È tornata la piazza vera, quella che non si lascia anestetizzare dalla paura, né ammansire dalle promesse. Migliaia di persone – studenti, lavoratori, precari, insegnanti, cittadini comuni – sono scese in strada in tutta Italia per dire basta al genocidio in Gaza, per dire no al silenzio complice del governo Meloni, per affermare che la solidarietà non è reato, ma dovere civile.
Quella marea umana che ha attraversato le strade da Roma a Napoli, da Milano a Campobasso, non è solo il grido di chi non accetta la mattanza palestinese. È anche la rabbia accumulata di un Paese che non ce la fa più. Di un popolo che guarda il proprio servizio sanitario morire di tagli, la scuola pubblica soffocare nella precarietà e il lavoro ridursi a sopravvivenza.
Le bandiere palestinesi sventolano accanto agli striscioni dei sindacati, dei movimenti studenteschi, delle associazioni civiche. È un intreccio nuovo, potente, che unisce la lotta per la libertà dei popoli alla lotta per la giustizia sociale.
Perché la verità è semplice, e spietata: chi resta in silenzio davanti al massacro di Gaza, resterà in silenzio anche davanti alla povertà dei propri cittadini.
E allora sì, la piazza deve continuare. Deve crescere, moltiplicarsi, invadere pacificamente ogni città, ogni quartiere, ogni scuola, ogni ospedale. Perché non si tratta solo di Gaza, ma di noi tutti.
Il governo va chiamato a rispondere, senza più filtri né paure:
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perché la sanità pubblica viene svenduta ai privati;
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perché la scuola è ridotta a parcheggio sociale per giovani senza futuro;
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perché il lavoro non basta più per vivere, e la precarietà è diventata sistema.
La solidarietà è contagiosa. E la piazza di Gaza può diventare il punto di svolta di una nuova stagione di lotte civili.
Non è più tempo di deleghe, né di indignazioni da divano. È il tempo di stare insieme, di chiedere conto, di occupare lo spazio pubblico finché non ci sarà giustizia.
Per Gaza, per l’Italia, per un futuro che non puzzi di morte né di rassegnazione.
Perché la libertà o è universale, o non è libertà.