Tra poche ore la notte piomberà sulle nostre vite, un’altra notte che chiuderà un altro giorno. Ore di pace, riposo, sonno, sogni, per tutti noi. O quasi. Perché ci sono donne, anche bambine, che vedono l’arrivare del buio con gli occhi pieni di terrore. Ore in cui saranno ripetutamente stuprate, violentate, abusate, vittime delle atrocità, delle perversioni, delle brutalità più disumana possibili.
Accade a pochi passi da noi, ogni notte. Dalla strada nota come “bonifica del tronto” al confine col Molise, passando da diverse zone di Pescara e Montesilvano. E tante altre.
Tra queste migliaia di donne c’era anche Lilian Solomon. Oggi è stato il quattordicesimo anniversario della morte. Ma, anche quest’anno, l’Abruzzo ha dimenticato il calvario e il coraggio di questa ragazza nigeriana. Vittima di mafia, la prima ad aver denunciato in questa regione le mafie nigeriane e lo sfruttamento dello stupro a pagamento in questa regione.
Lilian, una ragazza nigeriana che avrà per sempre 23 anni, morta dopo essere stata sfruttata fino all’ultimo giorno – malata e sofferente di atroci dolori – in Abruzzo. Sfruttata prima sulle strade della Lombardia e poi sulla famigerata bonifica del tronto, costretta con violenza ad abortire ingerendo alcolici e medicinali. Per mesi e mesi continuò ad essere preda degli schifosi appetiti dei suoi quotidiani aguzzini (quelli che vengono definiti “clienti”) nonostante soffrisse dolori lancinanti, insopportabili quotidianamente. E proprio perché troppo vittima di questi dolori, proprio perché le stavano letteralmente impedendo di vivere, troppo spaventata dal loro persistere e aumentare, decise di sfidare la paura e i suoi sfruttatori. Denunciò e si affidò a On the Road. Quando gli operatori di On the road la incontrano per la prima volta Lilian soffriva da tempo di fortissimi dolori. Erano i sintomi dell’avanzata di un linfoma. Ricoverata nel reparto di Oncologia dell’Ospedale di Pescara è morta il 1° ottobre 2011.
Per un tempo infinito Lilian ogni notte continuò ad essere violentata, sfruttata, a dover nascondere una sofferenza inumana.
In questi quattordici anni, prima ancora delle due operazioni Sahel contro lo sfruttamento della prostituzione da parte delle mafie nigeriane e in futuro quante Lilian Solomon sono quotidianamente crocifisse in Abruzzo? Quante sofferenze, dolori, lacrime vengono soffocati dai più schifosi aguzzini della nostra società perbenista e ipocrita, quanti mercanti di morte quotidianamente continuano a lucrare e prosperare? La risposta è fin troppo scontata: tantissime, troppe, una vergogna disumana criminale che avviene nell’indifferenza, nell’accettazione e alimentata ogni giorno e ogni notte a pochissimi passi da noi.
Sul più popolare sito di “escorting”, portali dove è possibile acquistare e dare voti (come fossimo ad un concorso) a ragazze sfruttate alla mercé delle più squallide perversioni e depravazioni, denunciammo quattro anni fa sono ampiamente citate città come Vasto e San Salvo. Luoghi negli anni interessati da varie inchieste – negli stessi anni del calvario di Lilian Solomon ci furono le due “sex money” e vari night negli anni sono stati chiusi per “sfruttamento della prostituzione” – così come ci sono state segnalazioni di ragazze sfruttate sulle strade anche in queste ultime settimane. E quanto accade dalla marina di San Salvo ai comuni molisani al confine con l’Abruzzo. Lo abbiamo scritto e denunciato tante volte in questi anni e non smetteremo mai di farlo. Quanto accade è ampiamente conosciuto e sulla bocca di tanti. Accettato, presente nelle battutacce maschiliste e nell’esaltazione schifosa di chi si vanta pure di alimentare questo turpe traffico, nella quasi totale complice indifferenza.
Si può mai immaginare un dolore così forte, che non ti abbandona in nessun momento della giornata, che ti impedisce anche solo di respirare e trascinarti, un dolore che sconquassa le viscere e penetra dilaniante? Questo visse Lilian Solomon e quattordici anni dopo immenso è il numero delle Lilian crocifisse e incatenate ogni notte. La sofferenza, il dolore di Lilian avevano un nome ben preciso: linfoma. Eppure i suoi sfruttatori, i suoi carcerieri, fino all’ultimo momento continuarono ad incatenarla sulla strada alla mercé di stupratori a pagamento. Ogni notte, ad ogni ora, senza tregua. Non si può, anzi non si deve dimenticare.
Chi dimentica è complice e nel suo ricordo dobbiamo sempre più denunciare quanto accade dalla bonifica del tronto al confine col Molise passando per città come Pescara e Montesilvano. Negli ultimi anni la cronaca ci ha riportato notizie di molte operazioni in Abruzzo, soprattutto nelle province di Teramo e L’Aquila, contro i clan delle mafie nigeriane. A L’Aquila un boss aveva posto la sua base.
