La telefonata della presidente della Commissione parlamentare Antimafia Chiara Colosimo al testimone di giustizia Gennaro Ciliberto segue di poco quella ricevuta da Luigi Coppola. E ancora una volta, la sensazione per chi ha avuto il coraggio di denunciare le mafie è di essere lasciato solo. O peggio: maltrattato dalle istituzioni stesse.
“Mi sono sentito offeso, umiliato e anche intimorito. Con quella telefonata ho perso totalmente fiducia nella Commissione parlamentare antimafia. Non era mai accaduto che un presidente mi trattasse in un modo per il quale non trovo neppure un aggettivo”.
Parole che pesano. Parole che raccontano un clima istituzionale tossico e ostile verso chi ha fatto scelte di legalità, rischiando la propria vita.
“Oggi siamo trattati peggio dei delinquenti”.
Ciliberto denuncia con forza il mutato atteggiamento delle istituzioni nei confronti dei testimoni di giustizia:
“Sono lontani i tempi in cui la politica rispettava i testimoni di giustizia. Oggi siamo trattati peggio dei delinquenti.”
Una riflessione amara, che fotografa il disastro etico che coinvolge anche la Commissione parlamentare Antimafia, un tempo considerata presidio di garanzia per chi ha denunciato le mafie, oggi — denuncia il testimone — inerte, distante, muta. “Il Comitato testimoni di giustizia non funziona. Nessuna audizione”.
Ma c’è di più. O di peggio.
“Ho avuto conferma da un altro parlamentare competente della Commissione antimafia: il Comitato testimoni di giustizia non è operativo. Non fanno audizioni”.
Un’accusa gravissima che, se confermata, svela un vuoto istituzionale inaccettabile: nessun confronto, nessuna possibilità di portare documenti, denunce, prove, vissuti all’interno della sede parlamentare preposta.
“Ho scritto a Colosimo, Molteni e al direttore del Servizio Centrale”.
Ciliberto, dopo la telefonata ricevuta, ha inviato una PEC urgente:
“Ho subito scritto una PEC sia alla stessa Colosimo, che al Presidente della Commissione ex art. 10 Nicola Molteni e per conoscenza al Direttore del Servizio Centrale di Protezione, dott. Iodice”.
Ma il contenuto della conversazione – aggiunge – non può essere reso pubblico:
“Non posso rivelare il contenuto della telefonata per ragioni di sicurezza, ma se quello dichiarato dalla presidente della Commissione corrisponde alla verità, è gravissimo”.
“Rinnovo la richiesta di audizione. Basta silenzi”
Il testimone torna a chiedere ciò che spetta di diritto:
“Ho rinnovato la mia richiesta di audizione presso il Comitato testimoni di giustizia. Non è possibile che ci venga negata la possibilità di produrre documentazione o di portare in un’aula delle istituzioni le nostre prove, il nostro vissuto”.
Ciliberto non si arrende. Pretende di essere ascoltato. Non in silenzio, non per telefono, ma nelle sedi Istituzionali come il Comitato Testimoni presso la Commissione Parlamentare antimafia, dove le denunce dovrebbero diventare atti, leggi, azioni.
“Inutile commemorare Falcone e Borsellino se poi si umiliano i testimoni”
Nel suo sfogo, Gennaro Ciliberto pone una domanda etica:
“È inutile andare alle commemorazioni di Falcone e Borsellino se poi si umiliano i testimoni di giustizia”.
Un’accusa che colpisce duramente la presidente Colosimo, spesso presente a eventi commemorativi, ma – stando a quanto riportato – assente e ostile nei fatti.
“Colosimo non può telefonare a un numero non protetto”
Un passaggio tecnico, ma fondamentale, riguarda le modalità della chiamata: “Sulla procedura della telefonata a un soggetto inserito nello speciale programma di protezione c’è da capire come sia stato possibile. Come può un presidente della Commissione Antimafia usare questo metodo, parlando su una linea telefonica a un numero di cellulare su questioni coperte da riservatezza, da omissis?”
Un rischio enorme per la sicurezza dei testimoni e un possibile scavalcamento dei protocolli del Servizio Centrale di Protezione.
“Onorevole Colosimo, rappresenta le istituzioni: non può trattarci così”
Il messaggio diretto alla presidente è durissimo:
“Lei oggi rappresenta le istituzioni. Non può permettersi di trattare così i testimoni di giustizia. Informerò le più alte cariche dello Stato di quanto accaduto. E mi creda, gradirei che lei leggesse le delibere, non solo quello che le viene riferito dal Servizio Centrale di Protezione”.
“Aspetto la convocazione. Ma non da lei”
Ciliberto chiude con un passaggio che lascia il segno: “Aspetto, come ha dichiarato nella telefonata intercorsa, la convocazione per l’audizione. Ma come ha detto lei, a settembre “qualcuno” mi convocherà. Qualcuno, non lei.
Forse lei odia i testimoni di giustizia”.
Le parole di Gennaro Ciliberto non sono uno sfogo personale. Sono l’ennesimo allarme. Un grido che chiama alla responsabilità le istituzioni, il Parlamento, l’opinione pubblica. Se oggi i testimoni di giustizia sono lasciati soli, umiliati e intimiditi, allora lo Stato ha fallito.
Serve ascolto. Serve rispetto. Serve giustizia.
La presidente Colosimo ha affermato telefonicamente che ci legge e noi siamo felice che Lei si interessi ai nostri articoli. E siccome abbiamo chiesto anche le sue dimissioni immeditate speriamo tanto che possa seguire le nostre indicazioni. Per liberarci e per liberare i testimoni dalla sua fallimentare gestione.
Ci saluti Mori, presidente.
“Non ha ascoltato”: la risposta della segreteria Colosimo e la nuova umiliazione istituzionale
Dopo la telefonata al testimone di giustizia Gennaro Ciliberto, è arrivata una risposta dalla segreteria della presidente della Commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo. Non un gesto di apertura, né di chiarimento istituzionale, ma una comunicazione che suona come una smentita secca e quasi derisoria, che ha finito per alimentare un ulteriore senso di isolamento, umiliazione e amarezza.
“Lei non ha proprio ascoltato evidentemente”, si legge nella mail ricevuta da Ciliberto, “perché il presidente non ha MAI detto questo”.
Una frase che ribalta la responsabilità dell’incomprensione sul testimone stesso, ignorando completamente il vissuto, la vulnerabilità e la condizione speciale di chi vive sotto protezione per aver denunciato le mafie. Nessun tentativo reale di empatia. Nessuna parola di attenzione.
La segreteria prosegue precisando che il presidente avrebbe solo fatto riferimento a una procedura ordinaria di cambio generalità, che “può essere attivata da ogni cittadino con un’istanza al prefetto”, senza alcun beneficio aggiuntivo. E conclude con un passaggio che, per chi lo riceve, suona quasi come una beffa:
“Tanto le dovevamo, per estrema correttezza ancora una volta, speriamo non volutamente, equivocata”.
Una formula che non chiarisce, non accoglie, non assume responsabilità, ma si limita a chiudere il cerchio burocratico. Un colpo al cuore per chi — come Ciliberto — chiede ascolto, non discolpe. Risposte, non scaricabarile. E soprattutto: rispetto, non paternalismo.
Invece di una convocazione formale, di un’audizione in Commissione, di un confronto nel merito, arriva una mail che respinge e allontana, trasformando l’istituzione che dovrebbe proteggere in una voce distante, fredda, sorda.
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