato via in malo modo e allontanato dalle indagini e aggiunse “che se per caso ci avessero detto che il fallito attentato all’Addaura era colpa di Nino, dovevamo chiamare lui e lui ci avrebbe detto cosa rispondere”. 

Paolilli era già stato indagato per favoreggiamento aggravato (archiviato per avvenuta prescrizione) nell'ambito dell'omicidio Agostino ed è il poliziotto che nel 2008 fu intercettato mentre parlava col figlio della vicenda del portafoglio e del biglietto lasciato da Nino: “Cosa c'era in quell'armadio?”, chiedeva il figlio. “Una freca di cose che proprio io ho pigliato e poi ho stracciato”.

Gli elementi su cui fare chiarezza restano ancora molti, a partire da quella frase di Giovanni Falcone (“devo la vita a quei ragazzi”) al funerale dell'agente – e riferita da un nipote del signor Agostino che è stato chiamato a testimoniare dall'avvocato Repici – e sul ruolo di La Barbera che, anche a distanza di anni, ha continuato a comportarsi in maniera ambigua nei confronti di papà Vincenzo (“La Barbera voleva sapere di cosa avrei parlato alla trasmissione Samarcanda. Io non gli dissi nulla e lui urlò che mi avrebbe fatto arrestare e che 'questo è un omicidio di alta mafia, qui lo dico e qui lo nego'”).

L'esame dei testimoni continuerà nell'udienza del 5 ottobre, nella quale verrà ascoltata anche la sorella di Nino, Flora Agostino.

 

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