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Delitto Mattarella: tra depistaggi e verità negate

La longa manus. A 45 anni dall'uccisione arriva la notizia della “scomparsa” del guanto ritrovato nell'auto.

by Antonino Schilirò
31 Ottobre 2025
in Approfondimenti
Reading Time: 11 mins read
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Il 23 ottobre arriva l’accoglimento della custodia cautelare ai domiciliari per Filippo Piritore, classe 1950 già prefetto e già funzionario della Squadra Mobile di Palermo quando è stato commesso il fatto. Sono passati 45 anni da quando quella domenica del 6 gennaio 1980 in via della Libertà, a Palermo, la vettura dell’allora Presidente di Regione Piersanti Mattarella, fu avvicinata e lui ucciso a colpi di pistola vicino alla moglie.

Da allora si sono fatte tante ipotesi, dall’uccisione mafiosa pensata da Cossiga perché il presidente non cedeva a contropartite in un accordo fatto con la DC, alla pista del KGB fatta da parte dei servizi francesi, perché Mattarella aderiva al compromesso storico portato avanti da Aldo Moro ma al solo scopo di snaturare il PCI, fino alla pista dell’eversione nera, pista portata avanti anche nelle indagini del giudice Giovanni Falcone. Quello che sembra sicuro è, come ha affermato il cardinale Pappalardo durante l’omelia del funerale:

“Una cosa sembra emergere sicura, ed è l’impossibilità che il delitto sia attribuibile a sola matrice mafiosa.

Ci devono essere anche altre forze occulte, esterne agli ambienti, pur tanto agitati, della nostra Isola. Palermo e la Sicilia non possono accettare o subire l’onta di essere l’ambiente in cui ha [sic] maturato l’atroce assassinio.”

Alla fine degli anni ’90 sono stati condannati, come mandanti, i soliti noti e quindi il gotha di cosa nostra: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco e altri. Ad inizio anno, come esecutori, sono stati indagati due killer eccellenti di cosa nostra: Nino Madonia e Giuseppe Lucchese.

Le indagini sull’eversione nera, portata avanti da Giovanni Falcone citandola anche in Commissione Antimafia nel 1988, fu archiviata perché non ci furono riscontri. Ma anche Falcone riuscì ad affermare che ci fossero

“mandanti sicuramente all’interno della mafia, oltreché ad altri mandanti evidentemente esterni”.

E arriviamo al 23 ottobre di quest’anno. Filippo Piritore, già prefetto di Palermo e a capo della Squadra Mobile di Palermo quando ci fu l’omicidio, è indagato per

“avere, al fine di impedire, ostacolare e sviare le indagini del procedimento penale relativo all’omicidio del Presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella, avvenuto a Palermo il 6 gennaio 1980, richiesto dalla Procura della Repubblica di Palermo di fornire informazioni in ordine al guanto di pelle marrone rinvenuto sulla Fiat 127 utilizzata dagli assassini e risultante dal fascicolo dei rilievi tecnici del Gabinetto regionale di Polizia scientifica – guanto da egli materialmente acquisito, al momento del ritrovamento, quale funzionario della Squadra mobile di Palermo – affermato il falso e taciuto ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva sentito.”

Nell’odierna ordinanza vengono ricostruiti le varie fasi processuali del delitto con le sentenze già emanate. Viene citato l’incontro tra il presidente della Regione e l’allora Ministro dell’Interno Virginio Rognoni, dove Mattarella manifestava forti timori per la sua incolumità.

“Il 30 agosto 2017 la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, scrivono nell’ordinanza, inoltrava a questo Ufficio un atto di impulso ai sensi dell’art. 371-bis c.p.p., menzionante la relazione redatta 1’8 settembre 1989 dall’Alto Commissariato per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, indicando alcune nuove possibili investigazioni da compiere sugli eventuali legami tra l’omicidio del Presidente Mattarella e le attività dei N.A.R. (Nuclei Armati Rivoluzionari), formazione riconducibile allo “spontaneismo armato” nata, come altre, dallo scioglimento di Ordine Nuovo. (Sentenza n. 4/22 R.S. emessa dalla Corte d’Assise di Bologna il 6 aprile 2022, definitiva)”

Inoltre

“il 15 gennaio 2018, la Procura Generale presso la Corte d’appello di Bologna trasmetteva a questo Ufficio l’atto di opposizione (e successiva memoria integrativa) presentato dall’Associazione familiari delle vittime della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, avverso la richiesta di archiviazione avanzata il 7 marzo 2017 dalla Procura della di Bologna, poiché contenente taluni spunti di riflessione circa la possibile correlazione tra l’omicidio Mattarella e la strage di Bologna”.

