Dopo giorni di confusione mediatica e titoli fuorvianti, abbiamo raccolto il punto di vista del dottor Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, per chiarire la reale portata della recente sentenza della Cassazione su Marcello Dell’Utri.
A integrazione dell’articolo già pubblicato su WordNews.it (“Berlusconi, Dell’Utri e la verità che non si cancella: le tre sentenze che smentiscono la propaganda”), che ha ripercorso le pronunce del 2014, del 2021 (Sezioni Unite) e del 2021 (Civile), Di Matteo offre una lettura lucida e puntuale del clima politico e mediatico esploso dopo la nuova decisione della Cassazione.
L’ex Consigliere del CSM analizza il clima politico e mediatico che si è creato dopo la decisione della Suprema Corte e spiega perché la rappresentazione proposta da gran parte della stampa e di alcuni esponenti politici è “semplicemente falsa”.
Il magistrato ribadisce che la sentenza definitiva del 2014, che condannò Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa e accertò il patto pluridecennale tra Berlusconi e Cosa Nostra, resta intangibile.
Un richiamo forte e netto al rispetto della verità giudiziaria e della memoria storica.

«Bisogna avere l’onestà intellettuale di vedere cosa è successo e quindi di esaminare le vicende processuali in maniera concettualmente e intellettualmente onesta. Allora, questa recente sentenza della Cassazione che ha confermato i giudizi, tra l’altro di primo e secondo grado, dei giudici di Palermo riguarda esclusivamente la misura di prevenzione nei confronti di Marcello Dell’Utri, quindi la valutazione dell’attuale pericolosità sociale di Dell’Utri e, da un punto di vista patrimoniale, il collegamento tra il suo patrimonio e i suoi rapporti con la mafia, nonché la riconducibilità delle donazioni milionarie da parte di Berlusconi alla volontà di comprarne, diciamo, il silenzio.
Questo è l’oggetto del giudizio di prevenzione. Ma noi abbiamo, ed è intangibile perché coperta dal giudicato, una sentenza di condanna che è divenuta definitiva nel 2014 di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa.
In questa pronuncia definitiva è attestato che Dell’Utri è stato mediatore e garante di un patto pluridecennale tra Berlusconi e la mafia, che aveva ad oggetto la protezione del Cavaliere in cambio di dazioni di denaro.
Quella sentenza, tra l’altro, ritiene provato che quel patto fu pienamente rispettato da entrambe le parti, quindi Berlusconi da una parte e la mafia dall’altra, nel periodo dal 1974 al 1992. E questo ha tra l’altro comportato che in quel periodo, quindi un periodo in cui Cosa Nostra ha compiuto anche omicidi eccellenti, anche nei confronti di esponenti delle istituzioni, ha compiuto stragi come la strage Chinnici del 1983, uccidendo esponenti delle forze di polizia, prefetti della Repubblica, presidenti della Regione.
In quel periodo Berlusconi ha versato centinaia di milioni nelle casse di Cosa nostra».
Un fatto volutamente travisato?
«Questa sentenza non può essere revocata a mezzo stampa. Sostenere, come hanno fatto in questi giorni alcuni organi di stampa e molti esponenti politici, che la recente sentenza della Cassazione, quella sul procedimento di prevenzione, ha escluso ogni rapporto tra Dell’Utri, Berlusconi e la mafia è semplicemente falso.
Il presupposto indispensabile di qualsiasi legittimo commento dovrebbe essere quello di una rappresentazione onesta e veritiera del fatto che si vuole commentare, e in questo caso invece il fatto è stato volutamente travisato.
Si è confuso quello che è il giudizio di prevenzione, che quindi ha riguardato l’aspetto patrimoniale, con il giudizio definitivo sui rapporti tra uno dei fondatori del partito Forza Italia, Dell’Utri, e la mafia e Berlusconi, che invece sono rapporti sanciti in una sentenza definitiva che non viene minimamente messa in discussione da questa recente pronuncia della Cassazione.
Le recenti pronunce giudiziarie sono state volutamente travisate, forse per cancellare la memoria di fatti e rapporti, che invece sono accertati, così scandalosi e per tanti ancora oggi così scomodi».
Volevo ritornare alla sentenza della Cassazione del 2014 che lei ha citato per leggere un passaggio: “Dell’Utri mise in contatto l’imprenditore Berlusconi con Gaetano Cinà e Stefano Bontate, capi del mandamento di Santa Maria di Gesù, i quali si impegnarono a garantire la protezione delle persone e delle attività economiche in cambio di somme di denaro periodiche”. Un accordo di reciproco vantaggio, un rapporto stabile, consapevole e reiterato?
«A pronunciarsi in questo senso sono gli stessi giudici della Cassazione che confermano la sentenza di appello».
Non a caso riprendo le parole dei giudici, per cercare di fare chiarezza su questi argomenti.
«Il patto non venne, secondo la sentenza definitiva, soltanto stabilito ma venne rispettato da entrambe le parti, e per almeno 18 anni, dal 1974 al 1992. Così è provato. E ha comportato, tra l’altro, il passaggio di centinaia di milioni di vecchie lire da Berlusconi alle famiglie mafiose palermitane più importanti, proprio nel momento in cui quelle famiglie erano impegnate in un’attività di sistematico attacco alle istituzioni. Quindi i fatti rimangono consacrati nella loro gravità e oggi non possono essere messi in discussione da una sentenza che riguarda altri aspetti».
Possiamo far rientrare anche le stragi del ’92 e del ’93?
«La sentenza è quella della Cassazione, ho parlato di un patto reciprocamente rispettato dal ’74 al ’92, almeno al ’92, quindi circoscrisse il periodo temporale in cui considerò provati i fatti al ’92, non anche al periodo proprio delle stragi. Ovviamente il capitolo delle stragi è tutta un’altra storia che leggiamo essere ancora aperta, ma questo non glielo posso dire io. Questa sentenza recente non è un quarto grado di giudizio e non può modificare di una virgola quelle che sono conclusioni assolutamente chiare, precise e gravi».
Lei parlava di “cancellare la memoria dei fatti”, ma l’operazione di queste ultime ore è necessaria anche per riabilitare, per santificare la figura di Berlusconi?
«Non voglio entrare nella mente di chi rappresenta il falso, non è questo il mio ruolo. Però, di fatto, oggettivamente costituisce un pericoloso contributo alla cancellazione di una memoria storica che, invece, dovremmo tutti conservare e anzi alimentare, anche perché riguarda dei fatti del passato ma che comunque in qualche modo riguardano anche il presente. Solo che si pensi che è stato condannato definitivamente uno dei fondatori di un partito che attualmente fa parte della compagine di governo, quindi non sono fatti che appartengono a un passato assolutamente distante».

Berlusconi, Dell’Utri e la verità che non si cancella: le tre sentenze che smentiscono la propaganda





