“Lo Stato ci ha abbandonati. Le leggi non si rispettano più e chi denuncia paga due volte”.
Un grido lucido e indignato, ma ancora pieno di dignità.
È quello che si è levato nella seconda puntata della seconda stagione di “30 minuti con…”, il format di WordNews.it condotto da Paolo De Chiara con la collaborazione di Antonino Schilirò, dedicato questa volta a una delle pagine più dolorose e rimosse della giustizia italiana: quella dei Testimoni di Giustizia.
Ospite della puntata, trasmessa il 21 ottobre 2025, l’onorevole Piera Aiello, prima testimone di giustizia eletta in Parlamento, figura simbolo del coraggio civile e della denuncia, protagonista di una lunga conversazione che ha scoperchiato le falle, le ipocrisie e le omissioni dello Stato.
“Non abbiamo mai vissuto momenti così bui come con questa legislatura”, ha affermato Aiello.
“Oggi leggi e diritti vengono disattesi da circolari interne, scritte da ‘illuminati’ che decidono al posto del Parlamento”.
I “draghi” del Servizio Centrale e il tradimento della legge
L’ex deputata ha denunciato apertamente la gestione del Servizio Centrale di Protezione, accusato di “aver stravolto la legge sui testimoni” attraverso circolari, documenti interni che, secondo Aiello, disattendono completamente la normativa vigente.
“In Italia legiferiamo in Parlamento, ma poi un funzionario può cambiare le regole a suo piacimento. Allora che senso ha avere deputati e senatori? Basta l’illuminato di turno”, ha tuonato Aiello.
La testimone ha puntato il dito anche contro l’uso arbitrario della capitalizzazione, il trattamento economico di fine programma per i testimoni, che oggi viene pignorato o trattenuto, in violazione della legge e delle sentenze del TAR.
“Questi soldi sono come un assegno alimentare: non si toccano. Ma lo Stato li trattiene lo stesso. E chi perde è sempre chi ha denunciato”.
“Siamo alla sconfitta dello Stato”
Il racconto di Piera Aiello si è fatto personale e crudo: dall’infanzia della figlia senza documenti né protezione, alla difficoltà di iscriverla a scuola senza alcun supporto.
“Mi chiamarono anni dopo per dirmi che forse mia figlia doveva andare a scuola, quando già frequentava la terza elementare. Non sapevano neanche dove fosse. Questo è lo Stato che dovrebbe proteggerci”.
Un passaggio doloroso, che si intreccia con la memoria di Rita Atria e del magistrato Paolo Borsellino.
“Io e Rita abbiamo denunciato a 23 e 17 anni i soldati di Matteo Messina Denaro. Lo rifarei, ma oggi lo Stato mi impedisce perfino di riconoscere i miei figli. Per la legge italiana risulto vedova, anche se sono sposata e madre di tre figli”.
Una testimonianza che colpisce come un pugno nello stomaco. La Aiello denuncia la voluta confusione normativa e la mancanza di volontà politica nel tutelare chi ha scelto la legalità:
“Stanno distruggendo le leggi volute da Falcone, Scoppelliti e Borsellino. Chi oggi si riempie la bocca con i loro nomi dovrebbe prima rispettare ciò per cui sono morti.”
Colosimo, Mori e la Commissione Antimafia nel mirino
Nel corso della puntata, Paolo De Chiara ha toccato il nodo politico e istituzionale della vicenda, interrogando Aiello sulle recenti affermazioni della presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, secondo la quale “si starebbe arrivando alla verità sulla strage di via D’Amelio”.
“Loro stanno creando la loro verità”, ha risposto Aiello. “Paolo Borsellino mi diceva sempre che la verità sta nel mezzo. Ma qui la verità la stanno riscrivendo a tavolino, con relazioni fatte ad hoc”.
La discussione si è poi spostata sul caso del generale Mario Mori, consulente dell’attuale Commissione Antimafia, già protagonista in diversi processi legati alla trattativa Stato-mafia:
“È un conflitto di interessi enorme”.
Dalla denuncia al silenzio: la voce di Gennaro Ciliberto
Nel corso della diretta è intervenuto anche Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia e voce di denuncia contro le distorsioni del sistema di protezione, che ha confermato le gravi criticità descritte da Aiello: “Da quando Piera non è più in Parlamento, nessuno ci ascolta più. L’attuale governo non ha mai pronunciato la parola ‘testimoni di giustizia’. È scomparsa dall’agenda politica. È un silenzio pericoloso”.
Ciliberto ha raccontato di una telefonata diretta ricevuta dalla presidente Colosimo, definita “impropria e inquietante”, in quanto effettuata su una linea non protetta:
“Mi ha chiamato a bruciapelo, senza preavviso. Ma la cosa più grave è che dopo quella chiamata tutto è caduto nel silenzio”.
“I testimoni non sono un peso: sono una risorsa”
A chiudere la puntata, un richiamo alla relazione firmata anni fa da Angela Napoli e Giuseppe Lumia, che definiva i testimoni “una risorsa per lo Stato, non un peso”.
“Oggi quella frase è più attuale che mai”, ha detto Aiello. “Perché i testimoni vengono trattati come scarti, come fastidi da zittire.”
Con parole nette e vibranti, Paolo De Chiara ha ribadito il senso del format e della puntata:
“Raccontare queste storie significa difendere il cuore stesso della democrazia. Senza chi denuncia, questo Paese non ha futuro.”

Gennaro Ciliberto: “Lo Stato ci ha traditi. I testimoni di giustizia non devono più esistere”.
Nella seconda parte della puntata, il testimone di giustizia denuncia pubblicamente la Commissione Antimafia, il Ministero dell’Interno e un sistema che isola chi ha denunciato la camorra e salvato vite umane.
