Un Tour iniziato con l’incognita di una stagione lunga, proseguito con attacchi chirurgici e chiuso con un dominio totale: 4’24” su Jonas Vingegaard, 11’00” sul sorprendente Florian Lipowitz. Ma i numeri non bastano. Perché il Tour 2025 è stato soprattutto un monologo brillante, scritto in giallo da uno dei più grandi di sempre.
La Grand Boucle si è aperta nel nord della Francia, con le prime tappe favorevoli ai velocisti. Pogačar, come un animale in attesa, ha osservato. Calmo, freddo, quasi invisibile. Poi è arrivata prima zampata, primo acuto in salita: assolo breve, ma sufficiente per mandare un messaggio chiaro ai rivali. Era ancora lontano dalla maglia gialla, ma il copione era già stato scritto nella sua testa.
Dopo le prime montagne e una cronometro intermedia persa solamente a discapito di Evenepoel, il Tour ha preso una piega definitiva durante i Pirenei. Nella tappa con arrivo a Hautacam, Pogačar ha lanciato l’offensiva vera: staccato Vingegaard nel tratto più duro, lasciati tutti indietro. Il giorno dopo, nella storica cronoscalata di Peyragudes, ha inflitto un colpo psicologico devastante: 36” guadagnati sul danese, caduto sotto i colpi di un atleta completo, dominante in ogni terreno.
L’arrivo al Col de la Loze, sulle Alpi, è stato il sigillo della sua superiorità. Non ha vinto, ma ha controllato con tale sicurezza da spegnere ogni speranza. Nelle ultime tappe, lui ha gestito la maglia gialla come un direttore d’orchestra: ogni scatto, ogni rincorsa, ogni sguardo erano sotto il suo controllo.
Ha vestito anche la maglia a pois come miglior scalatore, segno di una superiorità non solo tattica, ma fisica e mentale. A 26 anni, Pogačar ha vinto quattro Tour, gli ultimi due consecutivi. Mai così forte, mai così maturo.
In un ciclismo sempre più tecnologico e numerico, Tadej Pogačar rimane umano, istintivo, ma perfettamente calibrato. Corre con il cuore ma ragiona come un ingegnere. Parla con dolcezza, ma sulle strade non fa prigionieri. Questo Tour 2025 è stato il più completo della sua carriera. Senza sbavature, senza cedimenti, senza discussioni.
E se Lipowitz ha acceso speranze per il futuro, se Vingegaard ha lottato fino in fondo, la sensazione è che il ciclismo stia già vivendo nell’era Pogačar, e ci vorrà tempo prima che tramonti.
La storia non aspetta. Lui, semplicemente, la sta già scrivendo.
In giallo, in salita, a braccia alzate.
Immagine di copertina creata con IA





