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Non è tolleranza zero, è giustizia sotto zero

Presentato il secondo report di Rete L’Abuso.

by Alessio Di Florio
27 Ottobre 2025
in Approfondimenti
Reading Time: 7 mins read
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Tolleranza zero. È lo slogan che negli anni scorsi abbiamo sentito ripetere, da Papa Francesco alla Conferenza Episcopale Italiana, sui casi di abusi pedofili all’interno della Chiesa. Uno slogan dietro cui, come varie vicende hanno evidenziato, spesso la realtà è diversa.

L’elenco dei preti spostati, delle denunce che hanno cercato di insabbiare, dei casi ignorati. Ha destato scalpore il gesuita Rupnik così come le vicende di don Rugolo a Enna. Ma sono molte altre. In provincia di Chieti, nonostante la vicenda sia stata resa nota da due quotidiani nazionali (Repubblica e un’inchiesta di Federica Tourn sul Domani), è caduta nel vuoto la denuncia anni fa che un prete (preside di una scuola privata) partecipava a videochat con un ragazzo abusato da un prete siciliano. Abbiamo dedicato vari articoli alla vicenda ma nulla, tutto caduto nel vuoto.

Ad inizio febbraio di quest’anno è morto don Marino Genova, condannato con sentenza passata in giudicato per gli abusi perpetrati contro Giada Vitale. Don Marino, nonostante la condanna penale, fino a poco tempo prima della morte ha celebrato Messa e ha potuto continuare “serenamente” il suo ministero. La vita di Giada è, invece, segnata dal dramma e dalla devastazione degli abusi subiti. È un copione che si ripete, negli anni, per tante vittime: vedere il proprio abusatore che continua “serenamente” la propria vita ecclesiastica, a volte con solo brevi stop (don Marino ha scontato la condanna con alcuni anni di carcere), e non ridotto allo stato laicale neanche dopo condanne definitive mentre loro rimangono segnati per sempre.

Tre anni fa il primo report della CEI fu oggetto di pesanti critiche e la realtà dietro il paravento delle apparenze fu smontato da Rete L’Abuso, Coordinamento ItalyChurchToo e alcune inchieste giornalistiche indipendenti.

«Un sistema basato su un esercizio violento del potere»

In questa videointervista Federica Tourn decostruì e analizzò le strutture di potere, patriarcali e clericali, di questa strutturale e sistemica violenza rappresentata dagli abusi sessuali nella Chiesa, l’omertà e come vengono letteralmente nascosti e inabissati ogni anno migliaia e migliaia di abusi in quel che è stato definito un clericale «clan di soli uomini». Clan e omertà, parole che rimandano alle mafie, alle strutture criminali organizzate. E un sacerdote, ci racconta Federica nella videointervista, una volta le espresse un paragone affermando che «non è che possiamo chiedere alla mafia di giudicare sé stessa».

Il “Rapporto annuale sulle politiche e procedure della Chiesa”, relativo all’anno 2024, della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori ha sollevato molte critiche e indicato svariate azioni che mancano nelle Diocesi e all’interno della CEI. Colpisce, tra i dati, la totale assenza di dialogo con la Commissione e di interventi da parte di molte Diocesi.

Rete L’Abuso lo scorso 23 ottobre ha diffuso il secondo Report, inviato per conoscenza a tutti i Garanti regionali per l’infanzia.

Questo il testo integrale della lettera.

L’Associazione Rete L’ABUSO, con la presente istanza volta nell’interesse superiore del minore, intende denunciare la situazione che censiamo sul territorio, al tempo stesso stimolare con l’iniziativa il Garante affinché “l’interesse superiore del minore”, oggi in Italia ancora meramente solo sulla carta, inizi a creare basi concrete e canali affinché possa avviarsi un processo di applicazione rispetto quelle che sono le leggi tra cui la LEGGE NR. 172/2012 e la NR. 69/2019.

Come ben sapete, ad oggi, l’Italia è priva di strumenti concreti ed efficaci di prevenzione contro gli abusi sessuali a danno di minori e persone vulnerabili. Priva di strumenti di consapevolezza per gli adulti ma soprattutto per i minori, coloro che se informati su quali comportamenti deve o non deve avere un adulto nei loro confronti, sono il primo ed il più efficace campanello di allarme per genitori o adulti, affinché possano attivarsi. Consapevolezza spesso capace di fare sì che i minori allarmati sfuggano a certe situazioni, salvandosi e segnalandole agli adulti.

Come potrete constatare nel Report che segue, è la stessa Delegazione italiana, Interrogata dal Comitato per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza delle Nazioni Unite nell’esamina dell’80° sessione, a sollevare suo malgrado la grave lacuna italiana, fornendo come risposta alla delegazione ONU che chiedeva quali strategie preventive avesse o prevedesse di attuare lo Stato Membro, non ebbe altra risposta che citare quali fossero invece le pene e le aggravanti per coloro che commettono questi crimini.

