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Il “femminicidio” di Lettomanoppello narra quanto esistono e persistono i sistemi criminali abruzzesi

Ennesimo squarcio sul velo dell’ipocrisia, della complicità e della vigliaccheria dei cantori della favoletta dell’isola felice.

by Alessio Di Florio
15 Ottobre 2025
in Approfondimenti
Reading Time: 6 mins read
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La notizia è piombata, come una lama nel cuore e pesante come macigni sulle coscienze, all’ora di cena: drammatico fatto di cronaca a Lettomanoppello, efferato femminicidio in pubblico. Pochi minuti e i nomi della vittima e del carnefice diventano noti.

Antonio Mancini, un nome che non soltanto non è nuovo alle cronache abruzzesi, ma ci raccontano tanto, capitoli di un passato che non passa nell’isola felice che di felice non ha nulla. Ma continua a raccontarsela, imbelle, complice e vigliacca. E oggi, ancora una volta, una vittima, una donna, una vita è stata spazzata via dall’ennesimo squarcio sul ventre oscuro di questa Regione, quel ventre oscuro che opera alla luce del sole.

Mancini è protagonista delle cronache almeno da decenni, da quei decenni in cui a Roma persisteva ancora la Banda della Magliana e in Abruzzo imperversava la Banda Battestini. “Il guardiano”, come è soprannominato Mancini, non è l’Accattone dell’organizzazione criminale romana. Anche se lo stesso Accattone è originario della Val Pescara. Uno dei tanti protagonisti del “Mondo di Mezzo” della Capitale che è partito dall’Abruzzo, come i Casamonica, i Tredicine, alcune società attive nella gestione dei rifiuti, personaggi attivi nel mondo della cooperazione. Esattamente come gli Spada e i Fasciani, clan di Ostia.

Il capostipite del clan Fasciani è originario della provincia dell’Aquila, i Casamonica partirono da Pescara e da Campobasso alla conquista del “Mondo di Mezzo” romano. Ma non è solo storia, è cronaca degli ultimi decenni, di quel “Mondo di mezzo” abruzzese costellato di organizzazioni come la Banda Battestini (Massimo Ballone di recente è stato condannato, accusato di essere referente di clan di ‘ndrangheta sulle piazze di spaccio), clan come parenti ed affini dei Casamonica (WordNews.it nacque nei giorni di un omicidio al “Ferro di Cavallo” di cui è stato autore un appartenente ai Ciarelli) efferati omicidi, violenze di ogni tipo, reati diffusissimi e che capillarmente segnano il tessuto sociale di questa regione come spaccio, usura ed estorsione.

Quello spaccio che segna – come denunciano da tanti anni Domenico Pettinari e Massimiliano Di Pillo, come denunciò fino all’ultimo il compianto Nello Raspa – periferie pescaresi come Rancitelli, Fontanelle, giungono al cuore del centro della città e si diramano lungo la costa fino a Vasto o nell’entroterra.

Antonio Mancini, l’autore del femminicidio la settimana scorsa, è protagonista delle cronache almeno dagli anni Novanta. Ha ucciso con una pistola rubata ad un poliziotto penitenziario nel 2011, il figlio ha denunciato in questi giorni che da anni segnalava la pericolosità del padre e chiedeva che gli venisse tolta l’arma, il suo profilo facebook è inquietante e sconvolge ancor di più dopo il femminicidio di Lettomanoppello. «Uomo che definire burrascoso è poco. Alto, di corporatura importante, chi lo ha conosciuto nel carcere di Pescara, si racconta, lo chiamava don Antonio. Un modo come un altro di riconoscerne lo spessore criminale. D’altra parte un nome come il suo, in certi ambienti, ha una tradizione».

Così lo racconta su Il Messaggero Abruzzo di venerdì scorso Patrizia Pennella. «Un uomo noto a tutti in paese per il suo passato dietro le sbarre e il presente fatto di continue minacce di morte e armi mostrate come trofei sui social e in piazza. Antonio, che si faceva chiamare “Il Guardiano” tra i vicoli del paese e “Ayatollah” nel suo mondo social, era conosciuto per i suoi atteggiamenti aggressivi, le minacce pubbliche, le invettive violente contro le istituzioni – tutto documentato e, paradossalmente, tollerato. E ora in tanti parlano di “una tragedia preannunciata”». Sono alcuni dei passaggi del racconto su Il Centro di Erika Gambini. «Non sapete chi sono io, da oggi in poi voi carabinieri avete finito di riposare, non dormirete tranquilli, ci saranno quattro funerali di Stato» e «Io a te stavo aspettando, volevo andare via ma ti ho visto passare e ho lasciato il cane apposta. Io faccio quello che mi pare, tu non sei nessuno, non mi rompere il cazzo» sono frasi del “Guardiano” o “Ayatollah” riportate dalla collega Gambino rivolte ai Carabinier.

«In tutti i miei anni in servizio una persona così folle e pazza non l’avevo mai vista» sempre ad Erika Gambino per Il Centro ha raccontato Carmine Di Donato, luogotenente carica speciale ed ex comandante della stazione di Lettomanoppello dal 1989 al 1995, «l’uomo che dagli anni ’90 ha seminato la paura da Lettomanoppello fino alla malavita di Pescara. Nel suo curriculum accuse gravissime per rapine, spaccio, reati contro il patrimonio e violazioni del codice della strada».

