Fortunato Zinni, superstite della strage di Piazza Fontana. È stato premiato, tra le menzioni speciali, alla prima edizione del premio nazionale Pier Paolo Pasolini. Quali sono le sensazioni e quanto è importante oggi ricordare la figura di Pasolini?
Innanzitutto esprimo il mio ringraziamento alla Giuria del Premio per la menzione speciale “ Allende” a “ L’ingiusta giustizia”. Pier Paolo Pasolini è uno dei più grandi intellettuali del Novecento italiano. Un intellettuale scomodo e urticante ma innovativo, dissacrante ma coraggioso e lucido, critico ma lungimirante. Un’artista a tutto tondo che si è agilmente destreggiato tra scrittura e poesia, tra cinema e sceneggiatura fino alla pittura. La sua arte era estremamente versatile, la sua cultura sconfinata, per questo è ancora oggi tanto amato ricordato e onorato, soprattutto per il suo essere controverso, per il suo essere crudelmente onesto e vero. C’è un filo rosso che collega Pasolini alla immediata intuizione della matrice nazifascista della strage di piazza Fontana e alla coraggiosa accusa contro i vertici istituzionali. Il suo coraggio intellettuale, emerge con chiarezza dai 267 versi del poemetto Patmos, scritto due giorni dopo la strage di Piazza Fontana e dall’articolo apparso sul Corriere della Sera il 14 novembre 1974 “Cos’è questo golpe? Io so”. Pasolini i neofascisti li conosceva sin troppo bene, conosceva la loro violenza, e non smetteva mai di descriverli come sicari al soldo del potere, «autori materiali» delle stragi di quella che verrà chiamata «strategia della tensione», con la «protezione politica» dei partiti al potere che, cercano di «rifarsi una verginità antifascista […] ma, nel tempo stesso, mantenendo l’impunità delle bande fasciste che essi, se volessero, liquiderebbero in un giorno… Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.”
La strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 viene considerata la madre di tutte le stragi Cosa ci manca sapere oggi sulla strage?
Ad oggi lo Stato non ha partecipato ad alcuna riflessione collettiva sulle vicende legate alle stragi. Nessuno di coloro che portano la responsabilità di aver reso difficili, o addirittura deviato le indagini se le è assunte; nessuno, è stato punito per ciò che aveva compiuto per intralciare il cammino della giustizia.
Nessuno è Stato.
Non i Magistrati, che trasferirono il processo ad oltre mille chilometri di distanza, non il Questore che fece dichiarazioni incredibili, non il Ministro degli interni che indicò perentoriamente la pista anarchica, come l’unica possibile; non coloro che, a dir poco, non fecero nulla per evitare la tragica caduta di Pinelli da una finestra della Questura. Non il Parlamento e la Commissione Inquirente che negarono l’autorizzazione a procedere contro i Presidenti del Consiglio e ministri. Anche là dove ottenere giustizia, era ormai impossibile, la riflessione poteva essere fatta. Si poteva, si doveva, creare un collegamento fra le stragi di quegli anni e i comportamenti devianti che le accompagnarono. Lo Stato porta su di sé questo peso, anche per ogni ambiguità e insufficienza di risposte alle aspettative ed agli appelli dei famigliari delle vittime. I giovani e tutti quelli che non hanno vissuto direttamente gli anni della “strategia della tensione”, guardando i documentari e i film, leggendo i numerosissimi libri su quelle vicende pongono a noi testimoni diretti di Piazza Fontana queste domande precise e legittime.Come e perché è stato possibile tutto questo?
Chi ha assicurato agli stragisti, per oltre mezzo secolo, la totale impunità?
Chi ha consentito il groviglio di atti giudiziari che hanno, fin qui, annullato anche la speranza di “verità e giustizia”?
Se nessuno saprà dare una risposta esauriente e definitiva, tutti noi e le nuove generazioni dovremo sentirci meno liberi e meno protetti. Chiedere “verità e giustizia” – così come fanno da anni i parenti delle vittime e gli ex lavoratori della Banca Nazionale dell’Agricoltura superstiti – è importante per impedire un oblio che, salvando i colpevoli di quella vicenda, affermi una metodologia iniqua che consegna tutti, comprese le nuove generazioni, in balia di un Potere senza vincoli e senza scrupoli. L’oblio fa il gioco dei “forti”. Ricordare appartiene alla mente, non dimenticare appartiene anche al cuore. Le reazioni di giovani donne e uomini che ho raccolto nel corso del tempo e che sono riportate nel libro, mi confortano, perché dimostrano che i miei ricordi ora appartengono anche ai loro cuori.
E la politica come ha reagito nel corso degli anni?
Se per la madre di tutte le stragi abbiamo solo, la verità storica e non quella giudiziaria, la responsabilità è soprattutto della politica che purtroppo ha raggiunto il suo obiettivo: l’attuazione, peraltro con il consenso elettorale, del Piano di rinascita democratico di Licio Gelli, completato, con le ultime riforme dell’attuale governo, la giustizia, l’autonomia differenziata , il premierato, l’articolo 31 della legge sulla Sicurezza che amplia i limiti di impunibilità dei Servizi Segreti e restringi i diritti di manifestane del dissenso. Per oltre mezzo secolo, pesanti ingerenze della Suprema Corte, fedele interprete degli interessi delle classi dominanti, hanno scandito il percorso degli 11 processi di piazza Fontana e hanno generato il più ignobile laboratorio di impunità giudiziaria mai concepito dalla democrazia nel nostro paese. Un museo degli orrori senza fine: progetti eversivi degli strateghi della tensione e dei piduisti annidati nei palazzi del potere con le false accuse contro gli anarchici; ricorso al terrorismo stragista come strumento di manipolazione di masse, assoluzioni, avocazioni annullamenti, archiviazioni, che hanno messo a nudo il ruolo delle istituzioni mirato ad impedire l’accertamento della verità. Un Parlamento che nega l’autorizzazione a processare i politici indagati e che ancora oggi frappone ostacoli all’applicazione delle Direttive Prodi, Renzi e Draghi di documenti classificati e declassificati già coperti dal Segreto politico militare, un’opinione pubblica distratta ed assente, una stampa connivente e una magistratura ossequiente, con i potenti di turno hanno garantito agli strateghi del terrore, nel corso degli anni, tra emozioni, speranze, dolori la più totale impunità. In tutti questi anni, i burattinai della strategia della tensione, i piduisti, i bombaroli nazifascisti, i simpatizzanti ed emuli di oggi, con menzogne, omertà, amnesie e depistaggi hanno costruito e consolidato il lungo calvario della negata verità e denegata giustizia. Un vaso di Pandora dal contenuto sconfortante: generali felloni e spioni di stato, bombaroli che diventano opinionisti, legali che passano dalla difesa delle vittime a quella degli imputati, poliziotti capaci per alcune procure, inconcludenti e pericolosi per altre, feroci lotte intestine tra procure e tra magistrati, con gli immancabili corifei della stampa schierati per gli uni e per gli altri. La sentenza tombale della Cassazione del 3 maggio 2005 e quella del GIP di Milano del 30 settembre 2013, di archiviazione della richiesta dei familiari delle vittime, di riaprire le indagini sulla strage tuttora impunita hanno dimostrato in maniera inequivocabile la profonda e insanabile frattura tra cittadini, tribunali, giustizia, verità e storia.