Il grande bluff: tutti gli obiettivi mancati del governo Meloni
Promettevano di riscrivere la storia, e hanno scarabocchiato il presente (e parte del futuro). La politica del governo Meloni si sta rivelando per quello che è: una narrazione fallace, una propaganda ben oleata, un gigantesco specchio per le allodole. Dietro gli slogan roboanti e le conferenze stampa con bandiere sullo sfondo, si nasconde una realtà fatta di fallimenti, retromarce e obiettivi mancati.
Il governo si era presentato con la promessa di un’Italia “più forte e più sovrana”. Ma i numeri raccontano altro. La crescita economica è rallentata, il PIL ristagna, l’inflazione erode salari e risparmi. La riforma fiscale si è arenata, e le promesse su tagli strutturali alle tasse sono rimaste lettera morta.
Dovevano “colmare il divario”, invece l’hanno ampliato. Il Sud è scomparso dai radar del governo, ridotto a terra di conquista elettorale senza investimenti strutturali. I fondi del PNRR sono stati dirottati, i progetti bloccati o bocciati, mentre giovani e famiglie continuano a emigrare. L’autonomia differenziata rischia di spaccare definitivamente il Paese.
Tagli mascherati da riforme. Il sistema sanitario pubblico è al collasso: medici in fuga, liste d’attesa infinite, territori abbandonati. Nessuna grande riforma, solo slogan. Stesso copione per la scuola: docenti precari, stipendi fermi, edilizia scolastica al disastro. Le promesse sul “merito” si sono trasformate in una giungla di concorsi mal gestiti e interventi estemporanei.
Sventolavano il vessillo della “sicurezza”, ma i numeri degli sbarchi sono aumentati. I decreti sicurezza si sono dimostrati punitivi, inutili, incostituzionali. Gli accordi con la Tunisia e l’Albania sono costati miliardi e non hanno risolto nulla. Una son ora bocciatura. L’unica risposta è stata la repressione, l’esclusione, la narrazione del nemico: poveri contro poveri.
Addio al Reddito di cittadinanza, sostituito da strumenti farraginosi e inefficaci. Le disuguaglianze aumentano, i poveri sono diventati un problema di ordine pubblico anziché una priorità politica. L’unica vera strategia sociale è stata il disprezzo: per i fragili, per i disoccupati, per chi è rimasto indietro.
Doveva essere la stagione dell’orgoglio nazionale. Invece, il governo Meloni ha firmato tutti i bilanci UE col cappello in mano, ha seguito la linea atlantista senza fiatare, e sulla scena internazionale si è distinto più per le gaffe che per la diplomazia. I proclami “patriottici” si sono infranti contro il muro della realtà geopolitica. Sovranismo? Solo nei comizi.
Una classe dirigente che non dirige
Il vero fallimento è culturale e politico. Questo governo non ha costruito nulla. Non una visione, non un modello di società, non un’idea di futuro. Ha preferito gestire il potere con l’algoritmo della paura e l’influenza dei sondaggi. È un governo di reazione, non di azione.
E mentre l’Italia affonda nel pantano dell’emergenza, la risposta resta sempre la stessa: un post, una conferenza stampa, un nemico nuovo da additare. A incarnare questo naufragio sono loro, i protagonisti:
Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture, è più presente su TikTok che nei cantieri. Aveva promesso ponti, grandi opere e sicurezza, ma si è limitato a invocare l’ennesimo Ponte sullo Stretto e a intestarsi meriti altrui. Sulla sicurezza stradale tace, sugli incidenti ferroviari pure. Sull’Autonomia Differenziata si è speso con foga, ignorando le conseguenze devastanti per il Sud.
Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, ha esordito parlando di “umiliazione come strumento educativo”. Un manifesto pedagogico di una destra che confonde la disciplina con la sottomissione. Il risultato? Una scuola più povera, più precaria, più burocratizzata. Il PNRR per l’istruzione è stato gestito come un affare privato tra dirigenti e consulenti.
Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità, si è distinta più per le polemiche contro i diritti civili che per iniziative concrete. Ha attaccato i diritti delle coppie omogenitoriali, parlato di aborto con toni da crociata ideologica, ma nulla ha fatto per il welfare familiare. Natalità in caduta libera e sostegni ridotti all’osso.
Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, è diventato celebre per aver proposto di re-intitolare un parco a Latina a Benito Mussolini. Ma è anche tra i responsabili dello smantellamento del Reddito di cittadinanza, sostituito da un sistema che lascia fuori decine di migliaia di famiglie senza tutele.
Galeazzo Bignami, viceministro alle Infrastrutture, è quello che da giovane posava con la svastica al braccio. Un passato negato, mai rinnegato. Oggi gestisce porzioni di un ministero cruciale, con deleghe che incidono sul futuro del Paese. Una contraddizione vivente: l’uomo col simbolo dell’odio chiamato a pianificare.
E poi ci sono loro, i portavoce da rotocalco, gli onorevoli dell’indignazione, come Andrea Delmastro, noto più per la sua partecipazione alla polemica politica e per la gestione disastrosa del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), che per qualsiasi riforma concreta. E tralasciamo, per adesso, la vicenda Cospito.
O come Chiara Colosimo, presidente della Commissione Antimafia, il cui profilo è stato ampiamente criticato per le sue vicinanze passate con ambienti di destra radicale e con personaggi controversi come Luigi Ciavardini. Una scelta che ha fatto gridare allo scandalo, e che ha gettato un’ombra su una commissione che dovrebbe essere, più che mai, imparziale e credibile.
E tutti coloro che sono finiti sotto inchiesta? Ne parleremo a breve.
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