Cercando notizie sul passato criminale di Mancini in rete è rintracciabile un articolo pubblicato sul sito di Il Centro l’8 ottobre 2010. La notizia era la maxi operazione tra Taranto, Chieti e Pescara contro la rete di spaccio che aveva inondato locali e piazze dell’entroterra pescarese. Al centro di questa rete “Il Guardiano” e una coppia, lei una Di Rocco. Uno dei cognomi che più ricorre nel “Mondo di Mezzo” abruzzese, tra le tante della galassia rom egemone.

Negli anni raccontati da Di Donato a Il Centro su Mancini, protagonista della scena criminale abruzzese era ancora la Banda Battestini. Mai uscita dalle cronache, ultimo caso come già ricordato la condanna di Massimo Ballone. La banda guidata dai fratelli Battestini seminò il terrore tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta e fu protagonista di 114 rapine tra Abruzzo e Marche e 2 omicidi. Arrestati una prima volta il 29 gennaio 1985, alcuni componenti della banda furono protagonisti di una sanguinosa fuga dal carcere di Pescara. Massimo Ballone, Claudio Di Risio, Raimondo Coletta, Francesco Gentile, Carlo Mancini e Franco Patacca, evasero dal carcere armati di pistola e coltelli, uno dei quali colpì il maresciallo Polidoro Legnini sfiorandogli il cuore.

La fuga terminò un mese dopo, quando furono tutti rintracciati nel quartiere San Basilio a Roma e, nel conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, rimasero uccisi Mancini e Gentile. Uno dei due fratelli Battestini, Rolando, morì suicida nel carcere di Campobasso nel marzo del 1992. Tra i componenti della Banda anche Valerio Viccei, rimasto ucciso mentre tentava il colpo ad un portavalori lungo la provinciale che collega l’Adriatica ad Ascoli Piceno, passato alla storia come la mente della rapina più grande della storia: circa 140 miliardi sottratti il 12 luglio 1987 dal caveau del Safe Deposit Center di Londra.

A fine settembre 2006 un giro di vite portò all’arresto della “banda dei kalashnikov“, 9 persone vengono arrestate con l’accusa di aver organizzato alcune rapine a portavalori in perfetto stile militare compiute in diversi anni tra Pescara e Chieti che, a più di qualcuno, avevano riportato alla mente proprio i tempi della banda Battestini. Tra gli arrestati compare proprio Ballone che, secondo il proprio avvocato, avrebbe però avuto un ruolo “di secondo piano”.  Uno dei coinvolti nell’inchiesta sulla banda dei kalashnikov fu arrestato nel gennaio 2009 durante un’indagine tesa a stroncare un’associazione mafiosa dedita al narcotraffico internazionale, al riciclaggio, alla ricettazione e alla violazione della legge sulle armi.

Nel marzo 2011 viene fuori che sono almeno sei gruppi dediti allo spaccio sulla piazza pescarese, con incursioni anche nelle province di Teramo e Chieti e in altre regioni. Nella rete degli inquirenti finì, tra i tanti, Claudio Di Risio. La droga veniva importata in Abruzzo dall’Albania, da Napoli o dal Nord Italia. L’11 luglio 2013 Claudio Di Risio fu vittima di un agguato davanti casa, colpito da sei colpi di pistola di cui due alle gambe. Quattro giorni dopo, alle 3 e 10 del mattino, quattro colpi d’arma da fuoco (una pistola che i rilievi effettuati sul posto hanno evidenziato avere lo stesso calibro di quella responsabile del ferimento di Di Risio) vengono sparati verso la sua abitazione. Un atto che fu definito un segnale intimidatorio.

Nel solo 2012, oltre ad Italo Ceci, furono assassinate altre due persone e la sera del 25 aprile una prostituta fu vittima di un altro agguato. Questi ultimi 3 fatti di cronaca hanno coinvolto tutti esponenti di una sola famiglia: quella dei Ciarelli. Una famiglia da tantissimi anni protagonisti della cronaca giudiziaria, a partire dal traffico di stupefacenti. Una zona di Pescara, quella tra Rancitelli e Ferro di cavallo di via Tavo, considerata un vero e proprio supermarket della droga, centro commerciale che costituisce un punto di riferimento anche per lo spaccio di altre zone della Regione.

Nell’ottobre 2007 una retata antidroga evidenziò il rifornimento del vastese a Rancitelli ma sono diverse le piazze, abruzzesi anche dell’interno o di altre regioni, che vedono Rancitelli come l’hub del narcotraffico. Gli inquirenti nel gennaio 2005 colpiscono quello che considerarono un vero e proprio sodalizio tra i Ciarelli e persone provenienti dall’Albania, sostenendo l’esistenza di una fittissima rete tra Pescara, il Nord Italia, l’Albania stessa e la Puglia, dove gli Spinelli avrebbero garantito l’aggancio con alcuni esponenti di spicco della Sacra Corona Unita. 

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Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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