Un urlo civile, un’accusa che brucia. La seconda parte della seconda puntata della seconda stagione di “30 minuti con…”, trasmessa su WordNews.it, ha dato voce a Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia e simbolo della denuncia contro la camorra degli affari e le connivenze del potere.
Un intervento lungo, intenso, quasi catartico. Un viaggio dentro le pieghe più oscure dello Stato, dove la legge si piega, la verità si perde e chi denuncia viene lasciato solo.
“Lo Stato ci ha traditi. Ci vogliono morti, o quantomeno zitti. I testimoni di giustizia non devono più esistere”.
Il caso Colosimo e la mail “falsa” della Commissione Antimafia
Ciliberto apre con un’accusa diretta: un’email con il logo della Commissione Parlamentare Antimafia, contenente – dice – affermazioni false e gravi su di lui.
“Un contenuto falso, scritto da qualcuno che non poteva sapere certe cose. Robe che dovrebbero conoscere tre, quattro persone al massimo. Mi è caduto il mondo addosso”.
Il testimone racconta di aver chiesto un confronto diretto con la presidente Chiara Colosimo, senza ricevere risposta.
“Ho chiesto rispetto dei ruoli istituzionali. Il mio legale ha scritto una lettera ufficiale, ma silenzio. Dopo quelle telefonate improvvise della Colosimo, fatte anche ad altri testimoni, lei ha capito che tacere era meglio”.
La denuncia è durissima:
“Quella mail l’ho incorniciata. La tengo lì, in attesa di guardarla negli occhi e chiederle: Presidente, chi le ha detto quelle falsità? Chi le ha scritto quel testo?”
Dalla camorra degli appalti alla solitudine del testimone
Poi il racconto si sposta sulle radici della sua testimonianza: la camorra economica, quella che non spara ma compra, costruisce, inquina e corrompe.
Il nome è uno: clan D’Alessandro.
Tre generazioni di potere criminale, dai vicoli di Castellammare ai cantieri di mezza Italia. Ciliberto racconta di aziende già interdette per mafia che, con nuovi nomi, continuavano a vincere appalti milionari con lo Stato: dal carcere di Larino fino al Trentino, passando per società come la PTAM, diretta erede di ditte già coinvolte in procedimenti antimafia.
“Ho denunciato chi costruiva ponti e barriere che cadevano a pezzi. Ho salvato vite. Ma da quel momento sono diventato un problema per tutti: per i mafiosi, per la politica e perfino per lo Stato.”
Il ponte di Ferentino e il prezzo della verità
Una delle denunce più clamorose di Ciliberto riguardò il ponte di Ferentino, sequestrato grazie alle sue segnalazioni tecniche.
“Fu il primo ponte sequestrato in Italia per rischio crollo. Ma nessuno mi ha mai ringraziato. Nessuno. Eppure, con quella denuncia, ho salvato vite”.
Da Ferentino al crollo del Ponte Morandi, il filo rosso è uno solo: la stessa cricca di manager, ingegneri e imprenditori che, dice Ciliberto, continuavano a operare indisturbati.
“Quando ho visto crollare il Morandi mi sono sentito male. Io avevo denunciato quegli stessi uomini, lo stesso metodo. Se mi avessero ascoltato, oggi molte persone sarebbero vive”.
Il dramma quotidiano: tra tribunali, minacce e isolamento
La seconda parte dell’intervista è una lunga confessione civile. Ciliberto descrive la solitudine di chi ha denunciato, abbandonato dallo Stato che doveva proteggerlo:
“Io non ho più una vita normale. Non posso andare a votare, non posso andare al funerale di un familiare. Non posso nemmeno mettere il mio vero nome sulla tomba”.
Racconta le difficoltà economiche, legali, psicologiche:
“Ho speso più di 30 mila euro in avvocati per difendere i miei diritti. Lo Stato scrive circolari da dieci centesimi, io pago migliaia di euro per far valere la legge”.
E accusa apertamente il Ministero dell’Interno e il Servizio Centrale di Protezione di inadempienze e opacità:
“Hanno segreti, omissis, documenti che non puoi leggere. Così non puoi nemmeno difenderti”.
“Non ci vogliono vivi, ci vogliono silenziosi”
Ciliberto parla anche del prezzo umano della denuncia:
“Mi hanno provato a uccidere con le pistole, con la sanità, con la follia. Ma non ci sono riusciti. Sono ancora vivo, e continuerò a parlare”.
E poi la riflessione più amara, rivolta al Ministro Piantedosi e alla classe politica:
“Vanno a inaugurare caserme, fanno conferenze sulla legalità, ma si dimenticano dei testimoni di giustizia. Nella loro testa, noi non esistiamo più”.
Un appello finale: “Chi tace è complice”
Ciliberto chiude con parole che restano impresse come cicatrici:
“Io non chiedo favori, ma rispetto. Non voglio essere un martire, ma non accetto di essere dimenticato. Chi tace, chi gira la testa, è complice”.
Il conduttore Paolo De Chiara e il collaboratore Antonino Schilirò chiudono la puntata con un impegno preciso:
“Non aspetteremo i testimoni. Li cercheremo noi. Perché la loro voce deve continuare a essere ascoltata”.
La seconda parte della seconda puntata di “30 minuti con…” non è solo un’intervista: è una denuncia civile, un atto d’accusa contro un sistema che non tutela i suoi cittadini più coraggiosi.
Gennaro Ciliberto ha messo la sua vita al servizio della verità. E oggi, la sua voce risuona come una domanda senza risposta:
Chi protegge chi ha protetto lo Stato?