Infine

“il 27 gennaio 2022 perveniva a questa stessa Procura un’annotazione con la quale la D.I.A. di Palermo prospettava una serie di spunti investigativi sul possibile ruolo, tra gli esecutori materiali dell’assassinio di Piersanti Mattarella, di appartenenti a Cosa nostra.”

Sempre in questa ordinanza vengono ricostruiti, passo dopo passo, tutte le vicende relative all’utilizzo delle targhe per l’omicidio Mattarella, ai proiettili ritrovati, di impronte digitali ritrovate, alla possibilità di tracce biologiche presenti anche attraverso la frantumazione dei vetri.

Si arriva, poi, al guanto di pelle marrone trovato dentro l’auto e dimenticato dall’assassino:

“Nella ricerca del materiale utile alle nuove investigazioni di tipo tecnico, si è avuto modo di accertare (ulteriormente) che le indagini dell’epoca furono gravemente inquinate e compromesse dall’opera di appartenenti alle Istituzioni che, all’evidente fine di impedire l’identificazione degli autori dell’omicidio del Presidente Mattarella, sottrassero dal compendio probatorio un importantissimo reperto, facendone disperdere definitivamente le tracce.”

Di questo guanto non ci sono tracce né è stato ritrovato. L’unico documento che lo cita una nota dattiloscritta priva di intestazione, data e firma, contenente la mera elencazione degli oggetti rinvenuti all’interno sia della Fiat 132 data dell’Onorevole sia della Fiat 127 targata PA536623, in cui si fa menzione del nota

“guanto questa di mano destra, in pelle di colore scuro marrone antistante al sedile anteriore destro”;

nota questa inserita tra le pagine del “Processo verbale di descrizione e di identificazione di cadavere” del 6 gennaio 1980 a firma del dott. Grasso, del Prof. Paolo e del dott. Alfonso Verde, dal quale si evince che:

“Il S. Procuratore, ritenute giustificate le richieste, autorizzava gli esami anzidetti ed affidava ai Periti i reperti balistici, di autopsia (5 proiettili) e di visita esterna (un proiettile), mentre si riserva di disporre la ai Periti degli indumenti della vittima”.

È stata accertata, tra gli altri, la presenza di Piritore e Girolamo Di Fazio, altro funzionario di polizia in servizio all’epoca alla Squadra Mobile di Palermo, grazie anche alla presenza di una foto che li ritrae nel luogo dove fu abbandonata la 127 e confermata, in un verbale di sommarie informazioni testimoniali, dal Di Fazio.

La presenza del guanto viene citata dall’allora Ministro dell’Interno Rognoni in un suo intervento al Senato:

“sulla 127 usata dai killers è stato trovato un guanto, unico oggetto che potrebbe appartenere ai criminali”.

La presenza di “un paio di guanti” era stata citata in un un articolo del Giornale di Sicilia, a firma Daniele Billitteri che sentito a sommarie informazioni ha dichiarato di non ricordare da chi ha ricevuto l’informazione ma di averla saputa sicuramente alla Squadra Mobile, cui era “di casa”, e quindi risalta la conoscenza fin da subito da parte degli uffici della mobile della presenza del guanto.

“Ciò nonostante, ed è questa la prima macroscopica anomalia che va rilevata, il personale della Squadra mobile di Palermo (nelle persone di Di Fazio e Piritore) – intervenuto al sopralluogo e incaricato di repertare quanto rinvenuto sulla Fiat 127 – mai si premurò di sottoporre a sequestro quel guanto tanto che, come accennato, né agli atti del processo né in quelli di polizia giudiziaria, si è mai rinvenuto il relativo verbale o anche un solo formale elenco con la sua repertazione.”



