Rosamaria Aquino, giornalista e scrittrice. Partiamo dalla prima edizione del Premio Pier Paolo Pasolini, dove sei stata premiata. Quanto è importante un premio come questo e quali sono le sensazioni?
E’ un onore ricevere un premio a lui dedicato. Nel suo celebre “Io so” è contenuta tutta l’essenza di quello che ritengo essere il ruolo del giornalista. Ossia colui che “che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. Eretico, libero e coraggioso, così io vedo il mio mestiere e così io vedo Pasolini.
“Il naufragio di Cutro. 94 migranti morti”. Questo è il titolo del tuo libro premiato. Sono passati più di 2 anni con tanti proclami, campagne elettorali e una riforma. Cosa è successo e qual è la situazione attuale?
Al momento dal punto di vista giudiziario sono stati rinviati a giudizio 6 tra uomini e donne di Guardia di Finanza e Guardia Costiera che quella notte gestirono il caso. Il processo si aprirà a gennaio al tribunale di Crotone. Le accuse sono naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. La speranza è che chi oggi è alla sbarra trovi il coraggio di fare i nomi di chi ha orientato le azioni che poi sono state intraprese quella notte, facendo dunque luce su tutta la catena di comando, sino ai suoi rami più alti.
Libertà di stampa minata, controllo della politica di giornali e tv (e lo state vivendo in prima persona con Report), querele temerarie. Qual è la situazione attuale del giornalismo in Italia, e direi anche nel mondo, e cosa si deve fare?
La situazione non è buona se quasi 300 colleghi nella Striscia di Gaza hanno perso la vita per raccontarci cosa accade, se 516 giornalisti sono stati minacciati solo nel 2024 e se il numero schizza a 7mila 555 se iniziamo a contare dal 2006 (dati Osservatorio Ossigeno). Quotidianamente dalla più piccola redazione periferica al più grande network bisogna scontrarsi con gli equilibri di politici ed editori, o bisogna difendersi dai delinquenti. Non conosco una soluzione, se non quella di continuare a fare il nostro lavoro e di fare un po’ rete tra di noi, creando una sorta di scorta sociale fatta tra chi ci legge e chi ci guarda in tv.
Tornando alla questione migranti. Ancora oggi si invoca il blocco navale, sulla quale c’è stata molta campagna elettorale ma non si può attuare; quasi un miliardo di euro speso in Albania; la vicenda del generale Almasri che rientra anche nella questione migranti. Sotto questo punto di vista cosa stiamo vivendo oggi e cosa ti sembra che stia succedendo anche a livello politico?
Si sta sdoganando lentamente il concetto che non possiamo salvare tutti nel Mediterraneo. Che non dovrebbero proprio partire (come se avessero scelta), che chi li salva è pure lui inconsapevole parte del sistema, che alla fine non c’è soluzione alla gestione dei flussi.
La narrazione a senso unico si nutre di cronache che ricalcano l’esasperazione della gente costretta a convivere con quella parte di immigrazione non gestita che si ritrova allo sbando. A questo non possiamo che contrapporre una contro narrazione: perché parte questa gente, a fronte di quali sacrifici e affrontando che rischi? Chi li salva e con che rischi? Dove vanno una volta raggiunto il porto sicuro? Chi se ne prende cura e li orienta verso una vita degna?