Sono passati 33 anni dalla strage di Capaci in cui vennero uccisi i giudici Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo insieme alla scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Sono sopravvissuti l’autista Giuseppe Costanza, in auto con i giudici quel giorno, e gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo e Gaspare Cervello.
Anche dopo 33 anni non sono mancate le polemiche. Giorni prima del 23 maggio Maria Falcone, sorella del giudice, invitava ad una commemorazione silenziosa, tranquilla. Ma i giovani palermitani, e non solo, non ci stanno. Organizzano così un corteo, e non contro-corteo come molti dichiarano, organizzato da associazioni giovanili e collettivi studenteschi e dove hanno aderito più di 40 tra associazioni, sigle e movimenti. Il titolo: “Non Chiedeteci Silenzio”.
E così è stato, nessun silenzio. Anzi la denuncia su ciò che i rappresentanti di governo stanno attuando, sull’eliminazione di leggi che servono per il contrasto alle mafie, sull’operato della commissione antimafia dove stanno indagando solo su una strage, quella di via d’Amelio, e solo su un muovente, solo sul dossier “Mafia e Appalti”, e che stanno provando a buttare fuori dalla commissione i senatori Roberto Scarpinato, già procuratore a Palermo e presente al corteo, e Federico Cafiero de Raho. Un grido di disperazione, perché vogliono sapere la verità sulle stragi, perché non credono che sono stati solamente i mafiosi ad attuarli, come se i vari Riina, Provenzano, Brusca, Messina Denaro sono passati dall’essere “villani” ad esperti di bombe e tritolo.
Hanno urlato contro la continua volontà di rimuovere la presenza dell’eversione nera dalle stragi come certificato da atti e informative.
È un grido dove chiedono che vengano ascoltati, che si facciano gli interessi del cittadino ma a queste grida la risposta è il silenzio, anzi ci si deve andare contro.
E così è successo pure ieri. In mattinata, a Palazzo Jung a Palermo, la Fondazione Falcone ha realizzato un evento con le alte cariche dello Stato, ministri, onorevoli, eurodeputati, presidente commissione antimafia, in sostanza con gli stessi che stanno distruggendo l’operato di Giovanni Falcone. Presenti, però, anche diversa rappresentanza istituzionale d’opposizione, che a parole è contro ma poi si siede nelle prime file.
È stato il solito rituale, la solita passerella del ricordo vissuto con quelle persone ammazzate allora, e forse pure adesso, con le solite passerelle. “Falconiadi” vengono ribattezzate.
Ma l’apice è arrivato nel pomeriggio.
Il corteo organizzato dai giovani parte alle 15:30 circa da piazza Verdi, davanti il teatro Massimo, e si dirige verso l’albero Falcone in via Notarbartolo, in quella che fu l’abitazione di Giovanni Falcone. Poco prima, così come organizzato e pattuito, ci si deve sciogliere per arrivare tutti insieme al silenzio che dovrebbe essere suonato alle 17:58, l’orario della strage. Ma così non fu.
Sono le 17:48 e la tromba squilla col silenzio. La gente, purtroppo poca presenza con a fare confusione le istituzioni, incredule partecipa, per chi riesce e “per chi non esce da lavoro in orario preciso per essere presente alle 17:58 lì sotto“, così ci raccontano.
Subito dopo Pietro Grasso, già giudice e presidente del Senato, saluta tutti e nel giro di 1 minuto scompaiono tutti. “Chissà perché non hanno chiamato l’elicottero di emergenza per portarseli” qualcuno afferma.
Nessuno capisce cosa è successo, i giovani gridano alla Vergogna, non era mai successo in 32 anni di commemorazioni precedenti. Alle 17:58 sono i giovani che al megafono urlano i nomi delle vittime della strage e riproducono il silenzio, in un raccoglimento emozionante.
La motivazione la capiscono subito tutti i presenti, e viene denunciata: non si accetta la presenza dei giovani che chiedono la verità sulle stragi e chiedono che chiunque prenda appoggio elettorale dai condannati di mafia di andarsene.
La Fondazione pochi minuti dopo pubblica un comunicato:
«Non c’era alcun voglia di alimentare polemiche. È vero, il silenzio del trombettista è arrivato con qualche minuto di anticipo su quel fatidico orario che da 33 anni ci ricorda il sacrificio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i meravigliosi ed eroici uomini della scorta guidati da Antonio Montinaro.
L’unica cosa che conta per davvero è l’essere stati uniti, insieme, per ricordare ancora una volta i nostri Eroi. La politica non c’entra nulla e chi tenta di strumentalizzare quei 7 o 8 minuti di anticipo commette un errore di valutazione.
È così difficile comprendere che per chi – come noi- porta nel corpo e nell’animo quelle ferite non rimarginabili, le 17.58 del 23 maggio del 1992 scoccano e segnano ogni attimo della nostra vita da 33 anni? Per noi la memoria non é un cronometro ma impegno in ogni attimo della nostra vita».
- E allora perché negare a tanti palermitani, e non, il minuto di silenzio suonandolo prima?
- Perché, visto che non ha cronometro, gli altri anni si è suonato allo scoccare del minuto e quest’anno no?
E poi ormai è risaputo che il capo-scorta non era Antonio Montinaro ma Gaspare Cervello.
Ancora una volta a rimetterci sono i giovani, la memoria, e le vittime dei quella strage e chissà cosa avrebbero detto.
Nel video, purtroppo non in sincronizzazione con l’audio per motivi tecnici, trovate le parole di Giovanni Paparcuri, autista giudiziario del giudice Rocco Chinnici e rimasto vivo all’attentato del 29 luglio 1983. Successivamente è stato stretto collaboratore dei giudici Falcone e Borsellino e del pool antimafia nella digitalizzazione del maxiprocesso, fino a quel 1992. Porta ancora le cicatrici addosso, oltre a diverse decine di frammenti all’interno del proprio corpo. E anche per lui è una vergogna.
Come se non bastasse, in un palco ormai deserto, Giovanni Paparcuri seguiva emozionato le parole di denuncia dei giovani. Un agente della digos, dopo che Paparcuri si è identificato perché non conosciuto da questo agente, lo ha obbligato a scendere dal palco.
foto copertina di Antonino Schilirò