Anzi, nel successivo “Rapporto preliminare sullo stato delle indagini concernenti l’omicidio in persona dell’On. Mattarella” del 9 febbraio 1980, che conteneva il compendio delle indagini fin lì svolte, non si trova alcun riferimento all’esistenza del guanto e ai relativi che avrebbero dovuto compiersi, come se non fosse mai esistito.” scrivono i giudici.

In una relazione del 6 gennaio 1980 in cui vengono elencati i beni trovati, eccetto il guanto, e che gli stessi vengono consegnati “ai dr. Di Fazio e Peritore, intervenuti sui luoghi“.

Vengono recuperate quattro copie della relazione redatta dalla guardia di pubblica sicurezza Armando De Chiara, capo pattuglia della Volante Oreto presente sia in via Libertà sia nel luogo dove è stata rinvenuta la 127.

In particolare una di queste fa riferimento al guanto: “guanto pelle marrone consegnato 7-1-80 alla guardia Di Natale scientifica per il dr. Grasso” a cui segue la firma (come si accerterà meglio dopo) di Piritore.

È stato altresì acquisito un

“Appunto per la D.I.G.O.S. – Accertamenti in ordine al rinvenimento dell’autovettura Fiat 127 bianca targata procedimento 546623 (falsa) usata per l’omicidio dell’Onorevole Mattarella”, senza data, a firma anch’esso di Filippo Piritore, in cui si dà atto del rinvenimento del guanto, del disconoscimento effettuato dal proprietario dell’autovettura e del fatto che tutti i beni ritrovati sulla macchina utilizzata dagli assassini venivano, con quel medesimo appunto, affidati alla D.I.G.O.S. di Palermo “per le ulteriori incombenze, ad eccezione del guanto di pelle marrone che è stato consegnato al Sost. Proc. Dr. Grasso”.

Questo appunto, però, sembra non essere mai stato ricevuto dalla DIGOS.

“Anzi, a conferma del fatto che nulla di quanto ritrovato sulla Fiat 127 venne mai trasmesso alla D.I.G.O.S. vi è la circostanza che la restituzione dei beni appartenenti a Isidoro Fulvo (proprietario dell’auto rubata, ndr.) fu fatta il 15 gennaio 1980 dalla stessa Squadra mobile di Palermo e, in particolare, da Filippo Piritore in persona e (anche questa volta) solo da lui, come risulta dal relativo verbale in atti, che reca solo due firme, cioè quella del Piritore e quella del Fulvo (nonostante nell’intestazione dell’atto si indichi la presenza di più appartenenti alla stessa Squadra mobile); ciò fornisce conferma che, contrariamente a quanto attestato nel sopra riportato appunto, il Piritore rimase l’unico dominus dei beni rinvenuti nella Fiat 127 (avendoli sia avuti in consegna sia restituiti al Fulvo, nell’arco di soli sette giorni)”

Pietro Grasso, sentite a sommarie informazioni, Ufficio, ha affermato di “non avere mai ricevuto né il guanto rinvenuto all’interno della Fiat 127 né alcuna notizia in proposito da parte della polizia giudiziaria.”

Piritore, poi sentito, ha rivendicato la paternità delle relazioni e annotazioni e afferma di aver dato il guanto a Di Natale e che ciò avvenne su precisa disposizione del dott. Grasso.

Purtroppo il depistaggio sui delitti politici non è una novità, infatti già la Corte d’Assisi di Palermo aveva messo nero su bianco che su quei delitti ci siano stati

“seri dubbi sulla linearità, completezza e tempestività delle indagini proprio sull’omicidio di Piersanti Mattarella”.

Nell’ordinanza vengono fatte emergere le parole del capo di gabinetto del presidente Mattarella, dott.ssa Maria Grazia Trizzino, la quale riferì che il Presidente Ministro 1979, immediatamente dopo il rientro da Roma, ove ebbe un incontro con il Ministro Virginio Rognoni per i problemi siciliani – le aveva confidato

“se dovesse succedermi Rognoni, di molto grave per la mia persona, si ricordi di questo incontro con il Ministro perché a questo incontro è da collegare quanto di grave mi potrà accadere”.