«Un rischio per la sicurezza nazionale e internazionale in quanto costituisce una delle fonti di reddito più significative per il crimine organizzato transnazionale. Nel settore si registra il perdurante attivismo di network delinquenziali diversificati che mostrano una particolare duttilità nell’adeguare il proprio modus operandi ai rispettivi contesti operativi».
Così la “Relazione sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata”, relativa all’anno 2019 e comunicata alla Presidenza del Senato il 27 novembre 2020 definisce la tratta degli esseri umani e la schiavitù sessuale.
Nel solo continente europeo «si stima che il traffico di esseri umani produca in un anno 29,4 miliardi di euro di profitti, ben un quarto dei soli 14.000 casi identificati riguardano vittime minorenni, intrappolate in gran parte nello sfruttamento della prostituzione (64%)» e in Italia «i casi emersi e assisiti nel 2021 dal sistema anti-tratta erano 1.911 (con 706 nuove prese in carico nel corso dell’anno), in gran parte di sesso femminile (75,6%), mentre i minori rappresentavano il 3,3% del totale (61). Tra le vittime assistite, la forma di sfruttamento prevalente è quella sessuale (48,9%), seguita dallo sfruttamento lavorativo (18,8%)».
Sono questi solo alcuni dei dati pubblicati nel XII edizione del rapporto “Piccoli Schiavi Invisibili” di Save The Children.
«Sono 25 milioni le persone vittime di sfruttamento sessuale, lavorativo, accattonaggio, vendita di organi e altre economie illegali secondo il Report Trafficking in persons» denunciò tre anni fa Irene Ciambezi, coordinatrice della campagna “Questo è il mio corpo”, su SempreNews https://www.semprenews.it/news/Orfana-venduta-come-schiava-dalla-madre-adottiva.html
«La tratta delle donne ai fini dello sfruttamento sessuale obbliga alle strade italiane fra le 70.000 e le 120.000 persone in Italia.
Oltre 40 milioni di persone sono vittime di tratta nel mondo, equamente divise fra traffici per lo sfruttamento lavorativo (53%) e traffici per sfruttamento sessuale (43%) – riporta Sempre News nella sezione del suo sito dedicata alla documentazione e alla denuncia della schiavitù sessuale https://www.semprenews.it/tag/tratta-delle-donne.html – in Europa il 66% delle vittime di tratta identificate sono donne, destinate principalmente alla prostituzione forzata. Questi dati, con un trend in aumento, vengono dossier Caritas 2019 che riprende il report Global Report on Trafficking in Persons delle Nazioni Unite».
Lilian è morta di malattia ma è vittima di mafia, come Adelina Sejdini e come tutte le donne uccise.
Sonia viveva a Benin City quando a 16 anni perse entrambi i genitori, l’anno dopo anche a lei fu proposto di trasferirsi in Libia per lavorare come parrucchiera. Ma così non fu ed iniziò il suo calvario nel lager della schiavitù sessuale in Libia e poi a Bologna fino alla sua fuga in Abruzzo dove si liberò dopo l’incontro con “On the road”.
In questo video ha raccontato la sua storia a “Save the Children”.
Queste sono altre due testimonianze raccolta da “Le ragazze di Benin City”
Alexandra, uccisa dall’Aids.
Angela, abbandonata nel deserto e stuprata in una barca “in balia delle onde in mezzo al Mediterraneo”.
Antonia, “uccisa da tre balordi della Napoli bene”.
Blessing, di cui non si hanno più notizie.
Carmen, assassinata a 27 anni dopo dieci di violenze e stupri.
Caroline, venduta a 19 anni.
Dorina, una minorenne che fece quel che troppi “italiani brava gente” adulti non faranno mai: denunciare con coraggio.
Erabor, baby schiava in Piemonte.
Ester, salvata in ospedale dopo che a Vercelli l’infanzia e l’adolescenza furono violentate dalla schiavitù sessuale.
Evelyn, assassinata a 23 anni nella periferia di Brescia.
Faith Aworo, condannata a morte nella Nigeria in cui il decreto d’espulsione del governo italiano la rimandò nel 2010.
Franca, ritrovata assassinata tra i rifiuti a 27 anni sulla statale Ortana a Narni.
Grace, Hanna, Gypsy, Helena, Hellen, che hanno fatto quel che la brava borghesia italiota non farà mai: denunciare e chiamare con il loro nome le mafie della schiavitù sessuale.
Liliam Solomon, che non smetteremo mai di ricordare e indignarci per come abruzzesi l’hanno assassinata.
Maimuna, “salvata dalla strada in un modo che fa piangere il cuore”.
Maroella, uccisa dopo due anni di schiavitù sessuale.
Nike Favour, “bruciata viva da un cliente legato alla mafia (quella locale che appoggia quella nigeriana).
Oluwa, sfruttata da quando era poco più che una bambina, perché le mafie (nigeriane ma non solo) schiavizzano anche minorenni e i papponi, gli stupratori a pagamento, sono criminali depravati anche (come abbiamo denunciato e documentato tante volte) pedofili.
Rose, “stuprata da chissà quanti uomini in una volta sola” e a cui “le hanno perforato l’utero con un oggetto appuntito”.
Gladys, a cui un cliente “ha distrutto l’ano violentandola tre o quattro volte con un bastone”. Eki, “torturata con le sigarette accese”.