Ovvero, pene e aggravanti inflitte agli offender solo dopo aver commesso il reato.

L’ONU ravvisò le gravi carenze, raccomandando al punto 21 del suo rapporto conclusivo quanto l’Italia avrebbe dovuto attuare. (CRC/c/ita/co/5-6)

Quanto esposto in questa istanza in cui, l’Associazione denuncia indirizzando al Garante Regionale il non trascurabile dato emerso, relativo al solo clero cattolico, si fa sollecitamente notare che le cifre censite se pur in difetto sono elevatissime.

Più del 3,5% nel solo clero, in Italia composto da 31.000 unità di cui 1.106 risulterebbero coinvolte.

Dato ravvisato non solo dall’Associazione, ma confermato dalla stessa Conferenza Episcopale Italiana che per l’esattezza, ne dichiara nello stesso arco temporale da noi censito, 1.049 contro i 1.106 censiti dall’esponente.

Premesso che il clero, in quanto organizzazione, da anni ben consapevole, si è mossa per tutelarsi da un problema al suo interno endemico e ben noto al Vaticano, almeno dal 1962, quando lo regolamentò segretamente, nell’ormai tristemente nota direttiva “Crimen sollicitationis”.

Detto ciò, nulla toglie alla gravità e al dover sollecitamente intervenire, stimolando attraverso gli occhi e gli orecchi del Garanti Regionali, un fermo e sollecito intervento del Garante Nazionale che coinvolga e responsabilizzi i cittadini e la politica sul problema, in un’Italia quindici anni in ritardo rispetto agli altri Stati Membri dell’Unione Europea, in molti casi giunti non solo a una quantificazione del fenomeno sul territorio, ma ad un risarcimento umano, un sostegno concreto e giustizia per i sopravvissuti, come sancito anche in Italia dalle Garanzie Costituzionali.

Come ben sapete, la peculiarità italiana sono quei vuoti legislativi di base, che nell’applicazione diventano ostativi verso norme secondarie.

Per fare un esempio, l’assenza dell’obbligo di denuncia per tutti i cittadini – che andrebbe a responsabilizzare, come deve essere, gli adulti nei doveri di tutela previsti dalla legge nei confronti dei minori – rende praticamente inefficaci strumenti preventivi europei importanti come il certificato anti pedofilia, rilasciato dal Tribunale, con la finalità di impedire a chi pregiudicato per questo tipo di crimini, di tornare a contatto con i minori.

Ma se non c’è l’obbligo della denuncia, non vi è un accertamento preventivo da parte dell’Autorità Giudiziaria, di conseguenza una condanna, quindi nessuna iscrizione sul certificato.

Lo stesso certificato anti pedofilia, trova dalla ratifica un altro grave problema.

Infatti non è chiaro perché solo in Italia il legislatore abbia sollevato dall’esibizione la categoria da sempre più a rischio, il volontariato, categoria alla quale guarda caso appartiene anche il clero che, nell’assoluto rispetto della legge, reintegra a contatto con minori i sacerdoti già condannati o recidivi. Quasi come se fosse una cosa “normale”.

L’ultimo caso rilevato in Italia è quello di don Ciro Panigara che come la stessa Diocesi dichiara, già dieci anni prima avrebbe abusato di cinque minori. Omessa la denuncia alle autorità italiane da parte della chiesa, è rimasto nell’ombra fino allo scorso dicembre quando è stato reintegrato, poco dopo ha reiterato come da manuale il crimine. 

In questo caso l’obbligo di denuncia prima, il certificato anti pedofilia dopo, avrebbero evitato una tragedia palesemente annunciata che è indiscutibile, che di fatto però, ha creato nuove vittime.

Basta provare a mettersi un solo secondo nella testa di un predatore pregiudicato che, a causa del certificato macchiato oggi non può più avere accesso alla maggior parte di luoghi frequentati da minori, viene da sé che questo andrà a predare dove il certificato non è richiesto.

In associazioni sportive di volontariato, circoli e quant’altro sia disponibile compresa la chiesa, la parrocchia, dove è paradossalmente ancora più tutelato perché il timore della chiesa per lo scandalo gli dà certezza che se scoperto, non solo non verrà denunciato, ma verrà anche coperto, per scongiurare che la cosa trapeli e infanghi il buon nome della chiesa.

Nell’assenza di efficaci strumenti preventivi quindi, l’inserimento dell’obbligo della denuncia per tutti i cittadini (già presente in Italia ma limitato ai soli pubblici ufficiali) e la revisione del certificato anti pedofilia, che come chiede all’Italia anche l’ONU, va corretto nella parte in cui si solleva il volontariato dall’esibizione, porterebbe già ad un buon livello preventivo rispetto l’attuale totale assenza.

 

Francesco Zanardi

     Legale rappresentante – Rete L’ABUSO ODV/ETS

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Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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