Le indagini allora le avocò a se Vincenzo Immordino il quale, e non solo questa, li depistò.

Viene citato pure il ruolo di Bruno Contrada, ai tempi dirigente ad interim della Squadra Mobile di Palermo e dirigente del Centro Interprovinciale Criminalpol per la Sicilia Occidentale. Contrada condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, con accertamenti giudiziari provati dal 1979 al 1988, con un intervento della CEDU la quale ha fatto risarcire Contrada per ingiusta detenzione ma solo perché nel periodo in cui ha commesso il reato la fattispecie ancora non esisteva, e quindi ha inciso solo nel profilo strettamente giuridico e quindi non sulla ricostruzione dei fatti che resta incontrovertibile.

Dalla sentenza di condanna emerge che Contrada aveva esteso i suoi rapporti

“anche ad altri soggetti appartenenti a Cosa nostra tra cui […]Michele Greco e Salvatore Riina” con conseguente “assoggettamento dell’imputato anche al fronte più spietato di Cosa nostra, rappresentato dal gruppo dei corleonesi”, in forza del quale aveva prestato loro i suoi favori (tanto che la fuga del Riina dal “covo” di Borgo Molara fu ritenuta possibile grazie alla “soffiata” del Contrada).

Quindi Contrada, al momento delle indagini sull’omicidio Mattarella, aveva rapporti con coloro che poi verranno condannati per lo stesso omicidio.

Lo stesso Piritore riferì:

“quando venne rinvenuto il guanto e il proprietario della macchina non lo riconobbe come proprio, io ero presente; ritengo che, come da prassi, avvisai subito il dirigente della Mobile, nella persona di Contrada, che evidentemente mi disse di avvisare il dott. Grasso e di mandare e i reperti alla Scientifica. Preciso, sul punto, di non avere e un ricordo nitido degli accadimenti quindi non escludo di avere potuto informare un altro dirigente”

 

“Nel corso delle ricerche del guanto si è realizzato il delitto di depistaggio posto in essere da Filippo Piritore, in occasione delle dichiarazioni rese a questo Ufficio il 17 settembre 2024 quando al precipuo fine di ostacolare e sviare le attuali indagini in corso sul delitto Mattarella, l’ex appartenente alla Squadra mobile di Palermo ha affermato circostanze certamente e incontrovertibilmente false.

In particolare, egli ha sostenuto, tra l’altro, che:

  • il guanto, una volta consegnato al dott. Grasso, era pervenuto nuovamente alla Polizia scientifica su disposizione dello stesso magistrato;
  • lui stesso lo aveva personalmente consegnato, con relativa attestazione, a tale Lauricella della Polizia scientifica, per lo svolgimento di accertamenti che il dott. Grasso avrebbe dovuto disporre;
  • la mobile di Palermo era in possesso di una annotazione dalla quale risultava tale circostanza e gliela aveva esibita il 15 gennaio 2020.”

Sentiti gli altri testi, sconfessano tutte le dichiarazioni fatti da Piritore e quindi è stato “giudizialmente accertato” che fin dal suo rinvenimento, 6 gennaio 1980, il guanto abbandonato dagli esecutori materiali dell’omicidio del Presidente della regione Sicilia è rimasto nella disponibilità temporanea di Filippo Piritore e che poi se ne sono perse le tracce.

Inoltre Filippo Piritore in sede di esame del 17 gennaio 2024 ed in continuità con quella condotta risalente al 1980, ha reiterato con le sue dichiarazioni la volontà di sviare le indagini che riguardavano la sorte del guanto e la sua eventuale possibilità di essere rinvenuto e acquisito alle indagini.

Per questo Filippo Piritore è stato posto, cautelarmente, agli arresti domiciliari.

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Antonino Schilirò

Appassionato di politica e lotta alle mafie conduco, insieme al giornalista Giuseppe Notaro, la rubrica online sui social "Informazione Antimafia". Responsabile comunicazione dell'associazione Dioghenes Aps, con sede distaccata aperta a Maletto (CT). Inviato dell'emittente televisiva siciliana Telemistretta

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